Muffx – L’ora più oscura

I salentini Muffx hanno tirato fuori dal cilindro un disco tanto difficile da catalogare quanto affascinante. “L’Ora Di Tutti”, che trae ispirazione dal romanzo omonimo di Maria Corti, è un disco che attraverso le sole note musicali riesce nell’impresa di narrare vicende avvenute circa cinquecento anni fa e che, mai come oggi, appaiono attuali. Per approfondire i contenuti di quello che è una delle migliori uscite del 2017, abbiamo contattato Luigi Bruno, voce e chitarra dei Muffx.

Benvenuti su Metal Hammer Italia, “L’Ora Di Tutti” è fuori da qualche giorno. Sin dall’aspetto visivo si presenta come un album oscuro, cosa che poi viene confermata anche dalle quattro tracce: come mai questo cambio di registro?
Lieti di essere qui! In realtà molto solari non lo siamo stati mai, ma diciamo che in questo album abbiamo dato più ampio respiro alla nostra componente ‘noir’ probabilmente tenuta più celata nei precedenti lavori, a dire il vero poi, il tema trattato non lasciava spazio a sonorità molto allegre…

Per motivi prettamente editoriali, nella mia recensione ho dovuto dare un’etichetta a quanto contenuto nel disco, e ho scelto “progressive”. Voi come definireste la vostra musica attuale?
Pur non appartenendo a un movimento musicale ben definito per quanto concerne l’approccio avuto in questo lavoro, il genere al quale potremmo essere associati (solo per comodità e necessità dei fruitori e degli addetti ai lavori) potrebbe essere il progressive come giustamente hai notato tu, ma anche l’art rock psichedelico, se non altro per via del fatto che abbiamo scelto pochi colori più mirati all’efficacia di quello che volevamo trasmettere e meno tecnicismi forse più propri del progressive in senso stretto. Di fatto ci siamo sempre e solo preoccupati di produrre buona musica e ci auguriamo di essere bravi in questo.

Il disco è un concept ispirato a “L’Ora Di Tutti” , libro di Maria Corti, il quale narra l’invasione Turca nel 1480 a Otranto. Cosa vi ha spinto a fare questa scelta così particolare? E come si inserisce questa opera nell’attuale contesto ricco di scontri, non solo militari ma anche culturali, tra Occidente e Oriente?
Per cominciare veniamo tutti e quattro dal Salento, pertanto ripercorrere ‘scene’ e ‘momenti’ che hanno segnato profondamente la nostra terra e tradurli in musica è stato molto interessante dal punto di vista artistico ma non solo. In secondo luogo il romanzo della Corti che tratta le vicende da te citate è una lettura che da ragazzi, ma non soltanto, quasi tutti i salentini hanno affrontato in qualche modo rimanendone affascinati e legati; omaggiare in un certo senso quest’opera volendo trattare appunto l’invasione turca ci è sembrato doveroso, nonostante siamo andati oltre il romanzo come nel brano Bernabei.
Non è un caso, in effetti, che il disco sia venuto alla luce in questo preciso momento storico, nonostante abbia suoni provenienti dagli anni settanta e ispirato da vicende accadute più di cinquecento anni fa. Ancora oggi come ieri – e come l’altro ieri, a dire il vero – i grandi drammi che attanagliano Oriente e Occidente sono lì, sempre attuali e sempre in agguato, si chiamano in maniera diversa forse, ma scavando a fondo la sostanza è comune a tutte le epoche.

Altro elemento caratterizzante del disco è l’assenza di parte vocali. Nel giro di tre album siete passati dall’inglese all’italiano, per approdare alla forma strumentale: a cosa è dovuto questo costante cambiamento?
Siamo sempre stati legati più alle atmosfere e alla musicalità che ai testi, ci siamo sempre preoccupati di come far suonare al meglio la nostra musica, lasciando che fosse la melodia a suggerire le parole consone alle suggestioni del momento, indipendentemente dalla lingua. Per “L’Ora di Tutti” il discorso è stato diverso, abbiamo ragionato in termini cinematografici.
È stato come viaggiare nel tempo per scrivere e realizzare la colonna sonora di un film, mai uscito, tratto da un romanzo, con mezzi che si potevano avere a disposizione negli anni settanta, suonandolo live senza ulteriori accorgimenti postumi. A parte qualche citazione qua e là del poeta N. Hikmet – recitate rigorosamente in turco da un turco – ci siamo resi conto che il materiale non aveva bisogno di testi, proprio come una vera e propria colonna sonora, abbiamo lasciato che la musica evocasse immagini senza voler condizionare l’ascoltatore. Penso che questo sia il futuro dei Muffx, è una dimensione nella quale ci siamo trovati molto a nostro agio e ripetere l’esperienza su altri fronti non ci dispiacerebbe affatto.

Vi andrebbe di fare una disamina dell’album traccia per traccia?
L’album si apre con “Un’Alba Come Tante” e sin da subito il crescendo dinamico della composizione vuole simulare il risveglio di un piccolo paese che non sa ancora quello che la aspetta e si prepara ad affrontare una semplice giornata lavorativa come le altre…dall’altra parte c’è chi si prepara sulle navi ad attraccare con finalità diverse.
La seconda traccia è il preludio dell’azione da parte dei conquistatori, “Vengono Dal Mare”, il brano è più ansiogeno, come una marcia militare che esplode in cavalcate ritmiche più violente e in fughe pseudo jazzistiche.
“Ottocento” è la sonorizzazione della scena in cui gli ottocento martiri rinchiusi nella cattedrale (ancora esistente con i loro teschi esposti in una teca) attendono il loro destino: potrebbero convertirsi all’Islam e scamparla ma invece sono lì, probabilmente a farsi mille domande senza risposta ma senza cedere di un centimetro sulla loro fede e le loro convinzioni che inesorabilmente li porteranno all’eccidio di massa che tutti conosciamo.
“Bernabei” chiude il disco, musicalmente è il brano più orientaleggiante, ispirato dalla storia di un soldato turco convertitosi al Cristianesimo durante la strage e per questo torturato e giustiziato dal suo stesso popolo come monito, episodio storico non contenuto nell’opera della Corti e che rievoca molti fatti di cronaca noti alla gente del nostro tempo, suggerendo un parallelismo tra passato e presente.

Degli ospiti che mi dite?
A parte un piccolo arrangiamento di fiati che abbiamo voluto scrivere per dare vigore e una sensazione più orchestrale in “Un’alba come tante” e la voce narrante di Ismail Gorkien in alcuni punti di “Vengono dal mare” e “Bernabei”, a differenza dei lavori precedenti abbiamo scelto di limitarci nelle ospitate, non volevamo discostarci troppo dal sapore minimal del lavoro e soprattutto non volevamo allontanarci da quello che avverrà nei concerti. Per quanto riguarda i concerti appunto abbiamo avuto il piacere di ospitare personalità storiche della musica internazionale come Richard Sinclair (Caravan, Soft Machine, Camel), Aldo Tagliapietra (ex Le Orme) e Claudio Simonetti. Con quest’ultimo intendiamo già battezzare il nuovo album nei prossimi live e proprio in questi giorni stiamo organizzando la cosa con il maestro.

Torniamo all’aspetto visivo dell’album, sicuramente particolare la copertina, chi è l’autore?
L’illustratore che ha collaborato con noi è Massimo Pasca, anche lui salentino. Volevamo che a lavorare sul disco in tutte le sue sfaccettature fossero persone che in qualche modo avessero una relazione e un legame con le tematiche trattate. In più lo stile personale del Pasca si addiceva particolarmente al contenuto dell’opera e il risultato è stato più che soddisfacente. La copertina del Vinile e del Cd apparentemente identiche nascondono invece dei particolari rilevanti che l’autore si è divertito a nascondere, non saremo certo noi a svelarli rispettando la sua volontà ma credo sia un ulteriore elemento che caratterizza l’unicità e la particolarità dell’opera.

Aspetto visivo che avrà rilevanza anche in sede live, a quanto pare sarete accompagnati da un video designer. Come funzionerà la cosa?
Giuseppe Beps Donadei (visual designer) ha iniziato a lavorare a questo progetto sin dalle prime note dell’album, abbiamo costruito insieme lo show che porteremo in giro per l’Italia ispirandoci ai Light show degli anni d’oro dell’Art rock ma con i mezzi tecnologici del nostro tempo. Durante il live Donadei realizzerà dei visual live painting direttamente su di noi, in tema con le atmosfere e le tematiche ma vertendo più sulla psichedelia senza essere troppo didascalici. Di fatto noi non prendiamo posizioni ma ci siamo limitati a osservare i due punti di vista, quello dell’ occidente e quello dell’oriente, senza spalleggiare nessuno ed è questo che vogliamo emerga dai nostri concerti.

