Duocane – rAmen

A due anni di distanza dal primo album ufficiale “Teppisti in azione nella notte”, torna ad affacciarsi sulle scene il power duo pugliese Duocane, una delle band di culto della scena underground rock del Sud Italia. “rAmen” è il secondo album ufficiale della band composta da Stefano Capozzo e Giovanni Solazzo, uscito il primo Marzo 2024 e orgogliosamente autoprodotto. Dieci tracce che spaziano dal noise all’hardcore-punk, passando per lo stoner, il post rock e la psichedelia, più un doveroso omaggio alla mitica punk band californiana Agent Orange

Ciao ragazzi e bentornati sul Raglio de Mulo. E’ uscito da un paio di mesi il vostro secondo disco “rAmen”, mi parlate un della genesi di questo disco e cosa è cambiato rispetto a “Teppisti in Azione nella notte”?
Giovanni: Ciao a te, grazie dell’invito! Allora, dal punto di vista di come abbiamo fatto questo disco nuovo non è cambiato granché. Anzi, alcuni pezzi di “rAmen” li avevamo già più o meno pronti al tempo di “Teppisti…”, c’abbiamo messo solo un po’ più di tempo per finirli, cercando di metterci un po’ più di cura e attenzione ai dettagli. L’approccio è rimasto fondamentalmente lo stesso, solo abbiamo cercato di approfondire e allargare un po’ di più il tutto (a livello di sonorità, ospiti, cura del particolare, ecc).
Stefano: “rAmen” è un album che abbiamo voluto rendere “fintamente orecchiabile” con qualche accenno alla forma canzone tradizionale nei primi brani e man mano che si ascolta, si va sempre più a destrutturare il tutto. Credo che a differenza di “Teppisti…” ci sia una maggiore consapevolezza di quali sono le nostre capacità e i nostri limiti che cerchiamo di abbattere evitando di cadere in una formula prestabilita. L’obiettivo, se vogliamo chiamarlo così, è quello di poter agire in un campo sterminato di possibilità creative senza nessun tipo di imposizione e condizionamenti esterni (etichette discografiche, “cosa funziona”, visual, ascolti ecc…).

Nonostante siate abbastanza giovani, nel vostro background musicale vengono fuori echi di diverse esperienze musicali in voga nei ’90 se non di fine anni ’80 – penso all’Harcore-punk, al post-rock, certi suoni di basso anche molto funk-crossover alla Primus, da dove viene il suono dei Duocane?
Giovanni: Grazie per quel “abbastanza giovani”, personalmente mi sento vecchissimo da quando ho 16 anni. Sì, diciamo che entrambi siamo ascoltatori voraci ed estremamente eclettici. Io mi ritengo fondamentalmente un figlio degli anni ’90, ma poi, approfondendo vari generi, non faccio altro che cadere in diversi ‘rabbit hole’, uno dopo l’altro. Per dire: adesso dopo aver passato una fase nella quale ascoltavo solo doom sludge e post metal tesissimo, ora mi sto dando all’ambient, e non faccio che ascoltare robe tipo Basinsky e Brian Eno (tra l’altro Brian Eno è anche bellissimo da ascoltare quando parla, ci sono alcune sue lezioni su YouTube che dimostrano che grande mente sia quell’uomo). Quindi poi credo sia normale riversare questa disparità di interessi nella musica che facciamo.
Stefano: Purtroppo o per fortuna l’etichetta “anni Novanta” personalmente non riesco mai a togliermela di dosso. Sarà forse perché sono nato esattamente nel 1990, perché sono un nostalgico o forse perché non saprei identificarmi in un altro periodo storico musicalmente parlando; c’era grande attenzione per la musica in quel momento. Il suono del basso distorto è invece figlio di altre mie esperienze musicali, il cruncher che utilizzo per le distorsioni fu in realtà un regalo di Alberto (chitarrista dei Banana Mayor) che a sua volta gli fu regalato da Alessio (il bassista) che al mercato mio padre comprò. Fu Giordano Bufi dei Chivàla a convincermi che l’effetto che stavo usando durante un concerto era troppo scarico di bassi, in sunto era una merda pazzesca, e per fortuna avevo con me quel piccolo magico regalino. Da allora non me ne sono mai separato; in seguito ho preso qualche altro effetto ma credo che non interessi a nessuno questa storia. Quale sarebbe poi la musica “rock” degli anni Venti? Io non l’ho ancora capito, leggo riviste che parlano di band o artisti contemporanei osannati come se fossero degli innovatori solo perché utilizzano qualche accenno di sound design nelle chitarre. In realtà è solo il medium che sta determinando le epoche musicali, lo strumento, i nuovi effetti, la tecnologia e molto meno le idee. Le strutture dei brani poi sono sempre uguali. Forse me ne renderò conto meglio a distanza di tempo. Per fortuna però esistono anche pochi, sparuti esempi di innovazione nel “mainstream alternativo” che ci ispirano spesso
(Viagra Boys, Black Midi, Idles, King Gizzard… ecc… ecc…) .

