Bruno Pitruzzella – Nuotando nell’aria

A tre anni dall’uscita del suo primo album, Bruno Pitruzzella pubblica “Respawning” (Autoprodotto, 2022). Dalle ovattate profondità marine presenti nel precedente lavoro, la chitarra acustica si estende ad atmosfere più elettronicamente astrali in questo EP, secondo volume della discografia del compositore palermitano. Scopriamone di più nella nostra intervista.   

Ascoltando Shift, prima traccia di “Respawning”, sembra di immergersi in un lavoro di musica elettronica. Come sei riuscito ad ottenere questi suoni usando esclusivamente la chitarra acustica?
“Shift” è stato il primo tra i nuovi brani a vedere la luce. L’idea di suono viene da lunghe sessioni di prove casalinghe con un multieffetto “nuovo” per me, l’HX Effects della line6, che ormai è parte imprescindibile del live set. Nello specifico qui è il frequency shifter a modificare il segnale della chitarra acustica, in modo da alterare totalmente anche l’altezza dei suoni oltre che il timbro; le note “suonate” non corrispondono più a quelle reali emesse dall’impianto e questo è stato di enorme stimolo per la creazione di qualcosa di nuovo. Poi loop station, delay e riverberi hanno fatto il resto.

Dalla seconda traccia emergono più chiaramente gli echi del tuo primo album, “Spawning”. In “Bees”, terza canzone in scaletta, è ancora più in primo piano la chitarra, accompagnata anche da violino, basso e mandolino. La melodia in particolare è molto accattivante, da dove è saltata fuori questa canzone?
“Bees” in origine era un pezzo per chitarra e violino che avevo scritto pensando nello specifico a Francesco Incandela, il bravissimo violinista che lo ha eseguito, con cui abbiamo condiviso il palco in svariate occasioni negli ultimi anni. Per cui la melodia è pensata proprio per uno strumento diverso, con maggiori possibilità espressivo/melodiche rispetto alla chitarra. Ma come spesso avviene tutto è nato dalla base, potremmo dire dal riff iniziale della chitarra, sempre accordata in modo alternativo, coi bassi più gravi rispetto all’accordatura standard. E poi la forma definitiva è stata il quartetto con basso elettrico (Luca La Russa) e mandolino (Martino Giordano), come fosse un quartetto di musica da camera. Il pezzo è registrato infatti “live” in studio, senza sovraincisioni (grazie anche all’abilità di Luca Rinaudo dello Zeit studio di Palermo).

Sulla copertina di “Respawning” c’è una fenice, rappresentata come la schermata iniziale di un videogioco del secolo scorso. Perché hai scelto questo simbolo e questa tecnica grafica?
L’artwork è ad opera del grafico Antonio Cusimano, che aveva curato anche le grafiche del primo album. Io mi sono limitato a spiegare il concetto di base e lui ha trovato questa forma finale con la fenice “pixellata”. L’idea di fondo rimanda proprio ai vecchi videogiochi 8 bit. Infatti il titolo dell’EP “Respawning” è tratto dal linguaggio videoludico e significa “resurrezione”, riapparizione di un personaggio, del “cattivo” o del protagonista, dopo la sua morte o distruzione. Chi ha qualche trascorso in compagnia delle gloriose console capirà cosa voglio dire… Ma in questo caso c’era un nesso anche col suono dell’EP, che come detto in precedenza è in certi casi più “elettronico”. La fenice incarna alla perfezione il concetto di rinascita e ha anche a che fare con la riapertura del progetto di solo chitarra dopo anni dal primo album, che si chiamava appunto solo “Spawning”.

