Oltre la solita musica c’è chi osa. Nel novero ristretto degli audaci sperimentatori di strambe alchimie musicali possiamo citare senza dubbi gli italici Ottone Pesante. In molti aspettavano con curiosità “Doomood” (Aural Music), in pochi ne resteranno delusi, perché ancora una volta ci troviamo innanzi a una gemma di brass metal.
Ciao ragazzi, è in rampa di lancio “Doomood”, il vostro il nuovo lavoro, sicuramente quello circondato da maggiore attesa da parte del pubblico, questo fattore ha pesato in fase di realizzazione?
Francesco: Direi proprio di no, abbiamo lavorato con la solita voglia di sperimentare e di proporre qualcosa di unico, se ci fossimo posti dei problemi rispetto ad un pubblico, forse non avremmo mai dovuto iniziare ahah…
Ho letto che il disco è stato composto in maniera palindroma, ascoltandolo al contrario non si evoca Satana, ma si sente esattamente la stessa musica del verso originale? Scherzi a parte, come è nata l’idea di questa struttura particolare?
Francesco: Esatto, ascoltandolo al contrario si sente la stessa musica! Voglio dire: non è esattamente uguale al contrario, ma c’è sempre una voce (tromba, trombone o entrambe) che suona come se fosse allo specchio. Ci possono essere sottili variazioni tra un riff e il suo palindromo, quello che non varia è l’altezza e l’ordine delle note. L’idea è nata dal fatto che avevamo già chiaro il titolo del disco e quando ho cominciato a selezionare il materiale per “DoomooD” ho realizzato questa cosa e ho cercato di metterla in pratica.
Per le registrazioni vi siete rivolti a ben tre studi – Studio 73 (Ravenna, Italy), Studio Pesante (Faenza, Italy) e Zeta Factory (Carpi, Italy) – prima del missaggio finale di Riccardo Pasini agli Studio 73. Quali sono stati i motivi tecnici che vi hanno portato all’utilizzo di ben tre sale differenti?
Paolo: I motivi sono sia pratici che tecnici: abbiamo registrato le tracce di fiati “puliti” nel nostro studio (Studio Pesante); questo ci ha permesso di lavorare al meglio e senza fretta in un ambiente che conosciamo molto bene e ci è familiare. Le batterie sono state registrate allo Zeta Factory che ha una bellissima stanza per curare al meglio gli ambienti e registrare al meglio la batteria. Il reamp dei fiati sono stati fatti allo Studio 73 dove ci siamo potuti sbizzarrire senza limiti e dove abbiamo anche mixato e masterizzato il tutto.
“Doomood” è il primo album per un’etichetta, l’Aural Music: cambio di filosofia o scelta dettata da motivi pratici?
Paolo: Fin dall’inizio con OP siamo partiti da soli in piena filosofia DIY curando tutto in prima persona. Già da qualche tempo eravamo in contatto con Aural che si era dimostrata interessata al progetto e con questo disco siamo finiti nel roster. Quello che ci è piaciuto di Aural è l’approccio e il supporto che viene dato per far crescere progetti particolari come il nostro con piccoli (ma grandi) passi come avere una distribuzione globale e potersi raffrontare con un’etichetta che ha molta esperienza sul campo. Non lo vediamo come un cambio di filosofia ma come darsi una mano per il bene del progetto e per far conoscere quello che facciamo a più gente possibile.
Qual è il mood del doom e come si sposa con i gli ottoni?
Francesco: È un disco molto scuro, angosciante, drammatico e anche più ambientale. Siamo molto soddisfatti dei suoni e del risultato ottenuto. Di sicuro, a livello di suono, è il disco più vario e pesante finora e devo dire che il matrimonio tra il suono pulito degli ottoni e quello effettato passato attraverso gli amplificatori è perfettamente riuscito!
Qualche settimana fa ho intervistato Sven Dirkschneider, attualmente batterista dell’omonima band del padre, Udo. Con il suo gruppo ha da poco pubblicato un album orchestrale, preferendo agli archi gli ottoni, perché a suo dire si sposano meglio con la musica heavy, rendendola ancora più pesante. Immagino che la pensiate come lui…
Francesco: Forse perchè ancora non ci conosce!!!! Comunque qui il discorso potrebbe essere lungo, ma per farla corta: tutto dipende da come usi gli strumenti. Credo la sua idea dipenda dal fatto che gli archi sono strausati e molto conosciuti in un certo tipo di Metal, mentre gli ottoni molto meno. Se ascoltasse “La Sagra della Primavera” di Stravinsky, “Maria Bertel” o gli “Imperial Triumphant”, cambierebbe subito idea.
Molti si lamentano della penuria di date dal vivo, magari puntando il dito contro le trbute\cover band accusate di aver reso il pubblico meno attento alla musica inedita. Nel vostro caso, ci troviamo innanzi non solo a un progetto inedito, ma che non vanta addirittura epigoni, questo vi rende più appetibili per i locali oppure sono pochi quelli pronti a correre il rischio di proporre un qualcosa di originale?
Francesco: Per quel che ci riguarda, il fatto di essere così unici e trasversali, ci ha permesso di suonare tantissimo in locali / club / squat / teatri ecc… di diversissima vocazione: dal Jazz, al Rock / Metal, Noise ecc. Quei pochi posti che ancora fanno un certo tipo di musica (e non solo intrattenimento) sono alla continua ricerca di novità e si prendono anche dei rischi. Il problema è che sono sempre meno e sempre meno frequentati. La diffusione delle cover band, secondo me è determinata dalla fine di interesse verso un certo tipo di rock. Chi va a vedere una cover band è interessato allo “spettacolo”, non alla musica.
Qual è il vostro pubblico di riferimento? Credo che alla fine il vostro genere si abbastanza trasversale.
Paolo: Il nostro pubblico di riferimento è un pubblico curioso, in cerca novità e che ama essere stupito. Può provenire dal Metal come dal Jazz o semplicemente apprezzare la musica in generale. Diciamo che “parliamo la lingua” dei metallari con strumenti di tradizione popolare/jazzistica e questo ci permette di avere un pubblico veramente trasversale sia in termini di età che di ascolti.
Vorrei fare un passo indietro, tornare ai giorni in cui il vostro sound è nato, chi ha avuto l’idea di mettere su il progetto e quali difficoltà avete incontrato nel mettere in pratica quello che avevate ideato a tavolino?
Paolo: L’idea è venuta a me e Francesco. Stavamo provando un brano che Francesco aveva scritto e ci siamo detti: “se ci mettiamo una batteria con doppia cassa questo è metal” e da lì siamo partiti. In seguito ci siamo focalizzati sui generi più estremi del metal cercando di renderci la vita il più difficile possibile. Le difficoltà ci sono state e vanno dal riuscire a suonare un intero concerto (40/45 min all’inizio) in cui soffi tutto il tempo a far capire a pubblico e critica che facevamo sul serio. Abbiamo dovuto imparare come suonare questa musica con i nostri strumenti e ottenere il suono e la violenza che stavamo cercando. Con il tempo siamo riusciti ad allungare i nostri set, ad esseri presi sul serio e ad avere il suono che cercavamo.

Grandissimi Ottone Pesante, veramente unici!!! \m/
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