A dieci anni dal suo precedente album, ma con in mezzo tanti concerti in tutto il mondo e la vittoria del Blues Music Award 2019 come ambasciatore del blues made in Italy, Umberto Porcaro ha pubblicato “Take Me Home” (Epops, 2022). L’album ha ricevuto apprezzamenti dalle riviste specializzate e sta riscuotendo grande successo in entrambe le versioni LP e CD. Ne abbiamo parlato nella nostra intervista tutta blue.
I versi finali di “Run Into My World“, canzone di apertura dell’album, decretano “Blues Is My Companion Everywhere I Go”. Tu e il blues siete inseparabili da una trentina d’anni ormai. C’è stato un punto di svolta in cui hai capito che il blues non era più soltanto una passione, ma la tua professione? La musica ha sempre fatto parte della mia vita da quando ho ricordi. Il blues ha scandito la mia vita. Ho sofferto per amore sin da molto piccolo, il blues mi ha salvato. È stata la mia salvezza, il mondo dove sempre mi sono rifugiato da ogni sofferenza, si è tradotto nel mio modo di comunicare. Un legame ancestrale.
Nelle 12 battute del giro di blues, più lungo di 4 misure rispetto ad altri generi musicali, c’è un dialogo di domanda-risposta-conclusione. Quando componi di solito tu scrivi testi e musica contemporaneamente, oppure è la musica che poi ispira i versi da cantare? Ti riferisci al concetto di call and response. Improvvisare. Mi piace usare tanto delle metafore, ma la bellezza di questo concetto è proprio come la vita. Diventa come parlare, suonare per me è come parlare. Non c’è un prima o un dopo, diventa tutto molto naturale.
L’album “Take Me Home” ospita due vere leggende del blues contemporaneo, Lurrie Bell di Chicago e il texano Anson Funderburgh. Tu stesso hai dichiarato che averli nel tuo disco è un sogno che si realizza. Avete registrato insieme fisicamente o avete lavorato a distanza? Abbiamo lavorato a distanza ma, credimi, poter condividere tutto questo con dei miti è una storia incredibile. Sono cresciuto con la musica di Lurrie Bell e Anson Funderburgh, un’emozione unica che mi porto addosso.
Nella tua carriera trentennale hai suonato con i miti del blues mondiale, spesso viaggiando e condividendo esperienze con loro. Tante avventure, ce n’è qualcuna in particolare che vuoi raccontarci? È vero, negli anni ho collezionato tante collaborazioni, tantissime, mi reputo davvero fortunato. Da ragazzino sognavo di poter fare quello che ho fatto. Quando poi mi sono trovato a fianco di molti dei miei idoli, puoi capire che emozione! I racconti di Jerry Portnoy (armonicista di Muddy Waters, e poi anche di Eric Clapton) sugli anni trascorsi in giro con Muddy Waters… BB. King mi disse all’orecchio: “ragazzo, il blues è la cosa più bella del mondo, mi raccomando”… Cosa dire, puoi immaginare…
Hai definito “Take Me Home” un concept album. Io l’ho ascoltato molte volte dall’inizio alla fine, ogni traccia trasmette un’emozione diversa. Quale canzone definisce più delle altre il concetto del disco? Su questo disco c’è tutto me stesso, c’è la mia vita, le mie sensazioni, il mio amore per la vita, per l’amore. L’ho concepito, suonato , pre-prodotto e registrato di notte. Credo che di notte tutto trovi il proprio senso, almeno per me.
Copertina profondamente blue, tu imbracci la fedele chitarra e guardi lontano. Dove? Sono un profondo “Blue Note Style” addicted, mi piace quello stile, il colore blue è il mio preferito. Mi piace guardare sempre avanti, oggi siamo il frutto di quello che abbiamo vissuto in passato e guardare avanti rimane una grande cosa.
Da qualche anno sei anche maestro alla Fondazione Brass Group di Palermo. Cosa hai imparato dall’insegnamento? Tanto. È il mio studio quotidiano. I miei allievi sono la mia benzina, Dio li benedica. Al Brass mi sento a casa, ci sono cresciuto da ragazzo e adesso mi sento orgoglioso di poter dire di lavorarci.
Un tour promozionale italiano appena concluso ed uno europeo alle porte. Si parte il 7 maggio da Anversa e si continua per tutto il mese fra Belgio, Olanda e Germania. Manterrai la formazione in trio delle date precedenti o ci saranno delle novità? In realtà questo tour sarà a fianco del grande Brian Templeton, mio grande amico e fratello, come sostiene anche lui. Faremo delle tappe davvero importanti, festival dove ci saranno anche Robert Cray, Samantha Fish… Beh, che dire, non vedo l’ora.
Epops music, etichetta svizzera attiva dal 1997, a produrre. Come è nata la vostra collaborazione per quest’album? È nata per caso, per magia… E che magia, sto già preparando il nuovo!
Ottima notizia! Che scoop! Intanto credo che la tua attività live continuerà anche dopo il tour di maggio. A parte infuocare i palchi con le canzoni di “Take Me Home”, e magari anche con qualcosa di inedito, quali sono i progetti futuri? A breve ci saranno altre date. La strada per me è vita, il blues è la mia vita. Fin quando avrò forza mi nutrirò di questo.