Il video di Depicted, seconda traccia dell’EP, esalta la vocazione da colonna sonora del tuo stile. Infatti si tratta di un vero e proprio cortometraggio, realizzato con varie tecniche 3D da Basiricò Studio. L’idea della trama è tua oppure ti sei affidato alla fantasia degli autori?
Esatto, il video di “Depicted” si può definire cortometraggio a tutti gli effetti, ed è stato realizzato quasi del tutto con la tecnica di animazione dello stop motion. L’idea di trama è totalmente frutto della fantasia dei bravissimi creatori di Basaricò Studio, Nicolò Cuccì e Salvo Di Paola, ai quali mi sono totalmente affidato, direi di sì! E’ un “prodotto” cui siamo molto legati: ha avuto una gestazione lunghissima, è stato frutto di grandi sacrifici e impegno da parte di tutti e il risultato finale è stato molto soddisfacente. Ovviamente devo citare anche Gaia e Cecilia Picciotto e Silvia Salomone che hanno lavorato ai puppets e alle ambientazioni. Personalmente sono da sempre grande appassionato di animazione e la tecnica dello stop motion mi affascina moltissimo. Come hai detto bene tu, volevo anche che venisse fuori chiaramente questa vocazione da colonna sonora, destinazione ideale per questo tipo di musica, dal mio punto di vista.

Hai suonato tutte le tracce con un’accordatura diversa da quella più comune. Tecnicamente le corde a vuoto ripetono due volte, partendo dalla corda “più bassa”, le stesse tre note: re, sol, do, sol, do, re. Cosa ti permette di fare questa accordatura, che invece non potresti ottenere con quella standard (mi, la, re, sol, si, mi)?
Questa accordatura è quasi “aperta” in realtà, basta usare il solo indice della mano sinistra per trovarsi praticamente in do, maggiore o minore che sia. Per cui gravita fortemente su do, anche se il basso è un Re, e mi consente di avere delle linee melodiche sulle corde a vuoto che sarebbero altrimenti impossibili con accordatura standard. Un esempio è il brano “Salpa” del primo album, pressoché ineseguibile se non così.

Ah, ma ne avevamo già discusso… Rileggendo la nostra precedente intervista, mi avevi detto che con questa accordatura “vengono a mancare gli automatismi delle scale… Ma è proprio quello che serve per trovare soluzioni sempre nuove”. Nel frattempo hai assimilato questa accordatura e sei passato a sperimentarne altre?
La mancanza di punti di riferimento, soprattutto in relazione alle tipiche formule scalari su cui ci blocchiamo noi chitarristi, di fatto spalanca le porte all’immaginazione e alla sorpresa dal punto di vista creativo, improvvisativo e compositivo. Ovviamente il rovescio della medaglia è la difficoltà di suonare tutto così, perché bisogna re-imparare alcune cose. Sicuramente adesso mi sento più a mio agio rispetto a prima e gli automatismi iniziano a esserci ma non credo che dominerò mai totalmente questo schema. Per cui sì faccio qualche altro esperimento ma di base suono così per il momento. Ovviamente va sottolineato come non sia chissà quale nuova trovata usare le accordature alternative, lo si fa da secoli ovunque e spesso con risultati interessanti. Semplicemente questa si addiceva molto a quello che volevo fare e non ho mai più smesso di usarla. Mi è stata “insegnata” dal mio grande amico Giancarlo Romeo, che ha anche donato uno dei suoi pezzi per il primo album.

Come presenti la tua musica dal vivo? Da solo o in gruppo? Sei fedele alle versioni in studio o preferisci arrangiare in modo diverso le composizioni?
Di solito il mio è un set solitario, un solo chitarra con multieffetti e loop station. In occasioni particolari eseguiamo per esempio “Bees” in quartetto così come nell’EP, ma ho un arrangiamento anche in solo che uso dal vivo. Per il resto ai concerti mi piace moltissimo improvvisare e spesso faccio pezzi creati per l’occasione o letteralmente composti “sul palco”, ma in realtà le versioni originali in studio sono state registrate “live”, nel senso che sono esecuzioni “filate” dall’inizio alla fine, coi loop creati in diretta. Abbiamo aggiunto giusto qualche raddoppio qua e là in fase di registrazione, ma la resa dal vivo è pressoché identica a quella della rec.