Prima di concludere, ti chiedo se il progetto ‘Nocturno’ è del tutto tramontato o ci sono possibilità che in futuro possa essere portato a termine.
A questa domanda è molto difficile rispondere. Di getto diremmo che si, lo riprenderemo magari modificando alcuni connotati più vicini ai Muffx di oggi, ma non sappiamo dirti se sarà il prossimo lavoro che vedrà la luce o lo lasceremo ancora per un po’ da parte. Quel disco per noi è legato ad una persona molto cara, Pierpaolo Cazzolla, che ora non è più qui, da una parte vorremmo omaggiare la sua memoria con l’uscita dell’opera dall’altra questo significherebbe dover processare un dolore che forse ancora non siamo riusciti a digerire, accettare o superare del tutto se mai si possa superare. Per ora possiamo solo augurarci ‘cose’ senza promettere o annunciare nulla di certo.

Intervista pubblicata su metal Hammer Italia nel 2017 in occasione dell’uscita de “L’Ora di Tutti”.
http://www.metalhammer.it/interviste/2017/11/16/muffx-lora-piu-oscura/

Rocky Horror Fuckin’ Shit e Pino Scotto – L’unione fa la forza

Da qualche tempo su è giù per lo Stivale si aggira una combriccola ben assortita, composta dalla leggenda del metal tricolore Pino Scotto e dai ragazzi dei Rocky Horror Fuckin’ Shit. A giudicare dalla frenetica attività live dei nostri, il connubio s’è rivelato vincente. Pino Scotto e Giovanni “Justice” Placido, le due voci del progetto, ci hanno raccontato come è nata questa collaborazione.

“Tutto è nato col nostro singolo – da cui poi è stato tratto anche un video – ‘Lo Spazio Che Ti Spetta’, a cui Pino ha partecipato. È un vecchio amico di Francesco, il nostro bassista, lui gli fece ascoltare i provini del nostro ultimo lavoro, all’epoca in fase di preparazione. E, a distanza di qualche anno, il sodalizio continua” ci racconta Giovanni. “Alla base di questa unione c’è l’amicizia, mi sono innamorato artisticamente dei Rocky Horror, il loro sound può sembrare non faccia parte del mio mondo” continua Pino “ma per me ci sono solo due tipi di musica: la musica e la musica di merda! Io vado ad istinto, loro sono Rock, ed è per questo siamo diventati una grande famiglia!”. Da quel momento in poi quantificare i chilometri macinati insieme è diventata impresa ardua “il side project Pino Scotto & Rocky Horror è relativamente giovane, ma abbiamo calcato assieme già diversi palchi all’interno del nostro Sciogli Il Tempo Tour” continua Giovanni, specificando che il repertorio proposto è “un mix tra la nostra scaletta e quella di Pino – da solo e coi Vanadium – usando il singolo succitato come ponte fra questi due pianeti dell’universo Rock.” Il passo successivo pare, inevitabilmente, un disco insieme “chissà, magari in futuro. Al momento però abbiamo firmato assieme il brano di beneficenza ‘Via Di Qua’, il cui intero ricavato delle vendite sarà devoluto ai bambini del programma Rainbow Projects. Hanno partecipato con noi: Omar Pedrini (ex Timoria), Bunna e Madaski (Africa Unite), Terron Fabio (Sud Sound System), Trevor e Tommy Talamanca (Sadist), Andrea Rock (Virgin Radio E Rezophonic), Andy (Bluvertigo), Pier Gonella (Necrodeath), Skandi (Vallanzaska), Ivano Grieco (Krikka Reggae). Nel video sono presenti anche: Davide Moscardelli (u.s. Lecce), Nuzzo Di Biase (Quelli Che Il Calcio), Cisco (Le Iene), Vittoria Hyde (Virgin Radio), Michele “Wad” Caporosso (Radio Deejay), Daniele Selvitella (Radio 105 Network), Stefano Agliati (Rock Tv), Betty Style, Giorgia Gueglio (Mastercastle), Manuel Tataranno ed Enzo Russo (Krikka Reggae) e tanti altri!” A questo punto è il singer napoletano a prendere la parola, uno che ha sempre lavorato volentieri con altri artisti: “tutte le collaborazioni che ho fatto non sono state mai per interesse, ma per curiosità. Di qualcuna poi” ammette “mi sono anche pentito a livello umano, senza nulla togliere al pezzo in se. Gente che arrivava da me col pugno alzato e poi te li ritrovi nei reality! Al di la di tutto però, ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa!”Neanche i RHFS in passato sono stati immuni a collaborazioni di vario genere, Giovanni ce le racconta così “in ‘Sciogli Il Tempo’, ad esempio, abbiamo invitato tantissimi amici e colleghi: Simone Martorana (Folkabbestia), Nico Mudù (Suoni Mudù), Vince Carpentieri (ex Almamegretta), MR. T-Bone (ex Africa Unite e Giuliano Palma & The Bluebeaters), Dj Argento, Dj Fede, ecc.” Però dalla data di pubblicazione di quel disco sono trascorsi già un paio d’anni, è giunto il momento di tirar fuori materiale nuovo, come ci conferma il cantante dei foggiani “siamo già al lavoro sul prossimo full-lenght, nel frattempo prosegue la promozione per l’uscita del singolo/video ‘Non C’è Tempo’ con Ru Catania (Africa Unite) e Luca (Los Fastidios).” Mentre Scotto non nasconde, parlando di futuro, la propria voglia di stupire ancora “spero che in ogni concerto, ogni volta che appaio sullo schermo, io possa essere una sorpresa per chi mi segue. A volte sorprendo anche me! Passano gli anni, ma la mia rabbia contro le ingiustizie non è mai doma!” Due generazioni di rocker differenti, diverso modo di vedere la situaziona della scena musicale di casa nostra, più insoddisfatto l’ex Vanadium “il problema è sempre lo stesso: vanno avanti esclusivamente i soliti raccomandati!”, meno drastico il più giovane dei due “io sono un’ottimista, lo spirito c’è, forse serve un po’ più di concretezza!” Messa da parte per un attimo la consueta rabbia, Pino lancia, in conclusione, un messaggio d’apprezzamento per la nostra testata “un saluto a tutti i vostri lettori ed un grande augurio a Metal Hammer, rivista che stimo molto, in quanto continua stoicamente ad andare avanti per la propria strada!” Proprio come lui!

Intervista rilasciata originariamente nel 2017 su Metal Hammer Italia in occasione del tour Rocky Horror Fuckin’ Shit e Pino Scotto.
http://www.metalhammer.it/interviste/2017/03/08/rocky-horror-fuckin-shit-e-pino-scotto-lunione-fa-la-forza/

The Ossuary – Il blues dell’oltretomba

Da alcune settimane tra gli addetti ai lavori circola un album, la cui versione Cd verrà pubblicata ufficialmente il 17 febbraio, che riporta in auge le sonorità crepuscolari e maestose di Black Sabbath, Pentagram, Rush, Rainbow, Thin Lizzy, Angel Witch, Witchfynde e Witchfinder General: ‘Post Mortem Blues’ dei baresi The Ossuary è un’oscura passeggiata nei territori stilistici dove è nato il movimento metal. A farci da cicerone in questo tour è Max Marzocca, che, da dietro le pelli della sua batteria, conduce con orgoglio il lugubre carrozzone pugliese.