Daniele Mammarella, chitarrista dal talento riconosciuto a livello internazionale, da qualche giorno ha pubblicato per la Music Force Records il suo secondo album, “Moonshine”. Lo abbiamo contattato per saperne di più…
Ciao Daniele, complimenti per il tuo nuovo album “Moonshine”. Le emozioni che provi per questo secondo disco sono le stesse dell’esordio oppure hai acquistato una consapevolezza maggiore dei tuoi mezzi in questo biennio? Ciao Giuseppe, ti dico, pubblicare un disco è sempre una grande emozione, è esattamente come la nascita di un secondo figlio! Ovviamente per “Past, Present and Let’s Hope” c’è stata, oltre che l’emozione, anche la novità nel fare un’esperienza nuova, di conseguenza ho vissuto le due diverse uscite con vedute diverse, “PPLH” è stato diciamo il mio biglietto da visita, mentre “Moonshine” ha un obiettivo ben più ampio!
I tredici brani come sono nati? Qualcosa proviene dalle session del precedente “Past, Present and Let’s Hope”? La maggior parte dei brani che scrivo nascono così, senza pensarci troppo, li suono e basta, ovviamente con le dovute e giuste ritoccatine. Molti invece escono fuori dall’esigenza anche di creare dei contenuti per il mio format che ho chiamato “Musica Panoramica”, dove mi arrampico per le montagne o attraverso fiumi per riprendere gli scenari più belli della natura per suonarci sopra. Beh sai, non potevo riproporre sempre gli stessi 10 brani del primo disco per un anno e mezzo, di conseguenza prima di partire per il luogo dove avrei fatto il video, scrivevo una melodia al volo per poi farlo diventare un piccolo brano fingerstyle. Ti faccio un esempio, la prima traccia di “Moonshine” si intitola “Shadow Blues”, questo brano è nato appunto perché mi serviva un’idea nuova per un video, il problema è che quando andai a registrare, il cielo si era coperto di nuvole e gli alberi ricoprivano d’ombra tutta la vista… una volta tornato a casa, guardando la ripresa, notai che non si vedeva niente per la troppa oscurità, però dai il pezzo mi piaceva e così è nato “Shadow Blues”. Per quanto riguarda l’ultima domanda, sì, alcuni brani sono stati scritti praticamente nei giorni seguenti all’uscita del primo disco come la title track “Moonshine”, “In the Sky” e “D-Train”.
Sei passato da una copertina in cui sei raffigurato in un’immagine in peno giorno ad una in cui invece sei immerso nella notte. A questo diverso approccio iconografico ne corrisponde anche uno musicale? In realtà no, questo cambio deriva dal fatto che all’ultimo momento decisi di cambiare il titolo dell’album in “Moonshine”, così chiamai il mio amico Samuele Bucci (esperto in fotografia paesaggistica) e decidemmo di fare la foto presso il “Lago Racollo” (Gran Sasso) alle 23.30 con -6° di temperatura, che esperienza traumatica… eppure me l’avevano detto di non vestirmi con giacchetta e jeans ahahhahah!
A 24 anni hai due dischi solisti fuori e ti sei tolto diverse soddisfazioni live e in studio, ma come è nata la passione per la chitarra? Beh in realtà ho sempre due storie da raccontare… La prima si rifà a quando avevo 7 anni e per “fare il figo” con un’amichetta delle elementari che stava prendendo lezioni di musica, presi la chitarra e iniziai a suonare delle cose a caso, da lì poi iniziai a prendere lezioni. La seconda storia invece dovrebbe essere quella ufficiale… Vivo in una famiglia molto grande con tanti cugini e zii, mio nonno era appassionato di musica tradizionale abruzzese e decise di riportare a casa per noi bambini, una chitarra e una fisarmonica. Poco tempo dopo mio nonno ebbe una brutta malattia, da lì, un po’ per mio nonno, ma anche un po’ per me, decisi di iniziare a suonare.
Nel 2016 ti sei diplomato al Guitar College di Londra. Per chi volesse compiere un cammino simile al tuo, qual è l’iter per entrare nella prestigiosa scuola albionica? Io mi sono diplomatico al Trinity College tramite la scuola dove adesso sono insegnante di chitarra fingerstyle, sto parlando dell’Apm di Benedetto Conte. Ci sono varie scuole che hanno il permesso di rilasciare questi attestati. Prima si individua il livello del partecipante, dopodiché si intraprende un percorso di studi adibito a quel livello fino a che non si arriva all’esame finale con la direttrice che viene direttamente da Londra per esaminarti.
Un anno fa hai vinto il concorso “The Star of Magic” come miglior chitarrista fingerstyle: quando e perché hai iniziato ad approfondire questa tecnica chitarristica? Sono sempre stato un appassionato della chitarra Fingerstyle, scoprii questo mondo all’età di 9 anni grazie al mio vecchio maestro. Ricordo che mi faceva imparare, a quell’età, brani del leggendario Tommy Emmanuel e fidati, a 9 anni non era proprio una passeggiata ahahah. Una cosa molto bella è che sin da allora mi spronava a scrivere i miei primi brani, infatti molti pezzi sono nati all’età di 13 anni, come per esempio “Danny’s Blues”. Mano a mano che avanzavo con l’età mi rendevo sempre più conto che questa sarebbe stata la mia strada, di conseguenza intrapresi anche piccoli studi personali per perfezionare la “mia” tecnica.
Il tuo pubblico è composto prettamente da amanti della tecnica chitarristica oppure è di più largo respiro? Direi molto di più la seconda! Uno dei miei più grandi obiettivi è sempre stato quello di portare il fingerstyle dove non c’è ma soprattutto renderlo un genere, anche dal punto di vista concertistico, molto più popular! Ho sempre cercato di trasmettere le stesse emozioni di una band sul palco ma solo con la chitarra. Quindi si, la seconda!