Stai già lavorando al prossimo capitolo della tua discografia?
Ci sono già tre o quattro pezzi nuovi che a volte eseguo live, ma non li sto ancora sistemando con l’obiettivo di entrare in studio. Sicuramente questo passaggio sarà inevitabile ma voglio maturare ancora qualcosa di diverso prima di una nuova produzione. Nel frattempo mi dedico ai live…

Paolo Tofani – Indicazioni

A 44 anni di distanza dalla pubblicazione di “Indicazioni”, album studio sulla chitarra edito dalla Cramps, Paolo Tofani torna con “Indicazioni Vol. 2” (Aventino Music / ufficio stampa Qalt). Il nuovo album raccoglie delle improvvisazioni  registrate con la Shyama Trikanta, una speciale chitarra progettata dallo stesso chitarrista degli Area.

Ciao Paolo, ai tempi della pubblicazione di “Indicazioni” nel 1977 avresti mai immaginato di dare un seguito a quel disco dopo ben 44 anni?
Il passare del tempo è soltanto una espressione della dualità in cui viviamo. Il principio che io seguo è quello dell’Utilità, quindi, fino a quando potrò continuare a stimolare i giovani musicisti a sviluppare una visione più ampia fuori dalla banalità della cultura musicale dominante, potrò considerarmi soddisfatto.

I fattori che ti hanno spinto a pubblicare solo oggi il volume due sono di natura endogena o esogena? Mi spiego meglio: hai avvertito dentro di te che hai acquisito una nuova conoscenza del tuo strumento tale da poter dare nuove indicazioni oppure hai sentito che il mondo esterno era così cambiato che era necessario dare delle nuove indicazioni più vicine a quelli che sono i canoni odierni?
L’esperienza della vita ti regala grandi spostamenti di coscienza. Di conseguenza, la consapevolezza acquisita modifica il tuo piano di intervento creativo, lo arricchisce e l’espande (grazie anche alle nuove tecnologie), e il desiderio di condividere diventa forte. Ovviamente, c’è da considerare lo squallore creativo del presente, e quindi i due aspetti da te menzionati sono presenti in eguale misura.

I brani nascono tutti da improvvisazioni, ma come hai capito quale di queste improvvisazioni inserire nel disco e quali no?
La musica spontanea nasce, cresce e muore in maniera naturale; occorre, soltanto, un raffinato udito e una grande umiltà.

Hai del materiale scartato che in futuro potrebbe finire in un “Indicazioni Vol. 3”?
Ho realizzato moltissimo materiale, che può essere ascoltato su https://paolotofani.bandcamp.com/, da potere regalare centinaia di indicazioni.

Il mercato musicale dagli anni 70 ad oggi è molto cambiato, così come anche l’approccio allo strumento. Credi che l’impatto che il volume 2 possa avere sull’ascoltare sia in qualche modo paragonabile a quello avuto a suo tempo dal volume 1 o ci troviamo innanzi a due tipologie di pubblico con sensibilità e interessi totalmente diversi?
Questa indicazione, paradossalmente, è meno tecnologica, e la chitarra è la vera protagonista; ma dipende sempre dall’interesse dell’uomo.

Il disco è stato registrato con una chitarra ideata da te, Shyama Trikanta. Quanto tempo ti ha portato via la progettazione di questo strumento e quali sono le caratteristiche che lo rendono unico?
La Shyama trikanta soddisfa li mie esigenze sonore più aggressive. È uno strumento molto tecnico, con soluzioni stimolanti e insolite. I tre manici producono suoni molto diversi fra loro (questo è il significo della definizione Trikanta, tre voci). Si passa dall’arpa a 20 corde, con accordature custom, alle 7 corde del manico centrale e 3 corde sul terzo manico senza tasti, quindi interessanti opzioni per scivolare in fraseggi atonali, e una coppia di corde doppie (tipo bouzouki), anche esse con accordature custom. Ci sono resonator speciali e pickup esafonici, per controllare synths via computer, ecc… Essendo uno strumento elettrico, si possono generare feedback molto interessanti e giocare con armonici di grande ampiezza. Senza dubbio uno strumento fantastico, unico al mondo, molto stimolante da utilizzare.