“Il nostro modo di comporre è senz’altro old school” mette subito in chiaro le cose il leader dei neoformati The Ossuary “la genesi di questo album coincide in pratica con la nascita di questa band. Nell’estate del 2014 io e Domenico (chitarra) avevamo del materiale che volevamo registrare con un nuovo progetto, cosicché’ abbiamo chiesto a Stefano (voce) e a Dario (basso) se a loro andava di darci una mano. Dopo qualche prova, tra fine ottobre e inizio novembre del 2014, siamo entrati in studio per registrare un demo di ‘The Crowning Stone’, ‘Blood on the Hill’ e ‘Witch fire’. La maggior parte del lavoro e’ stato svolto in sala prove – non abbiamo fatto più di dieci concerti con questa band sinora – l’album è stato registrato in due riprese perché inizialmente doveva trattarsi soltanto di un promo per le label e, in generale, per farci conoscere un po’ in giro. Poi, però, il risultato ci è piaciuto così tanto che abbiamo aggiunto dell’altro materiale per completare il disco.” Solo una decina di concerti che però hanno confermato che “sala prove e palco sono due momenti diversi ma ugualmente importanti: in studio dai sfogo al tuo lato creativo, ed è un iter affascinante. In pratica elabori, costruisci e poi lasci ai posteri una traccia definitiva di questo processo. Crei in pratica quello che poi suonerai dal vivo, per questo motivo li vedo ugualmente importanti. La dimensione live chiaramente è quella che prediligiamo maggiormente, è lì che tangibilmente raccogli i feedback di quello che hai creato in studio! E in fin dei conti è molto più divertente.” Il primo approccio con l’album è sicuramente positivo, grazie a una copertina senz’altro d’effetto “rappresenta la nostra personale versione del “Trionfo della Morte”, sono un amante della pittura e in generale dell’arte medievale, ma non disponendo, ovviamente, di un’opera originale di un incisore del 1349, abbiamo chiesto a Rossella “Roxhell” Battista, tatuatrice, artworker e nostra cara amica di riprodurre uno completamente da zero. Personalmente sono molto soddisfatto del risultato, è come me l’ero immaginato!”. Anche il titolo dell’album, ‘Post Mortem Blues’, conferma la vena oscura della copertina “è tratto dalla title track, che è semplicemente un blues a tinte nere, quello che io chiamo “Blues dell’Oltretomba”. Trattasi di una sorta di filastrocca su un uomo che riflette e si interroga sul suo destino dopo la morte e nel frattempo “se la canta e se la suona”. Un classico concept doom & gloom!”. Il sound dell’album pone i The Ossuary idealmente a metà strada tra le band che hanno riportato in voga un certo sound rétro di matrice hard e prog e chi ha rilanciato l’heavy metal più classico “sicuramente ci sono un sacco di riferimenti nel nostro sound che vanno dalle band protometal anni 70 fino ai primissimi anni 80, hard prog, classic doom metal, heavy rock! Mi sta bene tutto, alla fine ognuno può trovarci i paragoni che vuole, per noi non è importante l’etichetta o il genere. Per noi conta il riff memorabile, l’atmosfera oscura o il cantato epico.” Una ricetta che potrebbe godere di maggiori favori oltre confine più che in patria “è ancora un po’ presto per dirlo, senz’altro un certo tipo di ascolti è più diffuso all’estero, ma non mi dispiacerebbe avere un buon seguito anche in casa.” Faccio notare che ‘Witch Fire’ e ‘Graves Underwater’ sono i due brani che preferisco “rappresentano due aspetti che convivono nel sound di The Ossuary. ll primo più melodico, quasi folk, d’ispirazione british heavy rock o NWOBHM, è il genere di brano che ti permette di spingere un po’ acceleratore soprattutto dal vivo. ‘Graves’ è il classico brano oscuro, epico e con un finale a tratti progressivo. Entrambi si rifanno a eventi della storia locale accaduti tra il 500 ed il 600 , il primo al periodo dell’Inquisizione, mentre l’altro è un tema legato alla seconda ondata di pestilenza in Puglia”. Difficile, invece, dover scegliere tra le proprie creature “in generale mi piace un po’ tutto l’album, poi vado a periodi: ultimamente prediligo ‘Black Curse’ col riff killer e pesante come un pachiderma!”. Chi invece pare crederci parecchio nell’album – oltre all’edizione in cd, ne usciranno un bel po’ in vinile – è l’etichetta “stando al piano della Supreme Chaos Records, il 17 aprile verranno pubblicate ben tre versioni differenti. La cover sarà sempre la stessa, cambierà’ il colore del vinile: nero, trasparente e “splatter”. La label ha definito così la terza versione, ma io la vedo più psichedelica che sanguinolenta!”. Poi il consiglio per poter godere a pieno di tutte le sfumature di “Post Mortem Blues’ durante l’ascolto “presumo il vinile perché, in teoria la produzione dovrebbe acquistare più calore: aspetto, appunto, l’uscita dell’ LP per scoprirlo…”. In attesa di individuare quale supporto rende maggior giustizia all’opera, la macchina The Ossuary di certo non rimane ferma “siamo già a lavoro sul nuovo materiale e, in tuta sincerità, abbiamo già un paio di brani inediti che portiamo dal vivo da qualche mese, ‘Sleep Demon’ e ‘Southern Funeral’”. Attività live che tra un po’ dovrebbe andare a pieno regime “Nessuna data confermata al momento, ci sono anche delle proposte dall’estero, ma per ora non abbiamo fretta di andarcene in giro, quindi non stiamo esattamente pianificando un tour, anche se ci piacerebbe moltissimo. Vediamo prima come va con questo primo passo discografico!” Però la voglia di palco non può essere nascosta, così Max si lascia sfuggire, proprio in conclusione, un ben augurante “see you on around, rock on!”.

Intervista pubblicata originariamente su Metal Hammer Italia in occasione dell’uscita di “Postmortem Blues”.
http://www.metalhammer.it/interviste/2017/02/15/the-ossuary-il-blues-delloltretomba/

Black Widow – Sleeping with the angels

Un Clive Jones senza peli sulla lingua, quello che si è sottoposto al fuoco di fila delle mie domande. L’inglese a ruota libera ha parlato del nuovo album dei suoi Black Widow, dei suoi ex compagni di avventura, dei Black Sabbath, dei Ghost e degli Slipknot. Non ha risparmiato neanche aneddoti curiosi per gli amanti degli autori di “Sacrifice”. Mai in tanti anni di interviste mi era capitato di incrociare una persona così cortese e disponibile.

Ciao Clive, è un vero onore per noi di rawandild.com ospitare un pezzo di storia del rock!
Ciao Giuseppe, per me è molto strano essere qui, dopo ben quaranta anni, a parlare nuovamente dei Black Widow e di un nuovo album.

Appunto quaranta anni: come e quando hai capito che era giunto il momento di scrivere una nuova pagina nella storia dei Black Widow?
Era da un bel po’ che avevo in mente di contattare Geoff per rimettere su il progetto. Fortunatamente anche lui era della stessa idea. Eccoci qui!

Chi ha ascoltato la vostra intera discografia, e non il solo “Sacriface”, sa che ogni album è diverso dal precedente. Quindi non deve sorprendere se “Sleeping With The Demons” non ha nulla in comune con i suoi predecessori e rappresenti lo spirito attuale dei Black Widow. Vorrei però sapere se le canzoni finite nell’album sono state composte nel giro di poco tempo o se rappresentano il frutto di un lavoro svolto nei quaranta anni che separano le vostre ultime due fatiche discografiche.
Tutte le canzoni, a eccezione di “Evil Clock, sono state scritte per “SWTD”. Sia io che Geoff abbiamo composto la maggior parte dei pezzi per conto nostro, ci siamo passati solo alcuni brani perché eravamo convinti che l’altro avrebbe potuto aggiungerci qualcosa di buono. Non volevamo e né potevamo fare un altro “Sacrifice”. Alcune recensioni hanno sottolineato questo aspetto come se fosse una colpa. Questi recensori dimenticano che il nostro primo album è stato per anni ai margini della storia del rock, improvvisamente ora è considerato un disco di culto. Sinceramente io non so più cosa pensare!

L’album si apre con “Hail Satan”, un brano che ho definito una “Come To The Sabbat” in versione Agony Bag. Intendo dire che il misticismo che permeava la vostra vecchia song è stato sostituito con una vena pazza e ironica più vicina alle cose degli Agony Bag. Sei d’accordo con me?
Mi piace da matti sapere che molti critici considerano “Hail Satan” una nuova “Come To The Sabbat”, perché è proprio quello che volevo! Ho sempre pensato che non ci sia mai stata un’altra canzone che suona come “Come to The Sabbat”, per questo ho usato la stessa idea di fondo: i cori iniziali, il flauto e i tamburi in stile giungla. Credo che questo brano sia uno dei migliori dell’album, anche se non mancano di certo i buoni pezzi. Per quanto concerne quel feeling Agony Bag di cui parlavi, credo che sia dovuto soprattutto alla mia voce che da un tocco di pazzia al tutto, è un peccato che “Come To The Sababth” non lo possieda. Comunque “Hail Satan” è sicuramente un pezzo più BW che AB!

Come è nata la collaborazione con Tony Martni, ex singer dei Black Sabbath?
Credo che chiedere a un membro dei Black Sabbath, dopo essere stati dei rivali negli anni 70, di partecipare a un nostro album, sia stata una grande idea. Ho semplicemente contattato Tony e lui ha candidamente ammesso di non sapere nulla di quel periodo delle nostre due band! Comunque ci ha raggiunto con la sua dolcissima moglie, Carol, e noi abbiamo suonato per lui alcuni pezzi. Molti erano già pronti in quel momento, per questo abbiamo lasciato a lui la libertà di scegliere quello da cantare. Lui ha puntato dritto su “Hail Satan” . Poi ci ha dato alcuni consigli sugli arrangiamenti e sull’ordine in cui inserire le canzoni nell’album. In un solo colpo abbiamo trovato una gran voce e un’ottima persona!

Prima accennavi a quella cosa della rivalità tra le due band, per questo molto spesso quando si parla di voi, si tira in ballo il nome dei Black Sabbath. Ti infastidisce la cosa?
No, anzi ne sono fiero! I Black Sabbath hanno avuto un grande successo in quel periodo e sono stati capaci di capitalizzarlo, mentre noi in questo non siamo stati bravi. Ho sempre amato i loro lavori. Anni fa ho suonato con una loro tribute band olandese, abbiamo fatto insieme “Plant Caravan” e “Paranoid”. Potete trovare dei filmati su youtube.