Hai già programmato delle date a supporto di “Moonshine” o stai aspettando che la situazione sanitaria sia ben tranquillizzante? Sì sì! Ho già delle date programmate, la prima è stata il 17 giugno presso lo stadio del mare di Pescara, seguiranno poi (per adesso), altri 15 concerti fino a settembre! La prossima è l’11 luglio “Concerti all’alba” presso la Torre di Cerrano di Pineto (Te). Poi pubblicherò l’intero calendario
Da insegnate e da amante della chitarra, che consiglio daresti a chi si approccia oggi allo strumento? Studiate, appassionatevi e credeteci. Ne vedo tanti che si arrendono perché “non ci riesco” e non c’è cosa più sbagliata!
Per la rubrica Me&Blues ho l’onore di intervistare Bob Corritore: un importante artista, tra i migliori suonatori di armonica blues sulla scena internazionale. Nato a Chicago nel 1956 oggi è il proprietario della Rhythm Room, fondatore della Southwest Musical Arts Foundation, editore e scrittore principale della Bob Corritore Blues Newsletter, in più sostenitore ufficiale delle armoniche Hohner. Ha vinto il premio Keeping The Blues Alive. Successivamente con l’album “Bob Corritore & Friends / Harmonica Blues” si è aggiudicato un Blues Music Award 2011. Siamo nel 2012 quando Bob ha ricevuto un Living Blues Award nella categoria Harmonica. Nel 2019 l’uscita di “Don’t Let The Devil Ride” gli ha permesso di vincere il Blues Blast Music Award per il miglior album di blues tradizionale. Bob Corritore è un musicista che ha già all’attivo ben diciotto album. E’ stato ospite come armonicista in diversi lavori realizzati da suoi colleghi del calibro di R.L.Burniside, Pinetop Perkins e Bob Margolin. Ha prodotto Kim Wilson e William Clarke: due grandi armonicisti suoi idoli di quando era ragazzo e cominciava a soffiare sulla prima armonica.
Bob, sono molto contento di averti come mio ospite per questa intervista. Come stai? Dove ti trovi in questo momento? Grazie Gianfranco! È un onore. Sto bene e sto al sicuro qui a Phoenix, in Arizona.
Sei un artista abituato a girare il mondo e stare sul palco, come hai reagito e ti sei organizzato in questo periodo di pandemia? La pandemia ha bloccato le mie esibizioni di musica dal vivo. Il mio ultimo spettacolo prima che la pandemia chiudesse tutto è stato il 14 marzo. Ho fatto uno spettacolo all’aperto otto mesi dopo, il 14 novembre. Ma è stato spaventoso avere così tanto pubblico anche se è stato un concerto abbastanza sicuro. Metto i miei concerti dal vivo resteranno in lista di attesa fino a quando non sarà di nuovo tutto sicuro. Mi manca davvero stare su un palco di fronte al pubblico. Mi manca esibirmi e andare in tour con i miei amici. Mi manca interagire con il pubblico e autografare i CD. Quindi ho dovuto concentrare le mie energie sul mio programma radiofonico settimanale, la mia pagina Facebook, il mio sito web (www.bobcorritore.com) e rivedere i master tapes di vecchie registrazioni per il rilancio futuro. Quindi sono rimasto piuttosto impegnato, pur essendo molto appartato. Non voglio davvero prendere il virus.
La storia racconta della prima armonica che ti è stata regalata dal tuo fratello maggiore, ma come nasce la tua passione per il blues e per l’armonica e quali sono stati i musicisti che ti hanno maggiormente influenzato? In realtà non ho un fratello maggiore. La mia prima armonica mi è stata data da mio fratello minore, che è il mio unico fratello. Ho sempre amato il suono dell’armonica. Sono stato particolarmente influenzato da Little Walter, Junior Wells, Sonny Boy Williamson, Carey Bell, Big Walter Horton, James Cotton. C’era un armonicista per lo più sconosciuto al di fuori di Chicago di nome Dave Waldman che mi ha mostrato il blocco della lingua e il supporto dell’armonica in stile ensemble. Dopo Little Willie Anderson, Big Leon Brooks, Louis Myers, Lester Davenport e altri grandi armonicisti di Chicago, mi hanno dato ulteriori istruzioni. E più tardi, dopo esserci trasferiti a Phoenix, Bill Tarsha, Kim Wilson, William Clarke e Johnny Dyer così come Lazy Lester hanno avuto anche una grande influenza su di me.
Nascere e vivere a Chicago, a mio parere, significa avere una spinta in più sulle cose che un artista blues andrà a creare. Quanto ti ha aiutato musicalmente la città dove sei nato? Bella domanda. Tieni presente che Chicago è famosa per la grande armonica! Lo stile blues di Chicago ha un certo suono che riflette davvero quella città. Muddy Waters e la sua band erano il modello di quel suono. Fu nella band di Muddy Waters negli anni ’50 che il pioniere dell’armonica Little Walter divenne famoso. Little Walter ha ampliato il vocabolario musicale dello strumento. Dopo che Walter ha introdotto il suo suono, tutti a Chicago sono stati influenzati. Little Walter è morto nel 1968, quindi non ho mai avuto modo di vederlo esibirsi. Ma ho visto la sua influenza su tutti i grandi suonatori di armonica. Così, quando stavo imparando a suonare, ho studiato quel suono di Chicago. Ho il suo libro di regole di fraseggio e tono. Ma quando sai come suonare quello stile, tutti i musicisti più anziani riconoscono immediatamente quello che stai facendo. Ho avuto molti favori e mi sono ritrovato su dei fantastici palchi con artisti leggendari di Chicago. Ho sempre cercato di essere degno delle incredibili opportunità che ho ricevuto.