Siete grandi amici, e si percepisce anche dal vostro approccio ironico, giocoso e molto dinamico anche nelle liriche. Come vi mettete al lavoro sui brani quando decidete di “fare sul serio”?
Giovanni: Non è vero, Stefano mi sta sul cazzo. Da quando è statale poi… No, vabbè, non saprei…Fondamentalmente per i testi funziona come con la musica. Ci rimpalliamo idee l’un l’altro fino a che non siamo entrambi soddisfatti. Alcune cose escono e sono lì belle, pronte e sorridenti dopo un pomeriggio di prove, altre ci mettono mesi.
Stefano: Condivido tutto, soprattutto il discorso dello stare sul cazzo a Giovanni. In realtà noi ci concentriamo molto di più quando si tratta di riordinare le idee dopo le prove, che viviamo sempre come se fossero dei live o una grande jam. Successivamente riascoltiamo quello che abbiamo registrato con un telefono e poi ci mandiamo mille vocali lunghissimi per riordinare le idee, per le strutture e per i testi. Questa modalità l’abbiamo utilizzata tantissimo durante la pandemia mentre registravamo l’EP “Sudditi” (c’è un video su YouTube che lo testimonia) e poi credo che abbiamo continuato a farlo in realtà.

Parlatemi del lavoro con del Marco Death Star Studio che ha registrato tutte le vostre produzioni, quasi un terzo membro della band? Quanto è importante lavorare con qualcuno che vi conosce bene e capisce al volo quello che volete?
Giovanni: Marco è semplicemente fantastico. Lavoriamo con lui sin dall’inizio, personalmente ci ho lavorato anche con la mia altra band (i Turangalila). È molto comodo avere a che fare con una persona che ha una cultura e una competenza musicale così vasta. Non c’è bisogno di dirgli quasi niente. Capisce al volo i riferimenti, e anche lui ascolta di tutto. Dagli Swans ai Blink 182, e questa è una cosa fondamentale per poter partire avvantaggiato. Perché sai che non ti devi preoccupare dell’aspetto tecnico, e puoi concentrarti solo su quello creativo e lasciare libera la bestia di volare in studio e fare quello che vuole.
Stefano: Non riesco a immaginare i Duocane senza Marco, abbiamo sempre registrato con lui. Capisce ogni riferimento ed ogni tua idea ma soprattutto ti mette totalmente a tuo agio compensando tutte le tue lacune tecniche. Magari dopo la quarta o quinta take di voce vorrebbe prendere una pistola e spararti alle gambe, ma se lo pensa non lo lascia trasparire per niente, è un vero professionista. Mi è capitato in passato di lavorare con persone davvero sgradevoli, che con spocchia (anche se pagate, spesso pure bene) ti facevano pesare la loro grande e inutile esperienza, facendoti sentire il fiato sul collo perché avevano fretta di mangiarsi il panino. Non credo sia un lavoro per nulla semplice, per questo motivo vi prego di non ascoltare i dischi dal telefono senza casse o cuffie, distruggete così mesi di lavoro e fate piangere Marco.

Avete inserito nel disco una cover degli Agent Orange, parlatemi del perché di questa scelta di inserire proprio questo brano
Stefano: È stata una proposta più che altro scherzosa, partita da Giovanni, è il primo pezzo che “canta” lui. La verità è che è un pezzo divertentissimo da suonare. Alla batteria è come andare in bici in discesa, senza mani. Avevamo già fatto qualche cover, ma erano tutte diversissime dalle originali, invece qui abbiamo scelto di rimanere fedeli al pezzo degli Agent. Ma non è stato poi così tanto una “scelta”, è proprio il pezzo che te lo impone. E ci piace l’idea di omaggiare con questa cover, non tanto quella particolare band o quella particolare scena, ma proprio un modo di intendere il punk-hardcore del passato, quello spirito ancestrale del DIY e di un certo modo di fare musica da strambi in provincia.

Ci sono diversi musicisti nel disco e un maggiore ventaglio di suoni, come sax, synth, viola. In che maniera sono nate queste collaborazioni?
Come praticamente tutto all’interno dei Duocane, sono nate in maniera molto naturale. Entrambi suoniamo da anni in qualsiasi contesto, e quindi conosciamo un bel po’ di persone e musicisti che stimiamo molto e che vanno dallo strumentista accademico classico, al frikkettone, al metallaro duro e puro. E quindi mentre registravamo ci veniva naturale associare quella parte a quel determinato ospite. Il locale dove proviamo esiste ormai da vent’anni, e credo ci abbiano suonato nel tempo decine e decine di personaggi dei più disparati. Quindi è sempre molto bello poter attingere da un campionario di spappati così vasto.

Dal vivo utilizzate delle basi o mantenete tutto sempre live senza l’ausilio di interventi “esterni”?
Giovanni: Mai, assolutamente mai. Siamo un duo e ci piace che anche dal vivo ci sia la dimensione del duo. Al massimo quando possibile chiamiamo un ospite sul palco (o anche più di uno, se sono in zona e a loro va di fare festa). Ci piace la dimensione punk e autentica del live. Siamo figli di un modo di vedere la musica un po’ diverso da quello attuale, se vogliamo magari è un po’ datato, ma per una questione di coerenza artistica, quasi da martire, personalmente mi sentirei male a pensare che anche solo una nota del nostro live non provenga dal nostro sudore.

Prossimi concerti?
Giovanni: Il 29 maggio a Molfetta, il 6 giugno a Gioia del Colle e il 20 luglio a Palermo. Per ora questi qui sono quelli certi, poi vedremo se si aggiungeranno altri.

Grazie ragazzi e complimenti!
Giovanni: Complimenti a te! E grazie tantissimo per l’ospitalità, forza Roma.

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