A questo punto non posso non chiederti cosa ne pensi della loro reunion?
Sicuramente una bellissima notizia, non vedo l’ora di ascoltare il loro primo album dopo decenni con la line-up originale. Credo che opteranno per il loro solito stile, ma anche loro, come noi, cercheranno un sound più attuale. Non dimenticare che dopo i primi album, hanno anche sperimentato soluzioni nuove, come in “Techincal Ecstasy”. Bill Ward mi ha mandato un messaggio nel quale mi augurava ogni bene per il nostro nuovo album, questo è comportarsi da professionista. Comunque i BS molto spesso mi contattano, ricordo ancora con piacere i loro auguri in occasione del mio matrimonio. Spero di avere l’opportunità di rivederli nel loro prossimo tour. Buona fortuna ragazzi!

Uno degli apici del disco è “Even the Devil Gets the Blues”, brano che vede come ospite Kay Garret. Come è stato tornare a lavorare con lei? E come mai proprio un blues?
È stato come tornare ai tempi dei Pesky Gee! Siamo sempre rimasti in contatto in questi anni, così le ho chiesto se potesse essere interessata, nonostante lei non entrasse in uno studio di registrazione da un bel po’. Ha una voce straordinaria, peccato che non abbia avuto il successo che meritava. Di certo è stata una fonte di ispirazione per altre cantanti. Non è stato facile trovare un brano adatto per lei, volevo tornare alle sue radici blues mentendo, però con tematiche legate alla magia nera. Ricordo che era molto nervosa e preoccupata prima di entrare in studio, ma alla fine se l’è cavata alla grande. Spero di tornare a lavorare con lei in futuro. Kay non è stata l’unico ex membro dei PG che mi ha aiutato, per esempio Chris Dredge, chitarrista e grande artista, ha fatto un disegno da donare ai fan. In generale sono rimasto in ottimi rapporti con tutti gli ex membri, sfortunatamente loro sono sparsi in giro per il mondo, per questo motivo non è stato possibile lavorare con loro. Inoltre vorrei ringraziare alcuni fan della band che mi hanno dato una mano in questi anni, mi riferisco a Pasi Koivu , che è stato fonte di ispirazione per il brano “Party Time For Demons”, e Sylvie, una fan Canadese, che ha scritto un grande testo per “That’s When Evil Touched Me”. Trovo che sia meraviglioso coinvolgere i fan nella stesura di un album, permettendo loro di entrare in qualche modo nel music business.

Alcuni brani del disco rappresentano un mini-concepet, ti andrebbe di parlarne?
Sono brani scritti da Geoff, per questo non è facilissimo per me parlarne. Posso dirti che è una sorta di “Predatori Dell’Arca Perduta”, con un tocco di magia in più e un alone di ironia. A Geoff è sempre piaciuto, anche nei vecchi album dei BW, scrivere dei brani che seguissero una sorta di canovaccio, io preferisco buttar giù dei pezzi che abbiano un senso individualmente. Posso dirti che ho appena terminato di scrivere un mio musical, “Metal Heart”, ma non è facile in questo periodo portare in scena un’operazione del genere.

Il disco si conclude con “Evil Clock”, una bonus track che riprende in chiave moderna lo stile di Sacrifice. Credi che questo sia il primo passo verso una nuova dimensione sonora della band?
“Evil Clock” è un brano scritto in origine per gli AB. Un nostro fan tedesco, Stephan Bender, conosciuto mentre ero in tour con gli AB, mi chiamò tempo fa per registrare alcune nuove canzoni. Il risultato è l’Ep “Piss Out Your Trash”, disponibile su ITunes. Alcune canzoni sono rimaste fuori dal quel progetto, “Evil Clock” è una di queste. Purtroppo Stephan è passato a miglior vita, per questo io e Geoff abbiamo deciso di rendergli omaggio inserendo questo brano, anche se diverso dall’originale, come bonus track in “SWTD”. Lo so che questa canzone è molto più AB che BW, nonostante ciò un sacco di gente mi ha detto che è il pezzo migliore del disco! In realtà, ognuno mi segnala una propria canzone preferita! Non molte band possono vantarsi di avere un scritto un lavoro con più brani convincenti.

Al vostro successo iniziale hanno contribuito i vostri show dal forte sapore evocativo e provocatorio. Come saranno i concerti dei Black Widow attuali? Credi che sia possibile shoccare e/o stupire il pubblico dei concerti rock nel 2011?
No, non credo che sia possibile farlo oggi. Negli anni 70 siamo stati inseriti nella lista nera di un mucchio di locali! Un sacco di band ora cercano di riproporre quello che noi abbiamo fatto all’epoca. Posso citarti come esempio i Ghost, gruppo che sta ricevendo feedback positivi un po’ ovunque. I loro show colpiscono la fantasia dei più giovani solo perché non hanno mai visto in precedenza qualcosa del genere. La musica è buona, ciò nondimeno se ti presenti su un palco con delle maschere, non puoi tenerle sul viso per tutto lo show. Non riesci a trasmettere la tua personalità all’audience, risultando alla fine una sorta di caricatura nei tuoi costumi da monaco. Credo che lo stesso valga per gli Spipknot, dopo che hanno inizialmente stupito con i loro bei costumi, cosa mi danno per i restanti cinquanta minuti di concerto? Bisogna stare attenti, perché è sottile la linea da oltrepassare prima di trasformarsi nei The Wombles! (un gruppo pop inglese che indossa abiti raffiguranti pupazzi per bambini Ndr) I nuovi Black Widow dimostreranno che la magia nera può essere divertente e recluteranno nuovi giovani fan. Chi ha detto che la magia nera non può essere divertente? Il male vero è tutt’altra cosa…

Sinora ci siamo concentrati sul vostro presente, ti andrebbe di fare una disamina breve sui vostri precedenti album. Ovviamente iniziamo con “Sacrifice”.
Ti dirò tutta la verità su “Sacrifice”! Quell’album fu una grande idea del nostro batterista Clive Box. Jim Gannon, il nostro chitarrista dell’epoca, scrisse un grande storia e alcuni grandi pezzi. Sono deluso della produzione, se ne occupò il figlio del nostro manager mentre pomiciava con due ragazze in cabina di registrazione. C’erano delle imperfezioni, e sono ancora là dopo più di quaranta anni. Però mi piace sapere che oggi è un classico!

Con “Black Widow”, il vostro sound cambia. Come mai?
Il secondo album è stato un fiasco, sempre prodotto dal figlio del manager. Alcuni membri del gruppo, nonostante io e Clive Box fossimo contrari, decisero di eliminare ogni riferimento alla magia nera. Jim e Kip erano convinti di essere loro la band, così ci cacciarono. Salvo poi richiamarci immediatamente! Sono convinto che se avessimo lavorato tutti insieme, le cose sarebbero andate meglio. Tuttavia alcuni di noi erano sicuri di aver ricevuto in esclusiva da Dio il dono della musica. Alcuni pezzi, tipo “Mary Clark” e “Legend of Creation”, sono molto belli. Fu veramente terribile essere nella band in quel periodo, alcuni iniziarono a fare uso di droghe: l’inizio della fine. Questo disco è stato registrato due volte, la prima versione è andata persa (il nostro vero album fantasma). C’hanno detto che il master era completamente inutilizzabile, però la cosa non mi convince! Se fosse vero, come mai la versione primigenia di “Mary Clark” è stata utilizzata dal CBS per l’album Rock Buster? Mi farebbe piacere ritrovare le registrazioni originali.

Black Widow III” mostra un approccio maggiormente progressive. A cosa è dovuto questo mutamento di sound?
Ancora una volta l’album è stato prodotto dal “fattorino”, contro la mia volontà. Ma i due ragazzi (Jim e Kip Ndr) erano convinti di essere i possessori della verità e hanno voluto dire l’ultima parola in merito. La cosa non ha funzionato, sarò onesto: è il nostro peggiore album! Posso anche rivelarti che Geoff aveva scritto alcune belle canzoni, ma era troppo tardi ormai. Quando tutto era pronto, Jim fu buttato fuori dal gruppo. Non ci si poteva presentare dal vivo con lui in quelle condizioni, metteva a repentaglio la nostra reputazione. Dopo un casino in Norvegia, capimmo che con lui era finita. Il periodo senza di Jim fu molto divertente, fu sostituito alla grande da John Culley dei Cressida. Con lui fu molto più facile lavorare.