La cosa che mi ha colpito maggiormente del tuo lavoro è la quantità di colleghi che riesci ad invitare nei tuoi dischi, oltre chiaramente alla tua band. Come fai a dirigere il traffico e relazionarti con loro di volta in volta? Nel 1981 mi sono trasferito da Chicago a Phoenix per quello che pensavo sarebbe stato solo un anno. Non mi rendevo conto che avrei iniziato a mettere radici in questa città. Subito dopo essermici trasferito, Louisiana Red mi ha seguito da Chicago ed è rimasto con me per un anno. Abbiamo fissato molti concerti e mi sono rapidamente stabilito musicalmente a Phoenix. Nel 1984 ho avviato un programma radiofonico blues e nel 1991 ho aperto un locale chiamato Rhythm Room. Quindi a quel punto ero un musicista affermato con una grande band, un programma radiofonico e un club di concerti blues. Così la Rhythm Room divenne immediatamente la tappa di Phoenix per i tour blues. Questo mi ha dato la possibilità di incontrare tanti grandi artisti e molte opportunità di registrazione. Ho iniziato a invitare le persone con cui avrei voluto registrare nel club offrendo loro sia la data del concerto che una sessione. Tieni presente che questa è una situazione davvero unica. Ogni persona con cui faccio musica porta qualcosa fuori di me in un modo unico. Se vuoi un certo suono in una certa canzone, ci sono alcune persone di cui hai bisogno per quel lavoro. Sono diventato piuttosto bravo nel corso degli anni a mettere insieme alcune combinazioni di persone davvero interessanti.
Grazie a te, ho ascoltato e mandato in onda diversi tuoi pezzi e mi sono fatto una mia idea. Nel senso che oltre a “Let the Devil ride” del 2018 che ha spopolato e fatto il pieno di premi, penso che “The Gypsy Woman Told Me”, realizzato insieme a John Primer sia una delle tue produzioni migliori. Cosa ne pensi? Man mano che continuo a pubblicare, sono diventato più bravo nella produzione di album e lavoro sempre per migliorare le mie capacità con l’armonica. Sono anche più bravo a costruire gruppi e scegliere brani selezionati che tirano fuori il meglio da tutti gli artisti. Sono molto orgoglioso del livello che ho raggiunto e penso che tu possa sentire che ogni uscita di un album è più lunga di quella precedente. John Primer e io abbiamo iniziato a registrare insieme nel 2010 e ci siamo immediatamente collegati perché condividiamo quel suono di Chicago. Ma continua a migliorare! “The Gypsy Woman Told Me” è il nostro meglio finora! Ma penso che tutte e tre le nostre uscite siano davvero fantastiche. Ma la zingara mi ha detto che aveva una magia in più! John Primer e io ne siamo entrambi molto orgogliosi.
Già nel 2017 avevate lavorato insieme e tra di voi si nota una vera e propria alchimia che gioca a vostro favore, ma come nasce questa amicizia e collaborazione? Conoscevo John Primer dalla metà degli anni ’70, quando andavo a vedere Junior Wells suonare al Theresa’s Lounge nel South Side. Ho seguito la sua carriera con Muddy Waters, James Cotton e la sua lunga carriera con Magic Slim. L’ho visto lanciare la sua brillante carriera da solista! Ma ci è voluto fino al 2010 per esibirci e registrare insieme. Come ho detto prima suoniamo entrambi blues nello stile di Chicago, quindi c’era un’intesa inespressa che abbiamo immediatamente condiviso. Inoltre John è diventato un prezioso amico e non vediamo l’ora di incontrarci, fare tournée e registrare.
Col grande Henry Gray hai realizzato “Cold Chills”,che tipo di esperienza è stata? Adoro Henry Gray e abbiamo fatto musica insieme per 25 anni fino alla sua scomparsa nel febbraio 2020. Henry è una delle persone più dolci che abbia mai incontrato. Ha anche avuto la storia più profonda nel Chicago Blues, suonando in alcune delle versioni più importanti degli anni ’50 e ’60. Ho portato Henry per la prima volta nella Rhythm Room nel 1996. Questo è diventato un evento annuale in cui abbiamo organizzato un concerto e una sessione di registrazione. Cold Chills è il secondo volume in collaborazione con Henry Gray. Questo è un album dalle radici molto profonde del Chicago Blues. Henry ha suonato e cantato nello stile degli anni ’50. Era un cantante e pianista così forte e le sue capacità sono rimaste intatte fino al suo ultimo anno. Che potenza! Quell’album “Cold Chills” è una testimonianza del potere di Henry!
Quello che mi affascina di più della tua musica è la continua ricerca verso qualcosa di nuovo senza stravolgere mai quel qualcosa di “vecchio” che sono le tradizioni del blues. Quali sono i tuoi progetti futuri? Grazie Gianfranco! Il 14 maggio uscirà un nuovo album chiamato “Bob Corritore & Friends / Spider In My Stew!” Presenta una vasta gamma di artisti straordinari: Lurrie Bell, Sugaray Rayford, Alabama Mike, Diunna Greenleaf, John Primer, Johnny Rawls, Francine Reed, Oscar Wilson, Willie Buck, Bill e Shy Perry, Bob Margolin, Junior Watson, Kid Ramos, Johnny Main, Bob Stroger, LA Jones e Adrianna Marie, Fred Kaplan e altri ancora. Queste sono tutte registrazioni recenti effettuate nel 2018, 2019 e all’inizio del 2020 prima che la pandemia si fermasse. Penso che questo possa essere il mio miglior album finora. Porta il mio modo di suonare e produrre a un nuovo livello! Cercalo su VizzTone Label Group!
