Sergio Todisco torna con il suo progetto A Giant Echo, non più un semplice alter ego musicale, ma una vera e propria band capace in “Resins 2” di eseguire sonorità ricche di sfaccettature e influenze che si “appiccicano” sin dal primo ascolto e non ti lasciano più…
Ciao Sergio, nel 2018 usciva “Songs By Ghosts And Machines”, cosa è accaduto da quel momento?
Ciao, piacere di conoscersi e scambiare due chiacchiere. Mi verrebbe da dire che nulla di straordinario è accaduto, rispetto al tempo che nella mia vita dedico a scrivere, comporre ed esercitarmi nella musica. Rispetto al progetto A Giant Echo, invece, è cambiato che finalmente ora c’è una band che può suonare i brani dal vivo, ci sono amici cari con cui condividere certe sensazioni suonando e, infine, le composizioni possono esulare dalla dimensione studio e prendere forma, con arrangiamenti diversi, su un palco, di fronte ad un pubblico.
Il presente si chiama “Resins 2”, un titolo che non è un semplice nome per l’album, ma quasi una dichiarazione d’intenti. Ti andrebbe di spiegare il concept che sta dietro questa seconda opera?
Sì, intendo l’album come un concept. Intanto il titolo, “Resins” (resine), è stato scelto come richiamo a qualcosa che si attacca, che ha la capacità di rimanere, che anche quando sembra essere andato via, ha lasciato traccia di sé, che si incolla quasi e non se ne va più, o non se ne va mai del tutto. Sono delle impressioni, dei sentimenti, dei sorrisi, o delle lacrime versate, legati a degli eventi, accaduti una volta, ma che in qualche modo rimangono incollati per sempre all’esistenza di chi li vive, legando in una forma particolare passato, presente e futuro dei cicli esistenziali. Così, diversi brani cominciano, hanno un’evoluzione, sembrano finire, ma poi ricominciano (un’evoluzione che si manifesta particolarmente in “Part Three”, che inizia con un’introduzione, poi si sviluppa in un altro modo, sembra finire, ma poi riprende suoni, impressioni e melodie dell’introduzione). Così anche l’arpeggio finale di “Part One”, che riemerge durante la coda di “Last Part”, a manifestare la ricomparsa di quanto è stato vissuto, ma dentro un altro contesto, sebbene quello generale (l’insieme, il contesto complessivo) sia il medesimo. Quello che si cerca di richiamare è una rievocazione di accadimenti, di sensazioni che hanno marcato la persona in dei momenti, modificandola nella sua costituzione nel tempo. I brani, allora, diventano le parti di un processo di costituzione in cui si forgia l’essenza di chi racconta, scrive e canta di questi pezzi di esistenza, dalla prima all’ultima, non necessariamente in ordine cronologico. Infatti, “Part Four” sembra non esserci, sul supporto fisico compare come sesta traccia, ma non è annoverata in copertina (qualcosa che sembra scomparsa, ma che in realtà ricompare dopo). Ecco perché le strutture hanno un ciclo che parte, cresce, muore, rinasce, finisce; o perché le melodie ritornano.
Quel “2” che appare nel disco come lo dobbiamo intendere: parte integrante del titolo oppure una semplice appendice a rappresentare che si tratta della seconda opera dei A Giant Echo?
Sicuramente è parte integrante del titolo dell’album, ed ha un significato: c’è stato un precedente di quest’album, si chiamava “Resins”, dove c’erano i prototipi di questi brani, fu la prima autoproduzione di A Giant Echo, nata da tanta ispirazione ma accompagnata da pochissime capacità e abilità e ancora meno esperienza. Nel tempo quei brani sono cresciuti, sono stati cambiati, riarrangiati, fino ad arrivare alla versione confluita in “Resins 2”.
A proposito, dobbiamo parla dei A Giant Echo oppure di A Giant Echo? Di un progetto tuo personale o vera e propria band?
Una definizione non per forza esclude l’altra, soprattutto se si guarda all’evoluzione nel tempo e ai modi di scrivere e poi di suonare live. I brani di “Songs by Ghosts and Machines”, come quelli di “Resins 2”, sono nati dalle idee di un singolo, ma poi quel singolo ha cercato persone con cui condividere e portare davanti a un pubblico le idee. Fortunatamente ho trovato delle persone e degli amici, musicisti bravissimi che hanno voluto partecipare al progetto A Giant Echo, dapprima Riccardo Bianchi alla batteria e Davide Pascarella al basso, e infine, ultimo ad unirsi, Marco Nardone alla chitarra e synth. Ora c’è una band che si chiama A Giant Echo e che può suonare i brani live; ma il songwriter singolo non è scomparso, e risponde sempre al nome A Giant Echo. Tutto quello che c’è stato e c’è, è sempre in evoluzione, e ciò che si potrà creare insieme, fra quattro musicisti, è sempre da considerarsi in evoluzione.
Torniamo al disco, pur essendo legati tra loro, i brani appaiono molto vari. Questa scelta di spaziare tra i generi e le influenze è stata una scelta nata a tavolino oppure un processo spontaneo?
Non ho studiato musica né, allargando il senso della domanda, mi sono mai posto obiettivi commerciali, quindi, tenderei a dire che le strutture dei brani non sono nate a tavolino; per altro, dal momento del concepimento a quello della sintesi finale, i brani sono cambiati. In sostanza direi che la base di partenza è assolutamente spontanea, lo sviluppo è frutto di un’esperienza di studio, ma inteso come studio ricco di istinti e influenze, e povero di nozioni. Credo che lo spaziare fra generi e influenze dipenda dalle variegate esperienze di ascolto.
I brani sono nati nell’ordine in cui appaiono in scaletta oppure hai assemblato la tracklist in un secondo momento?
All’interno del processo di creazione, credo di aver pensato in itinere all’ordine della scaletta.
“Part Four” perché hai deciso di utilizzarla come bonus e non come parte integrante del disco?
“Part Four” è decisamente diversa dalle altre, c’è molta più influenza di musica elettronica, più uso del computer e dei synth ed è nata da sensazioni più tetre rispetto ai vissuti che hanno ispirato le altre. Intendevo separarla dalle altre, e con essa ho voluto segnare la fine triste di un disegno, ma in qualche modo quella fine era prevista, immaginata in anticipo e solo dopo confermatasi come chiusura (ecco perché è segnata da un numero che la presupporrebbe in una posizione antecedente). Così come, invertendo la prospettiva, le parti del ciclo che nell’ascolto arrivano prima della fine prevista, possono rivivere ed essere immaginate anche dopo di essa.”Last Part” sarebbe la chiusura, reca con sé tracce di “Part One”, si pone in scaletta prima di “Part Four”, ma è marcata da un aggettivo che la presupporrebbe alla fine del ciclo. In sostanza, se non si capisce quale sia la fine tra “Part Four” e” Last Part”, il concetto è passato.
Proporrai le canzoni di “Resins 2” dal vivo?
Sì, e le abbiamo già proposte in due concerti, ma solo quelle cantate; per le strumentali si pone qualche difficoltà nel riadattarle in maniera soddisfacente con l’attuale formazione a quattro membri.
Le tue prossime mosse?
Scrivere, comporre, registrare, riarrangiare, suonare.