Black Widow IV” è il vostro disco “fantasma” per antonomasia. Lo consideri un vero e proprio album dei BW o una mera operazione postuma?
Eravamo rimasti senza etichetta e avevamo perso un sacco di opportunità di lavoro. Registrammo questo disco come demo, nella speranza di trovare qualcuno disposto a pubblicarlo. Lo ritengo grandioso, vivevamo un bel periodo. Eravamo appena tornati dal tour italiano in compagnia degli Yes, che ebbero una grande influenza sul songwriting di Geoff. Tutti eravamo entusiasti, tranne Kip che lasciò il gruppo per raggiungere Jim. La loro idea era di portare avanti uno show itinerante di magia negli States. Il progetto fallì miseramente. Abbiamo reclutato così Rick E, l’ex frontman dei Twisted Siter, purtroppo a causa della nostra reputazione macchiata, l’album è uscito solo dopo molto tempo. Il master è rimasto sotto il mio letto per circa dieci anni, l’ho tirato fuori quando un mio amico, che aveva appena aperto la Mystic Records, è impazzito quando ha saputo che avevo un album inedito e il demo originale di “Sacrifice” con Kay alla voce. Così la Mystic ha pubblicato entrambi, il secondo con il titolo di “Return to the Sabbat”.

BW IV” è uscito anche per la Black Widow Record, etichetta italiana che in questi anni ha proposto un vostro album live e un tribute. Cosa ne pensi di questi due lavori?
La BWR mi ha contattato, ho scritto alcune canzoni per loro e ho partecipato come ospite in alcuni dei loro album. Ho fatto, in stile “Come To The Sababt”, per loro anche un’intro da inserire nel tribute album a noi dedicato. Nella tracklist troverai indicato “Intro”, io avevo chiamato il brano “Theme for Abingdonia”, dal nome della strada in cui vivevamo noi BW a Leicester. Il tribute è grandioso, alcune versioni sono completamente differenti dalle nostre!

Questi due ultimi album più la partecipazione in “SWTD” di Paolo Negri, tastierista dei nostri Wicked Minds, sembrerebbero dimostrare un forte legame tra voi e l’Italia…
Sì, Paolo è sempre stato un nostro fan e quando gli ho chiesto se voleva prendere parte al progetto, ha detto subito sì. Abbiamo avuto con noi il miglior tastierista del mondo, questo è fantastico! Inoltre, io ho suonato il flauto sul suo album, “The Great Anything”, così ho restituito il favore! Noi abbiamo moltissimi fan in Italia, in tanti ricordano ancora il nostro tour in compagnia degli Yes nei primi anni 70.

Apro una piccola parentesi da fan: credi che sia possibile in futuro il ritorno degli Agony Bag?
 Gli Agony Bag sono stati un grande divertimento. Si reggevano soprattutto sull’energia espressa dal vivo, come dimostra un video di “Rabies Is A Killer”, risalente al 1980, disponibile su Youtube. Da’ un’occhiata in giro e dimmi, se sei capace, un’altra band che abbia fatto o che fa sesso sul palco! Tu non sai quanto mi rende triste sapere che Geoff, il bassista degli AB, ha un cancro. Clive Box vive in Francia e Bruce, che incontro spesso, non suona più molto. Comunque i nuovi BW sono molto simili agli AB, quindi non tutto è perduto! Ho ancora del materiale pazzesco scritto in quel periodo e un live mal registrato… (E me lo dici così? Ndr)

Ti ringrazio per la tua disponibilità e lascio a te la conclusione di questa lunga chiacchierata…
Ti ringrazio per avermi fatto raccontare la storia dei BW dal mio punto di vista! Vorrei anche dire che abbiamo letto moltissime recensioni positive di “SWTD” e pochissime stroncature. Un ragazzo ha ammesso di averne scritto male solo perché è stato il giornale a chiederglielo… Voglio concludere questa intervista con una notizia negativa, anche se la cosa mi rattrista: mi è stato diagnosticato un cancro, quanto prima sarò operato. Sto rispondendo a questa intervista nel cuore della notte nel tentativo di scacciare via questo pensiero. I vostri auguri saranno tutti graditi. Scrivetemi pure collegandovi al sito http://www.blackwidowrockband.co.uk, cercherò di rispondere a tutti. Un grazie a coloro che ci hanno aiutato in questi anni, io e Geoff vi amiamo! Ah, dimenticavo, dal nostro sito potrete scaricare gratuitamente un singolo, “Christmas Time For Demons”, che abbiamo registrato per puro divertimento!

Black Widow - Sleeping with Demons - Amazon.com Music

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2011 in occasione dell’uscita di “Sleeping With The Demons 
http://www.rawandwild.com/interviews/2011/int_black_widow.php

Il Segno del Comando – Il volto della paura

Il “Volto Verde” è un grande album. Anzi un grandissimo album. Tornanti a sorpresa sul mercato, Il Segno Del Comando hanno piazzato il terzo colpo vincente della propria carriera, ormai legata inesorabilmente alle sorti dell’eminenza grigia del progetto: Diego Banchero.

Ciao Diego, innanzi tutto complimenti per il nuovo il “Volto Verde”. Quando hai capito che era arrivato il momento di dare un successore a “Der Golem”?
Il periodo di inattività successivo all’uscita di “Der Golem” è stato molto lungo, ma negli anni non si è mai smesso di discutere relativamente alla possibilità di uscire con un nuovo album. Fin da subito si erano ipotizzate nuove relise ed era anche stato svolto del lavoro (almeno sulle musiche e le parti grafico-pittoriche) seguendo l’ispirazione delle opere letterarie individuate per eventuali concept e studiate approfonditamente. Tuttavia, a poco a poco, ognuno dei vecchi componenti intraprese nuove strade artistiche o smise semplicemente di dedicarsi alla musica in maniera continuativa. Gli amici della Black Widow Records, che hanno spesso cercato di riportarci in studio dimostrando sempre un grande attaccamento al progetto, hanno insistito molto negli anni perché ne prendessi in mano da solo le sorti; visto che l’ipotesi di una reunion del nucleo compositivo storico si era dimostrata inattuabile. Mi ci è voluto un po’ di tempo per elaborare questa idea. I dubbi sono stati molti, ma poi ha prevalso l’amore per Il Segno del Comando e ho deciso di ripartire. A quel punto io e Massimo Gasperini abbiamo iniziato a contattare molti musicisti svolgendo un lavoro certosino per formare una nuova line up. Nel frattempo, ho iniziato a scrivere i brani e tutto è venuto molto più spontaneo del previsto. Ci siamo comunque presi tutto il tempo necessario per sperimentare con calma e provare più soluzioni. Per dare un riferimento temporale che risponda alla tua domanda, direi che la decisione di ripartire sia stata presa nel 2009.

Ancora una volta hai scelto una novella di Gustav Meyrink, già autore del Golem per costruire il concept su cui verte l’album. Cosa ha di tanto particolare questo scrittore?
Ciò che ha stimolato e che tiene vivo il mio interesse per i suoi scritti da molto tempo è da ricercarsi principalmente in un aspetto: l’attualità. E’ infatti straordinario per me notare come le sue analisi abbiano resistito al passare del tempo. Queste, come del resto le sue critiche sociali, restano valide anche per i giorni attuali e, le sue soluzioni, se comprese, risultano addirittura innovative ed efficaci per la nostra epoca (in cui si assiste al fallimento più o meno generalizzato di tutte le ricette prodotte per salvare il genere umano dal proprio declino). Anzi, il comprendere la sua opera, può addirittura aiutare ad individuare gravi pericoli che si annidano nelle concezioni metafisiche che hanno accompagnato l’umanità nei millenni e che sono tuttora imperanti o quantomeno molto influenti. Le sue concezioni possono essere di aiuto all’uomo nel tentativo di liberarsi dalle schiavitù mentali che lo rendono impotente evitandogli di attivare le proprie risorse creative interiori. Nei suoi scritti, sono presenti critiche al pensiero borghese, a visioni politiche e attitudini sociali pericolose e anche a determinate dottrine religiose ed esoteriche che spingono verso l’abisso. Le sue opere evidenziano una tendenza alla ricerca che ha lo scopo di portare ad una profonda conoscenza di sé stessi; come prerequisito fondamentale per avvicinare l’individuo ad una condizione di illuminazione (o risveglio). Chi non riesce o non vuole compiere questo percorso di crescita rischia di restare a far parte della massa formata da coloro che vivono in una condizione molto simile a quella del sonno.
Meyrink ha attirato l’interesse di molti illustri pensatori del ‘900 proprio grazie alla profondità del suo pensiero e questo è dovuto al fatto che egli fosse un precursore di idee e visioni all’avanguardia.