Caro Bob è stato un piacere parlare con te e spero nei mesi a venire averti in diretta durante il corso della ma trasmissione, anzi condurremo una trasmissione insieme, visto che tra le tante cose che fai trovi il tempo di fare anche il DJ Radiofonico. A presto. Grazie Gianfranco! Per favore, stai al sicuro …
Sicurissimo… Bob…
The Me & Blues program I have the honor of interviewing Bob Corritore: an important artist, one of the best blues harmonica players on the international scene. Born in Chicago in 1956, today he is the owner of the Rhythm Room, founder of the Southwest Musical Arts Foundation, editor and principal writer of the Bob Corritore Blues Newsletter, plus official supporter of Hohner harmonics. It won the Keeping The Blues Alive award. Subsequently with the album Bob Corritore & Friends / Harmonica Blues he won a Blues Music Award 2011. We are in 2012 when Bob received a Living Blues Award in their Harmonica category. In 2019 the release of Don’t Let The Devil Ride allowed him to win the Blues Blast Music Award for best traditional blues album. Bob Corritore is a musician who already has eighteen albums to his credit. He was also a guest as a harmonica player on various works made by his colleagues, including R.L.Burniside, Pinetop Perkins and Bob Margolin to name a few. He produced Kim Wilson and William Clarke two great harmonica players, his idols when he was a boy and he began to blow on the first harmonica.
Hi Bob, I am very happy to have you as my guest for this interview. How are you? Where are you at the moment? Thank you Gianfranco! It is an honor. I am well and staying safe here in Phoenix, Arizona.
Are you an artist used to traveling the world and being on stage, how did you react and organize yourself in this pandemic period? The pandemic has put my live music performances on hold. My last show before the pandemic shut everything down was on March 14. I did do one outdoor show eight months later on November 14. But it’s scary to have that much exposure even though this was a pretty safe gig. I am putting my live gigs on hold until it feels safe again. I really miss being on a stage in front of an audience. I miss performing and touring with my friends. I miss interacting with the audience and autographing CDs. So I’ve had to refocus my energy to my weekly radio show, my Facebook page, my website (www.bobcorritore.com) and reviewing master tapes of old recordings for future release. So I have remained quite busy, while still being very secluded. I really don’t want to catch the virus.
The story tells of the first harmonica that was given to you by your older brother, but how did your passion for blues and harmonica come about and which musicians have influenced you the most? Actually I do not have an older brother. My first harmonica was given to me by my younger brother, who is my only brother. I always loved the sound of harmonica. I was especially influenced by Little Walter, Junior Wells, Sonny Boy Williamson, Carey Bell, Big Walter Horton, James Cotton. There was a harmonica player that is mostly unheard of outside of Chicago named Dave Waldman who showed me tongue blocking and ensemble style harmonica backing. After that Little Willie Anderson, Big Leon Brooks, Louis Myers, Lester Davenport and other great Chicago harmonica players all gave me further instruction. And later, after relocating to Phoenix, Bill Tarsha, Kim Wilson, William Clarke and Johnny Dyer as well as Lazy Lester we’re also big influences on me.
Being born and living in Chicago, in my opinion, means having an extra push on the things a blues artist will create. How much has the city where you were born helped you musically? Good Question. Keep in mind that Chicago is famous for great harmonica! The Chicago style of blues has a certain sound that really reflects that city. Muddy Waters and his band were the template of that sound. It was in Muddy Waters band during the 1950s that harmonica trail-blazer Little Walter rose to prominence. Little Walter expanded the musical vocabulary of the instrument. After Walter introduced his sound everyone in Chicago was influenced. Little Walter died in 1968 so I never got to see him perform. But I saw his influence on all of the great harmonica players. So when I was learning to play I studied that Chicago sound. It has his own rule book of phrasing and tone. But when you know how to play that style then all the older musicians immediately recognize what you are doing. I won a lot of favor and found myself on some really fantastic bandstands with legendary Chicago artists. I’ve always tried to be worthy of the amazing opportunities that I have received.
The thing that struck me most about your work is the amount of colleagues you manage to invite to your records, as well as your band. How do you direct traffic and relate to them from time to time? In 1981 I moved from Chicago to Phoenix for what I thought would only be one year. I did not realize that I would start putting down roots in this city. Right after I moved into town Louisiana Red followed me out here from Chicago and stayed with me for a year. We booked a lot of gigs, and I was quickly established musically in Phoenix. In 1984 I started a blues Radio Show and in 1991 I opened a venue called the Rhythm Room. So at that point I was an established musician with a great band, a radio show and a blues concert club. So the Rhythm Room immediately became the stop in Phoenix for touring Blues acts. This gave me access to so many of the great artists and many recording opportunities. I started to invite the people that I would want to record with to the club while offering them both a concert date and a session. Please keep in mind that this is a very unique situation. Each person I make music with brings something out of me in a unique way. If you want a certain sound on a certain song then there’s certain people you need for that job. I’ve gotten pretty good over the years at putting together some really interesting combinations of people.
Lately, thanks to you, I’ve listened to and aired several of your songs and I’ve come up with my own idea. In the sense that in addition to Let the Devil ride of 2018 which has depopulated and filled with awards, I think that The Gypsy woman told me, made together with John Primer is one of your best productions.What do you think about it? As I continue to put out releases I’ve become better at producing albums and I’m always working and improving my harmonica skills. I’m also better at constructing bands and choosing song selections that bring out the best in all the artists. I am very proud of the level that I have achieved and I think you can hear that each album release takes it farther than the one before. John Primer and I first started recording together in 2010 and we immediately connected because we share that Chicago sound. But it keeps getting better! The Gypsy Woman Told Me is our best so far! But I think all three of our collaborative releases are really great. But The Gypsy Woman Told Me had extra magic! John Primer and I are both very proud of it.
Already in 2017 you had worked together and between you there is a real alchemy that works in your favor, but how did this friendship and collaboration arise? I had known John Primer since the mid 1970s when I used to go see Junior Wells play at Theresa’s Lounge on the South Side. I followed his career with Muddy Waters, James Cotton and his long run with Magic Slim. I witnessed him launching his brilliant solo career! But it took us till 2010 to perform and record together. As I mentioned before we both play blues in the Chicago style so there was an unspoken understanding that we immediately shared. Additionally John has become a valued friend and we look forward to getting together and touring and recording.
With the great Henry Gray you made “Cold Chills”, what kind of experience was it? Bob. I just love Henry Gray and we had a 25 year run of making music together until his passing February 2020. Henry is one of the sweetest people I’ve ever met. He also had the deepest history is in Chicago Blues, playing on some of the most important releases of 1950s and 1960s. I first brought Henry to the Rhythm Room in 1996. This became an annual event where we set up a concert and recording session. Cold Chills is a second volume of collaborations with Henry Gray. This is an album of very deep Chicago Blues roots. Henry played and sang in the style of the 1950s. He was such a strong singer and piano player and his abilities stayed undiminished up until his last year. What a powerhouse! That album Cold Chills is a testament to Henry’s power!
Fascinates me most about your music is the continuous search for something new without ever upsetting that something “old” that are the traditions of the blues. what are your future projects? Thank you Gianfranco! On May 14 I have a new album coming out called Bob Corritore & Friends/Spider In My Stew! It features a huge array of amazing artists: Lurrie Bell, Sugaray Rayford, Alabama Mike, Diunna Greenleaf, John Primer, Johnny Rawls, Francine Reed, Oscar Wilson, Willie Buck, Bill and Shy Perry, Bob Margolin, Junior Watson, Kid Ramos, Johnny Main, Bob Stroger, LA Jones and Adrianna Marie, Fred Kaplan and more. These are all recent recordings done in 2018, 2019, and early 2020 before the pandemic shut down. I think this may be my best album so far. It takes my playing and producing to a new level! Look for it on the VizzTone Label Group!
Dear Bob, it was a pleasure to talk to you and I hope in the months to come to have you live during the course of the broadcast, indeed we will conduct a broadcast together, since among the many things you do you find the time to be a Radio DJ. See you soon. Thank you Gianfranco! Please be safe and we
Ospiti di Me&Blues, la trasmissione condotta da Gianfranco Piria, i Light Chili.
Ascolta l’audio-intervista:
I Light Chili (ormai noti sulle piazze europee come “The Canales”) sono una piccantissima ‘Family Blues Band’ del sud Italia, più propriamente Reggio Calabria. Domenico e Fabrizio Canale (father & son) propongono un viaggio musicale nel blues più sincero attraverso le sue mille sfaccettature: dalla tradizione rurale del Delta del Mississippi, al Blues urbano anni ’50 (Chicago area), fino alle interpretazioni più moderne della musica del diavolo.
Nei concerti dal vivo, che sia su un palco o su un marciapiede, energia e contatto con il pubblico diventano il loro punto di forza, instaurando un rapporto di mutuo scambio che dura per tutta l’esibizione e oltre. Il connubio musicale dei due iniziò durante l’infanzia di Fabrizio che, giovanissimo iniziò a seguire i concerti del padre Domenico e ad intrufolarsi sul palco per lanciarsi nei suoi primi appassionati assoli di armonica, primo di tanti strumenti. All’età di 17 anni, nel 2005, entra a far parte ufficialmente dei Bad Chili in qualità di bassista e debutta sul palco dell’Etna Blues Festival in compagnia di Domenico, voce e armonica, Rodolfo Megale alla chitarra ed Ercole Cantello alla batteria come band di apertura ad un giovanissimo astro nascente della chitarra, Mr. Joe Bonamassa. Dopo un paio d’anni di tour con la band Domenico e Fabrizio decidono di dar vita ad un progetto acustico, chitarra slide e armoniche, che gli desse più libertà di espressione ed improvvisazione, che gli desse, in poche parole, il modo di comunicare attraverso la musica, nascono i Light Chili!
Voci, armoniche, dobro, valigie di cartone, sonagli, danno vita ad uno spettacolo coinvolgente, il duo alterna tributi al blues e al soul a brani originali tracciando un personale percorso di ricerca musicale. Il legame familiare, che emerge naturalmente e più volte durante gli spettacoli, regala una forte carica emozionale e trasmette al pubblico tutta la loro passione per la musica e il blues.
Inizia il loro viaggio e capiscono che per conoscere veramente il mondo con il blues bisogna portare lo show sulla strada, abbattere ogni tipo di barriera e creare quella simbiosi unica che si crea solo negli street show! Il loro battesimo in strada avviene nel 2010 al Ferrara Busker Festival e per l’occasione registrano in casa il loro primo album autoprodotto, “Light Chili”, ormai introvabile… o no???
Ospite di Me&Blues, la trasmissione condotta da Gianfranco Piria, Enrico Santacatterina.
Ascolta l’audio-intervista:
Enrico Santacatterina nasce a Padova nel Giugno 1962, inizia a suonare a sei anni, opera nel settore musicale dall’83 sia in qualità di strumentista che di arrangiatore e può contare diverse collaborazioni Italiane ed Internazionali. Inizia la sua carriera discografica con il suo gruppo FARD, pubblicando diversi singoli di successo con le case discografiche EMI e CGD, fra tutti “Chiamami da Tokyo” e “Hello DeeJay” sono quelli che negli anni ottanta raggiungono la maggiore popolarità anche grazie a numerose apparizioni televisive: Festivalbar, DeeJay Television, Discoring, Videomusic, per citarne alcune. Contemporaneamente svolge una intensa attività di session man e turnista che, alla fine degli anni ottanta lo ha visto ospite in centinaia di incisioni spaziando dalla musica dance al rock al blues.