Il vostro nome trae origine da un noto sceneggiato trasmesso dalla Rai nei primi anni 70. Il romanzo omonimo è opera di Giuseppe D’Agata, quali credi che siano i punti di contatto tra l’autore italiano e quello austriaco?
Il filo rosso che ci ha spinto ad occuparci di questi due autori (così lontani tra di loro) è da ricercarsi in un retaggio culturale del vecchio continente che in qualche modo abbiamo cercato di recuperare. D’Agata, con il suo romanzo e con il serial de Il Segno del Comando di cui è stato anche lo sceneggiatore, ha rappresentato uno degli esponenti di una italianità geniale via via venuta meno per lasciare il passo al progressivo appiattimento qualitativo cui oggi assistiamo. Noi veniamo principalmente dagli anni 70-80 e abbiamo assistito alla nascita dell'”arte spazzatura” che ha preso progressivamente il posto precedentemente occupato da pagine memorabili della nostra cultura nazionale. Ebbene D’Agata è sicuramente uno degli artefici della magica epoca che ha preceduto il break down che ha originato l’impoverimento che oggi caratterizza per lo più il mainstream di musica, cinema, arte e televisione. In sostanza, noi ragazzi delle “paludi nichiliste” degli anni ’80, abbiamo sentito la necessità di salire su una zolla di terra salvatasi dai fanghi per compiere a ritroso un percorso di recupero delle tradizioni del nostro continente. Dopo un primo viaggio fino ai confini della memoria per ritrovare le suggestioni della nostra infanzia (ovvero quelle della tv in bianco e nero), abbiamo sentito l’esigenza di spingerci oltre e cercare radici più profonde. Qui è venuto l’interesse per tutta una serie di autori tra cui Meyrink. Quindi in realtà i punti di contatto, più che da ritrovare nel contenuto degli scritti di questi due autori, sono da ricercare nelle associazioni compiute dalle nostre menti spinte dalla volontà di riscoprire le proprie origini.

E’ stato difficile tradurre in versi l’opera e, soprattutto, è nata prima la parte musicale o quella lirica?
Come avviene quasi sempre nel mio modo di lavorare, è nata prima la musica. Solitamente, prima strutturo delle composizioni abbastanza complete con una idea definita di pulsazione ritmica, di armonia, melodie principali e contrappunto e solo dopo scrivo i testi. Anche in questo caso ho proceduto in siffatto modo. Non ho avuto grosse difficoltà nel tradurre in versi l’opera. Anche perché questa mi era entrata dentro in maniera molto forte.

I testi denotano una cura particolare per il lessico utilizzato, caratteristica che ho riscontrato anche nei tuoi lavori con gli Egida Aurea. Da cosa nasce questa tua volontà di utilizzare termini molte volte desueti?
La ricerca lessicale (se ce n’è stata una) che è alla base del mio approccio lirico si basa sul fatto di sfruttare termini che da soli diano vita ad una costellazione di associazioni mentali stimolando l’immaginazione dell’ascoltatore. Questa caratteristica, che fin da bambino ho rilevato in autori come De Andrè, mi ha sempre affascinato e ho cercato di farla mia. Inoltre, c’è anche la volontà di non collocarsi in un’epoca precisa dal punto di vista narrativo. Solitamente la tendenza odierna è quella di adottare degli “slang” quando si scrivono i testi. Questi slang sono fortemente legati all’epoca storica in cui sono stati prodotti. Io non voglio uniformarmi a questo approccio, ma preferisco piuttosto mantenere aperto un continuum spazio-temporale con il passato. Un passato in cui la lingua stessa era più ricca (o forse semplicemente meno contaminata da tendenze imposte da un mondo globalizzato). Anche l’utilizzo di termini ormai meno diffusi è dovuto all’efficacia di alcune di queste parole nel centrare determinati concetti. Nonostante ciò, cerco di mantenere una buona fruibilità sia nella musica che nei testi. Non mi interessa compiacere pochi intellettuali, ma semmai aprire nuove vie che la persona media possa riscoprire come alternative a quanto viene imposto dai canali ufficiali.

In alcuni pezzi ho riscontrato delle influenze Egida Aurea, come per esempio nel brano d’apertura. E’ una mia impressione o quell’esperienza ha in parte condizionato il processo creativo de Il Volto Verde?
Egida Aurea è stato il primo progetto in cui (stufo di dover dipendere dall’aiuto di altri e spinto dalla necessità di non ritrovarmi ridotto all’immobilità) mi sono messo a curare i testi. Prima non me n’ero mai occupato e avevo sempre preferito delegarne la realizzazione ad altri. E’ in questo progetto che è nato il mio modo di scrivere. Chiaramente cambiano le tematiche, ma l’impronta resta e forse questa impronta si fa evidente in ogni mio disco. Non nascondo però che ne Il Volto Verde c’è anche una sorta di evoluzione di concetti e pensieri, già sviluppati con Egida Aurea, volta ad approfondirne le dimensioni esoteriche.

Come è stato lavorare a un album del Segno senza Mercy?
E’ stata chiaramente una esperienza molto strana (almeno inizialmente). Non posso negare questo. Però nel contempo mi ha permesso di compiere un percorso di crescita che non è privo di soddisfazioni e di sensazioni positive. In questi anni grazie a tutti i progetti che ho seguito (di cui Il Volto Verde rappresenta ad oggi lo scalino conclusivo) sento di avere sviluppato una maturità che mi fa sentire molto bene dal punto di vista artistico.

In compenso sul disco compaiono una miriade di artisti sia come componenti effettivi della band sia come ospiti. In base a quale criterio hai scelto le persone con cui collaborare?
Il Segno del Comando è sempre stato un gruppo soggetto a cambi di line up (forse su questo ha influito anche il fatto che fino ad oggi sia rimasto un progetto esclusivamente da studio). Per quanto riguarda la scelta di alcune star che sono comparse nel disco, posso dire di aver seguito semplicemente i miei desideri di fan onorato di accogliere alcuni tra i musicisti che ritengo miei maestri (come ad esempio Gianni Leone e Claudio Simonetti). Ho poi invitato altri esponenti della scena italiana ed internazionale per i quali nutro una grande ammirazione (Paul Nash, Freddy Delirio, Martin Grice, Sophya Baccini) ritenendo che, grazie alle loro capacità personali e al loro stile, avrebbero arricchito di molto il disco; e così è stato. Per il resto la scelta è stata dettata semplicemente dalle caratteristiche musicisti. Non è semplice entrare nel mood di questo progetto e quindi è stato necessario selezionare chi aveva le attitudini adatte a renderne al meglio le sonorità.

La butto là: vi vedremo mai dal vivo? Magari con una rappresentazione teatrale…
Sì, è mia intenzione portare Il Segno del Comando dal vivo. Sto infatti lavorando alla definizione di una line up stabile che oltre ai concerti si occupi dei prossimi capitoli discografici. A breve entreremo in sala prove e stiamo già pianificando una prima uscita indicativamente per il prossimo autunno.

Piccolo passo indietro: tempo fa mi è capitato di recensire l’album “TRE” dei Pierrot Lunaire, disco che conteneva degli inediti della band oltre che una sorta di appendice tributo. Voi vi avete partecipato con “Lady Ligeia”: cosa ricordi di quell’esperienza?
Ricordo che quell’esperienza ha rappresentato un test importante in vista di realizzare Il Volto Verde. Abbiamo suonato tutto io e Roberto Lucanato. Ho realizzato un arrangiamento per basso e chitarra di una composizione che in origine era per pianoforte. Inoltre, mi sono concesso un ruolo melodico/tematico lasciando emergere il bassista che è in me e che ultimamente è messo sempre più da parte per lasciare spazio al compositore.

In conclusione mi sembra fuori luogo chiedere a una band come la tua quali siano i progetti futuri, lontani come siete da certe logiche, credo che dovremo aspettare un bel po’ prima di vedere del nuovo materiale. Per questo ti chiedo quali sono quelli di Diego Banchero, magari un insperato ritorno dei Malombra?
Voglio fare in modo che l’attività de Il Segno del Comando diventi più regolare e raggiunga un livello prioritario. Negli anni ho sofferto molto a causa dei periodi di inattività della band. Chiaramente non voglio trascurare né gli altri miei gruppi (Ballo delle Castagne, Egida Aurea) né collaborazioni che sono per me molto stimolanti (Blooding Mask, ZSP, Lupi Gladius). Queste stanno procedendo ed abbiamo agende piene di progetti e impegni. Con gran sicurezza posso dire invece che non ci sarà un ritorno di Diego Banchero con Malombra. Questa la vedo come un’ipotesi praticamente impossibile da verificarsi.

Grazie di tutto, a te la chiusura
Voglio utilizzare questo ultimo spazio per ringraziare te e la redazione per averci accolto su Raw and Wild.

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2014 in occasione dell’uscita de “Il Volto Verde”.
http://www.rawandwild.com/interviews/2014/int_ilsegnodelcomando.php

Voivod – Telefonate dallo Spazio

Creatura fantastica i Voivod, da sempre al di fuori da regole e schemi stilistici. Però la prematura morte di Piggy ha assestato un duro colpo al carrarmato canadese, sembrerebbe che il nuovo “Infini” possa essere l’ultima opera del combo. Di questo e altro abbiamo parlato con Snake, ormai ritornato in pianta stabile a ricoprire il ruolo di cantante della band.