Numerosi artisti jazz italiani con cui ha collaborato: Enrico Rava, Roberto Gatto, Maurizio Giammarco, Franco D’Andrea, Umberto Fiorentino, Nico Stufano, Francesco Bruno, Enrico Pierannunzi,Romano Mussolini, nonché artisti internazionali come Dizzy Gillespie, Dee Dee Bridgewater, Paul Bley, Lee Konitz, Richie Havens, Richard Galliano, London Community GospelChoir, Crystal White, Lena Philipsson e molti altri. Anche se non propriamente un musicista jazz ha partecipato con la sua acclamata band “Bass Revolution” alle edizioni ’89 e ’90 del festival di fama mondiale “Umbria Jazz”.
Diverse sono anche le collaborazioni nel panorama della musica Pop con artisti come Mia Martini, Tullio De Piscopo, Rossana Casale,Pooh, Mango, Gegè Telesforo, Oro, scalando le vette delle classifiche scandinave con la band svedese Arvingarna. Nel 2010 ha iniziato la collaborazione con il chitarrista Roby Facini, sfociata nella nuova band di Riccardo Fogli e nel progetto “Venice Band” specificamente creato per il mercato Russo e dei paesi dell’est.
Fin dall’inizio della sua carriera ha collaborato con diversi produttori o distributori di strumenti musicali, supportando nomi prestigiosi quali Gibson, Epiphone, Ibanez, Alembic, Steinberger, Fernandez, Manne, Hagstrom, Marshall, Mesa Boogie, Engl, Laney, Line 6, XOX, Hughes&Kettner. Attualmente usa chitarre Sterling by MusicMan ed amplificatori Laney e dal 2014 ha siglato un nuovo accordo come endorser ufficiale SHURE. Per queste aziende svolge una intensa attività di “demo” e “clinics” suonando al fianco di personaggi quali Billy Sheehan, Earl Slick, Shane Gibson, Stevie Salas, Femy Demovo, Tony Liotta.
Negli ultimi anni ha tenuto conferenze e masterclass presso la New York University di Abu Dhabi.
I Deadform sono un duo Industrial composto da Peter Bell ai synth e Dead Kryx – Cristian Di Natale già noto come “Murthum”, membro fondatore ed anima dei Mortifier una delle prime band black metal italiane – alle chitarre. Hanno da pochissimo pubblicato il loro Ep d’esordio “Tales of Darkforms” su Bandcamp.
Ciao Peter, benvenuto sulle pagine de Il Raglio del Mulo! Come nasce il progetto “Deadform”? Conosco Kryx da molto tempo, eravamo adolescenti. Nel piccolo paese rurale dove siamo nati chi ascoltava determinati generi musicali era considerato un alieno e quindi tra alieni ci conoscevamo tutti e ci scambiavamo cassette, dischi ed esperienze di viaggi impossibili no budget… facevamo migliaia di chilometri insieme per vedere le nostre band preferite. Deadform nasce da questo spirito ritrovato dopo alcune free session da un amico comune. Il mio modo alternativo di suonare i synth insieme alla sua macchina da riff ha trovato da subito un’intesa sonora. Insieme abbiamo pensato ad progetto che potesse unire power electronics, techno e metal sperimentando una nuova miscela esplosiva. Non ci siamo mai annoiati e ogni traccia ci spronava a lavorare sulla successiva .
E’ stato difficile unire la tua anima elettronica a quella più propriamente black metal di Dead Kryx? Le influenze black metal si percepiscono specialmente nella prima traccia “Darkforms” ma non avendo un cantante, e in quel momento neanche un batterista, dopo un po’ di session insieme l’idea di proporre musica solo strumentale è stata naturale, poi l’entusiasmo ha fatto il resto.
In che maniera vi approcciate alla composizione dei brani? Tutte le tracce sono state abbozzate insieme. Alcune volte ho sviluppato più una mia idea al synth o alla drum machine, altre volte siamo partiti da una parte di chitarra e via via in questo modo abbiamo rifinito le tracce. Solo quattro al momento per un Ep ma siamo già pronti a pubblicarne altre, come prima uscita può bastare.
L’industrial è un genere che ha avuto la sua maggiore notorietà negli anni ’90, cosa può ancora caratterizzarlo nel 2021 secondo voi ? L’industrial era il genere a cui ci sentivamo più vicini pur essendo naturalmente molto lontani dalla Wax Trax di Chicago. Certamente amiamo band come NIN, Skinny Puppy, Ministry, Front 242 tanto per citarne alcuni. Crediamo che il rock oggi per vivere abbia sempre più bisogno della sintesi elettronica e l’industrial è secondo noi il genere che più di tutti può incubare l’anima del blues con i ritmi industriali della dance music. Il mondo della musica è infinito ed è la massima espressione dell’uomo su questo pianeta.
Il vostro Ep “Tales of Darkforms” è una sorta di viaggio sonoro che ben si presta a un immaginario apocalittico, avete intenzione di pubblicare altri videoclip oltre quello già edito di “Convulsex”? Ci stiamo lavorando… il video di “Convulsex” è stata una sfida, in effetti pensavamo quanti videogiochi devono il loro successo alla musica?
Vista l’attuale stasi della musica dal vivo, che ne pensate delle esibizioni in streaming? Avete mai pensato a qualcosa del genere? Adesso abbiamo un batterista e, virus permettendo, stiamo cercando di preparare un set dal vivo. In merito alle esibizioni in streaming bisognerebbe inventarsi qualcosa di più che suonare davanti ad una camera fissa, ci vorrebbe uno show.
Come Mutaform Records, hai pubblicato diverse produzioni, quanto il contesto del Sud ed in particolare della Valle D’Itria influisce sulle tue produzioni ? Una delle cose più stimolanti che abbiamo da queste parti è il poter passare dal nulla più assoluto – un paesaggio rurale o un parco marino – ad un posto dove si suona si balla e ci si diverte senza traffico, con tantissimo spazio a disposizione. La vita all’aperto, un po’ di sport e l’osservazione… tutte queste cose aiutano molto e stimolano l’orecchio nella creazione di nuove tessiture sonore .
Quali progetti avete per il futuro musicale post-pandemico? Stiamo lavorando ad una versione live dei Deadform con un giovane batterista e ad altre nuove tracce.
Ospite di Me&Blues, la trasmissione condotta da Gianfranco Piria, Baba Sissoko.
Nato a Bamako (Mali), Baba Sissoko è Maestro indiscusso del Tamani (talking drum) che ha imparato a suonare durante la sua infanzia (grazie agli insegnamenti di suo nonno Djeli Baba Sissoko) e dal quale estrae con una naturalezza sbalorditiva tutte le note con un solo gesto. Eccelso polistrumentista suona anche lo ngoni, il kamalengoni, la chitarra, il balaphon, la calebasse, l’Hang e… canta!
Originario di una grande dinastia di griots del Mali, il cui ruolo nella tradizione è quello di riconciliare i cuori e gli animi, è stato il primo ad introdurre il suono del tamani nella musica moderna maliana. Nelle composizioni musicali di Baba Sissoko, grande influenza ha l’Amadran, che è una ripetitiva ed ipnotica struttura musicale tipica del Mali dalla quale, secondo il parere di numerosi ricercatori, ebbe origine il blues.
Il suo stile è estremamente originale: Baba ama integrare alle melodie ed ai ritmi propri della tradizione musicale del Mali (Bambara, Peul, Mandinghi e Sonrai), le sonoritè del jazz e del blues, creando un fantastico e originale effetto musicale.
Questo è possibile anche grazie alle sue numerosissime esperienze con musicisti provenienti da contesti e culture musicali completamente diverse dalle sue. La sua capacità di suonare una vasta gamma di strumenti e la sua estrema sensibilità verso gli altri generi ed altre espressioni musicali, lo hanno portato a collaborare con moltissimi musicisti di fama internazionale. Sui palchi di tutti i continenti, duettando con gli artisti più vari, da Dee Dee Bridgewater a Gegè Telesforo, da Omara Portundo a Roberto Fonseca, da Simon Phillips a Enzo Avitabile, da Fatoumata Diawara a Rokia Traorè, solo per citarne alcuni, negli ultimi lavori Baba si è divertito a collaborare con Luca Sapio (nell’album “Three Gees”), ospitando Corey Harris (Grammy winner, protagonista del notissimo documentario “Dal Mali al Mississippi” diretto da Martin Scorsese) e con DJ Khalab, nell’album “Khalab & Baba”, uscito a ottobre 2015, con un brano del quale (“Tata”) ha vinto il premio Track of the Year all’edizione 2016 dei Gilles Peterson Worldwide Awards, cerimonia annuale organizzata dal DJ della BBC Gilles Peterson. Inoltre, nel mese di Marzo 2018 è stato insignito del Grammy Africano “Obaland Music Awards” come miglior musicista jazz africano per l’anno 2018. Il 2020 lo ha visto protagonista dell’opera teatrale “Le vol du boli”, una produzione originale del Theatre le Chatelet di Parigi, realizzato dal regista pluripremiato Abderrahamane Sissako con la direzione artistica di Damon Albarn (Gorillaz).
Ad oggi è il leader di diverse formazioni musicali quali: Baba Sissoko Solo; Baba Sissoko Afroblues – African Griot Groove; Baba Sissioko Jazz ®Evolution; Baba Sissoko “Three Gees”; Baba Sissoko & Djana Sissoko Duo, Baba Sissoko & Mali Tamani; Baba Sissoko & Taman Kan; Baba Sissoko Black Rock, Baba Sissoko & Antonello Salis duo, Baba Sissoko Nicodemo feat Lilies on Mars, Baba Sissoko Mediterranean Blues.
Ospite di Me&Blues, la trasmissione condotta da Gianfranco Piria, Luca Burgalassi.
Chitarrista, polistrumentista e cantautore, nato a Livorno in Toscana, inizia a studiare musica a sei anni, a scrivere canzoni e ad esibirsi dal vivo a dodici. Si diploma con lode all’Accademia Lizard di Fiesole con Giovanni Unterberger e si perfeziona studiando jazz e improvvisazione con Franco D’Andrea, Franco Morone, Armando Corsi, Steve Trovato, Mike Sterne e Franco Mussida.
Appassionato di strumenti tradizionali studia le tecniche degli strumenti folk e country blues, come lap steel guitar, banjo, dobro, mandolino e armonica. Ha fatto parte di numerosi progetti musicali, registrando numerosi album ed esibendosi dal vivo in teatri e festival in Italia ed Europa. Finalista al BluesIn 2016, si esibisce al Pistoia Blues 2017 in apertura a Little Steven.
Come solista ha pubblicato quattro album: “Shadows and Fragments” 2015, “Windward” 2016, “On The Other Side Of The Water” 2019. “Come To My World” 2020. Vive in Virginia USA dal 2016.