Ciao Snake, la pubblicazione di “Infini” se da un lato rappresenta un lieto evento per tutti i fan della band, dall’altro potrebbe rappresentare anche il vostro ultimo album. Confermi questi rumors?
Quel che è certo è che questo è l’ultimo album con Piggy. Sarà il tempo poi a stabilire se saremo in grado di creare musica senza di lui. Dan Mongrain potrebbe essere la chiave per il futuro, lui è cresciuto con i Voivod e Piggy. Conosce le composizioni di Piggy meglio di chiunque altro. Vedremo.

Hai definito “Infini” l’ultimo album con Piggy, infatti tutte le tracce di chitarra provengono dai suoi demo, così come erano registrate. Quanto è stato difficile per voi cucirci un disco intorno?
Dal punto di vista tecnico la maggiore difficoltà è stata quella di suonare su quelle tracce la batteria. Non è proprio un modo ortodosso di scrivere un album. Away ha dovuto adattarsi quello che era già stato fatto e questa è una cosa stressante che richiede molta concentrazione. Però ascoltare Piggy nella tua cuffia ti suscita tutta una serie indescrivibile d’emozioni…

Quali sono gli argomenti trattati nei testi?

Alcuni chiaramente sono riconducibili a Piggy, soprattutto “Morpheus”. Poi ce ne sono altri relativi ai disastri ambientali, viaggi spaziali, storie di fantascienza, critica social, vita di strada, ecc…

Da più parti si sussurra che  Blacky suonerà nuovamente con voi in alcuni festival estivi…
Sì, Blacky  ci sarà con il suo big blower bass. Con lui ci sarà anche Dan, sarà sicuramente interessante osservare questa coppia…

Nella discografia dei Voivod ci sono degli album sottovalutati?
Secondo me lo sono “Angel Rat” e “Outer Limits” (entrambi con Snake alla voce, in particolare “OL” ha sancito il primo divorzio tra il cantante e i Voivod NDR) .

Che genere di musica ascolti in questo momento della tua vita?
Dato che ci avviciniamo all’estate, prediligo qualcosa di semplice, rilassante e divertente. La musica più oscura e triste si addice maggiormente all’inverno. Ma poi dipende tutto dagli stati d’animo…

A questo punto non puoi esimerti da consigliare alcuni album ai nostri lettori…
Metallica – Death Magnetic
NiN – Ghosts
Down – Over the under
Motorhead – Motorizer
AC/DC – Black ice

I Voivod hanno sempre associato la propria immagine alla tecnologia. Cosa ne pensi allora degli sviluppi tecnologici che hanno portato al fenomeno del file-sharing?
È un movimento in perenne sviluppo. Io spero che l’industria discografica trovi un sistema per poter distribuire la musica evitando questi furti. Questa situazione  ha un impatto negativo sui musicisti, e tutti quelli che condividono i file non rispettano il lavoro altrui…

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2009 in occasione dell’uscita di “Infini”.
http://www.rawandwild.com/interviews/2009/int_voivod.php

Angband – 100% metallo persiano

La vita per i metallari in Italia è complicata? Provatelo a dire a Mahyar Dean, il leader degli iraniani Angband, autori del debutto “Rising from Apadana” (Pure Steel Records).

Ciao Mahyar, potresti presentare la tua band ai nostri lettori?
Ciao Giuseppe, Beh io alla chitarra, Ashkan Yazdani alla voce, Ramin Rahimi alla batteria e percussioni e, di recente, un giovane musicista di talento, chiamato Bass M. Halaji, si è unito al gruppo.

Quando ho letto il tuo Paese d’origine ho detto: “ok, un altro album con influenze folk…”, ma durante l’ascolto mi sono trovato di fronte a un CDdi fottuto Heavy Metal! Quali sono gli artisti che ti hanno influenzato?
Un sacco di grandi band come Death, Judas Priest, King Diamond, Iron Maiden, Blind Guardian, Iced Earth, Megadeth e molti altri. Ascolto anche musica classica e monodie folk persiane.

Allora, passiamo alla disamina di “Rising From Apadana”
“Rising From Apadana” è un power metal/thrash album con alcuni spunti progressive ed epic. Abbiamo lavorato sodo per questo disco.

La voce di Ashkan Yazdani mi ha ricordato quella di King Diamond…
Sì, ci piace molto King Diamond. Ashkan ha un grande talento e alcuni dicono anche che la sua voce assomigli a quella di Matt Barlow degli Iced Earth .

Di cosa parlano i testi?
La maggior parte dei testi sono inerenti a fatti di vita e alla storia antica della Persia, come “The King’s Command”, che parla di Ciro il Grande.

Sei felice del risultato finale o, potendo, cambieresti qualcosa?
Sì Sono davvero felice, tenendo presente che abbiamo avuto un termine per il completamento, dato che Ashkan era in partenza per la Svizzera, e abbiamo dovuto finire l’intero album in 3-4 mesi. Certo se avessimo avuto migliori apparecchiature, avremmo potuto fare ancora meglio.

Della copertina cosa mi dici?
Mio fratello Maziar Dean ha fatto la foto e l’ha modificate ad opera d’arte; lui è un grafico professionista e fotografo.

Soddisfatti del lavoro svolto dalla Pure Steel Records?
Si, Andy e Markus Lorenz sono cool metal brothers che credono nel vero metallo, anche Rocco Stellmacher ha fatto un buon mastering.

Oggi, qual è lo stato di salute di metallo in Iran?
Buono: adesso ci sono un paio di formazioni che suonano cover strumentali in piccoli teatri, e si possono vedere all’opera giovani amanti del rock e del metal. Negli anni 70 c’erano un sacco di fan del prog rock nel nostro Paese e il metal ha radici profonde qui. Penso che se non vi fossero problemi con la legge la scena sarebbe grande come in Giappone!

Attività dal vivo?
Nulla per ora, ma speriamo che si possa fare qualcosa dal vivo dopo il nostro secondo album, che dovrebbe uscire nel 2009.

Le ultime parole famose…
Prima di tutto grazie a te e ai tuoi… E come diceva il mio borther of metal Cuck Schuldiner (Mahyar ha scritto la biografia ufficiale dei Death) (RIP): “Let the Metal Flow”.

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2008 in occasione dell’uscita di “Rising from Apadana”.
http://www.rawandwild.com/interviews/2008/int_angband.php

Treponem Pal – La macchina francese

Per chi come me ha vissuto i primi anni novanta in “presa diretta” i Treponem Pal hanno un significato particolare. Erano uno di quei gruppi che facevi ascoltare agli amici quando volevi far colpo. E il più delle volte ti ritrovavi con un pugno di mosche in mano. Troppo geniali per essere capiti da tutti. Dopo un lungo silenzio eccoli nuovamente tra noi con il monumentale “Wierd Machine”, un album che probabilmente passerà inosservato come tutti i precedenti. Ma cosa c’è di meglio dell’essere dei geni incompresi?

Ciao Marco, come stai?
Molto bene, grazie.

Cosa ti ha spinto a riformare la band?
Avevo bisogno di tirare fuori da me un sacco di energia!!! Vedere come è ridotto il mondo mi tristezza e invece di reagire impugnando una pistola ho preferito tornare alla musica.

Credo che “Wierd Machine” sia un grande album. Un grande album punk! Sei d’accordo con me?
L’hai detto! E’ esattamente così, io ripeto sempre che il sound del nuovo TPAL è molto più punk e psichedelico che in passato…

Quando hai iniziato a scrivere le canzoni di “Wierd Machine”?
Abbiamo iniziato circa due anni fa, ed è venuto tutto fuori in modo veloce e rapido!!! E non è così ovvio come puoi credere! (ci hai messo due anni, come posso credere che sia ovvio? Ndr) Ma il modo di lavorare che abbiamo attualmente è quello che la gente intorno a TPAL gradisce. E la gente da noi vuole solo a rebellious music with no compromise…

Immagino che i testi vadano in questa direzione…
Parlano di libertà! !! Lotta agli oppressori e ai dittatori che sono ancora tanti su questo fottuto pianeta! Poi contengono un invito ad essere sé stessi, semplicemente sé stessi. E di rispetto per l’umanità che ci circonda.

Cosa ti aspetti da questo album?
Che venda milioni di copie… domanda semplice… risposta semplice… Ma principalmente che mostri alla nostra audience che siamo tornati! Questo disco è un vero trip …. o lo ami o lo odi! and that’s it !!!

Le parti di basso sul disco sono suonate dal grande e sfortunato Paul Raven (Kiling Joke, Prong e Ministry sono alcune delle band in cui ha militato prima di esser trovato morto il 20 ottobre 2007). Cosa ricordi di lui?
Solo il meglio. Un uomo forte! Un vero ribelle! Un vero rude boy!!!! Non un angelo, ma un vero amico del tipo di uomo che ti lascia mai nella merda. Riposa in pace fratello mio!

Una novità importante è il passaggio alla Listenable Records…
Sino ad ora nulla da ridire su di loro. Si stanno comportando con noi al meglio. Vedremo cosa accadrà in futuro.

Alcuni mesi fa la Metal Mind Records ha pubblicato un cofanetto con tutti i vostri vecchi album. Soddisfatto dell’operazione?
Sì, molto. Anche perché siamo stati parte attiva nell’operazione.

Ok, è tutto. Grazie Marco.
KEEP THE FIRE BURNING!!!

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2008 in occasione dell’uscita di “Weird Machine”
http://www.rawandwild.com/interviews/2008/int_alexschiavi.php

The Ocean – Benvenuti nel Precambriano

I The Ocean hanno pubblicato uno degli album migliori del 2007. “Precambrian”, infatti, è stato premiato con voti altissimi dai magazine e dalle webzine di mezzo mondo. Non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con Robin Staps, il vero padre e padrone del “collettivo” The Ocean.

Ciao Robin, andrebbe di presentarci la band?
I The Ocean sono un vasto universo sonoro formato da molte componenti che includono i tipici strumenti rock quali batteria, basso, chitarre e voce, ma anche strumenti “classici” come archi, fiati, videoproiettori e giochi di luce. Se dovessi descrivere la nostra musica avrei delle difficoltà perché spaziamo da canzoni brevi e furiose a composizioni lunghe e “orchestrali”. Qualcuno ha descritto il nostro sound come “cinematografico” e io credo che in qualche modo questo sia esatto.

Delle vostra predente produzione cosa puoi dirci?
Abbiamo pubblicato un CD strumentale di debutto intitolato “Fogdiver” nel 2003, seguito da “Fluxion” nel 2004′. “Fluxion” ha visto l’introduzione della voce e aveva un mucchio di canzoni epico-orchestrale grazie agli strumenti a corda, ai fiati e alle sezioni di ottoni. Nel 2005 abbiamo firmato per la Metal Blade Records e rilasciato il nostro terzo album “Eolie”. Questo è stato un passo indietro con il ritorno a una formazione ridotta con batteria, basso chitarre, voce. Un album molto pesante e furioso. Con il nostro nuovo album “Precambrian” abbiamo praticamente ripercorso tutta l’intera gamma sonora degli album precedenti.

Complimenti, credo che “Precambrian” sia uno dei migliori album del 2007. Come lo descriveresti?
“Precambrian” è un opulento viaggio sino al principio dei tempi della durata di 84 minuti.

Quando avete iniziato a scriverlo?
Nell’estate del 2005. Ci sono voluti quasi due anni per completarlo.

E come è stato accolto?
In maniera grandiosa! E’ stato votato “album del mese” su ben cinque giornali europei e ha ricevuto commenti positivi sia dai fan che dagli ascoltatori.

Come nasce una vostra canzone?
“Precambrian” è musica al 100% . Io scrivo tutta la musica nel mio laboratorio, a casa, con l’aiuto delle mie macchine. Registro ogni canzone e la suono ai miei ragazzi. Discutiamo e lavoriamo su di esse, ma alla fine il risultato di solito è molto vicino alle pre-produzioni, in termini di parti e arrangiamenti. Più strati vengono aggiunti man mano che si va avanti con la produzione. A volte, qualcuno di noi suona in studio le proprie idee, ma queste per lo più sono focalizzate sul proprio strumento, senza quindi che si abbia un’idea globale di come possa essere il brano con tutti gli altri strumenti. Questo vale finché l’album non è concluso… In ambito creativo, in un certo senso, siamo una one-dimensional band, una one-man-project… E tutti sappiamo che se fosse stato diverso, non ci sarebbe stato alcun album come “Precambrian”. Non è il tipo di album che si ottiene lavorando tutti in sala prove! Prova solo ad immaginare che cosa sarebbe successo se i 26 musicisti si fossero messi a jammare e a discutere… Non avrebbe funzionato. La gente con cui sto lavorando ora è d’accordo alla fine con il fatto che io sia il despota creativo. Alcuni di loro hanno altre bande dove realizzare le proprie visioni creative. È grande poter lavorare con musicisti che vogliono fare la loro parte all’interno di uno schema, senza smanie di protagonismo in ogni canzone.

Il vostro suono mi ha ricordato band quali Neurosis, Tool, Messhugah…
Apprezzo queste band, ma non credo che i T.O. suonino come alcune di loro…

Cosa puoi dirmi sul concept di “Precambrian”?
Il Precambriano è stato il primo capitolo dell’evoluzione del pianeta terra. Esso è suddiviso in due epoche: Adeano/Archaean e Protozoico. I due dischi portano questi nomi. Queste epoche sono ulteriormente suddivise in periodi geologici, che funzionano come canzone/titoli. Quindi, il concetto si evolve intorno ai primi giorni della madre terra, che è stato poi un terrificante luogo privo di vita e pieno di zolfo attraversato dai rossi flussi di lava incandescente … Durante il Proterozoico la terra cominciò a raffreddarsi un po’, l’atmosfera iniziò a formarsi e le prime forme di vita semplice fecero la loro comparsa. Questo si riflette nella musica: l’Adeano / Archaean è la parte del disco più cruda e brutale. Quasi una continua ‘Eolie’ tanto è sinistro, con una strumentazione di base di batteria, basso, chitarra e voce. Il Proterozoico è la parte del disco più complessa, più morbida, ancora pesante a volte, ma con tanti momenti atmosferici che danno all’ascoltatore spazio per respirare tra le “eruzioni”.

I testi sono stati influenzati dall’opera del proto-surrealista Lautréamont…
Lautreamont ha avuto un’enorme influenza sui testi di questo album. Il suo ‘Chants di Maldoror’ è probabilmente la più eclatante e inesorabile “war with words” nella quale abbia sbattuto il naso. È così pieno di dispetto, la passione, l’ironia oscura e odio profondo per l’uomo e le sue virtù… così mi è parso che questo album potesse essere la colonna sonora per il Chants … Quindi è stato naturale cercare di adattare alcune di quelle parole blasfeme alla musica e ho finito per avere due canzoni che sfruttano esclusivamente interi passaggi del “Chants’: Mesoarchaean / Legions of Winged Octopi” e “Neoarchaean / To Burn The Duck of Doubt”, entrambi su “Hadean / Archaean”. Altri riferimenti sono più qua e là nel cd. Inoltre, il libretto di “Proterozoic” contiene delle citazioni tratte dal “Chants”, alcune di loro contengono grandi metafore oceaniche: “Tu ci sarai nella mia ultima ora e mi trovai circondato da sacerdoti. Voglio morire cullato dalle onde del tempestoso mare”.

L’artwork è splendido…
E’ stato sviluppato intorno al concetto di ‘Precambriano’. Mostra immagini di lava e roccia basaltica lavorate con diverse tecniche di stampa speciali che sfruttano colori metallici e vernice UV brillante. Il digipak è costituito da due strati: lo strato superiore è bucato e quando si fa scorrere la diapositiva del libretto sottostante si ha l’impressione di vedere lava incandescente rosso attraversare il foro. Il packaging è stato non solo costoso, ma estremamente difficile da ottenere e ha richiesto tempi lunghi per la produzione. Ci siamo scambiati mail contenenti le bozze avanti e dietro un intero mese. Alla fine, per ottenere l’involucro che avevamo ideato è stato necessario utilizzare due fabbriche in Cina, in Europa nessuno era in grado di produrlo. Come se non bastasse la pellicola UV lucida ha causato ulteriori problemi con alcune sottili linee… In breve, è stata una catastrofe. Ma visto il risultato, alla fine n’è valsa la pena. I ragazzi della Metal Blade mi hanno detto che non avevano mai visto nulla di simile prima. Non posso dargli torto! Un ringraziamento va a Martin Kvamme, il designer!

Soddisfatto del lavoro svolto dalla MetalBalde?
Sì, hanno fatto un ottimo lavoro

Piani per un eventuale tour?
Saremo di nuovo in tour praticamente tutto il mese di marzo e quello di aprile 2008. Sarà il nostro primo tour da headliner e saremo in compagnia di Rotten Sound, Victims and Coldworker. Un “pacchetto” inusuale, ma ancora una sfida per noi dal momento che siamo diversi dalla altre band. Vedremo come andrà con i fans dei Rotten Sound. Il tour toccherà la Grecia per un paio di spettacoli, poi una settimana intera la Francia nel mese di aprile. Poi toccherà all’est Europa e a gli USA. Tutto si concluderà con l’Hellfest …

Le ultime parole famose…
Correte a comprare “Precambrian”. Supportate le band e i musicisti che pongono particolari attenzioni nella cura dell’artwork, acquistando i loro cd. Non vi accontentate di scaricare dei semplici dati da un pc. Grazie.

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2008 in occasione dell’uscita di “Precambrian”
http://www.rawandwild.com/interviews/2008/int_ocean.php