Quanto tempo dedichi ancora allo studio della chitarra giornalmente?
Nessun tempo.

Con gli Area vi fregiavate del titolo di POPular Group, ma si può ancora parlare di musica popolare e musica colta? Il confine è veramente così netto?
La musica, oggi (a parte alcune anime libere), non è più popolare, ma commerciale di basso livello e, francamente, non ho nessun interesse per essa.

Quali progetti hai in serbo per il futuro?
Continuare a essere utile, se Krsna vuole. Hare Krsna.

Bruno – Fatto d’acqua

Spawning” (Almendra Music, 2019) è il titolo del primo album solista di Bruno, che in undici brani per sola chitarra traduce in musica le proprie riflessioni sul mondo sommerso che ci circonda. Ecco la nostra intervista.

Come sono nati i pezzi di “Spawning”?
Non è facilissimo spiegare come sono nati i pezzi dell’album… La risposta più giusta sarebbe “dipende”. Hanno avuto un’origine variegata, sia nelle modalità che nei tempi. Alcuni sono scaturiti da improvvisazioni successivamente strutturate, altri sono in tutto e per tutto delle esecuzioni estemporanee avvenute in studio su idee musicali pregresse e altri ancora invece sono stati scritti nota per nota alla vecchia maniera. Sicuramente tutti sono il risultato delle esperienze che ho avuto, che si sono condensate e hanno preso questa forma nell’arco del tempo. E altrettanto certamente posso dirti che sono nati tutti nella mia stanza, da solo, con la chitarra in mano.

Perché hai scelto questo titolo?
“Spawning” viene dal verbo inglese “to spawn” e significa generare, germinare, produrre, fare le uova. Si usa per indicare la riproduzione e la deposizione delle uova negli animali acquatici. La metafora mi sembrava attinente con il concetto di produrre e generare musica, come se i pezzi fossero delle cellule germinali. È anche un chiaro riferimento alla biologia marina, mia grande passione.

Infatti! So che sei appassionato di immersioni, cosa di queste avventure sottomarine emerge nelle tue composizioni?
Le immersioni subacquee sono una parte fondamentale della mia vita e hanno sicuramente avuto un ruolo nella creazione di questo lavoro. Come tutto quello che di “extra musicale” facciamo e che in qualche modo “rientra dalla finestra” quando si tratta di produrre. È un’ovvietà, ma il mare è motivo di grande ispirazione in generale… Probabilmente esiste una dimensione affine tra queste composizioni e il concetto di mare, di viaggio, di immersione, etc. ma non saprei dire specificamente dove o in che cosa. Tra l’altro ho scoperto che non pochi musicisti, alcuni addirittura del mainstream, sono subacquei (Max Gazzè è un perfetto esempio, ma anche Claudio Baglioni… eheh). Un’altra curiosità è che sott’acqua in linea di massima si sta in silenzio (parlare si può ma non è agevolissimo) e se non fosse per il suono del respiratore e delle bolle che ne scaturiscono, il silenzio sarebbe pressoché totale (se escludiamo anche i motori delle barche e le rispettive ancore che sbattono sul fondale). Questo silenzio è forse uno degli aspetti più interessanti in assoluto (oggi in realtà sappiamo che alcuni tipi di pesci e altri animali marini emettono dei suoni ma sono per lo più impercettibili). Cionondimeno, devo confessare che spesso mi capita di cantare durante le immersioni…

Su YouTube i pezzi di “Spawning” sono accompagnati da tue riprese sottomarine, soltanto in un video ci sei tu ad eseguire il brano “Salpa”. Da dove è nata l’idea per questa registrazione? Si tratta di un’esecuzione dal vivo differente dalla take presente nel disco?
La versione di “Salpa” presente su YouTube è esattamente la stessa dell’album, abbiamo fatto le riprese video insieme a quelle audio originali durante le registrazioni. Era necessario avere almeno un video in cui si vedesse chi stesse suonando cosa… e “Salpa” mi è sempre sembrato il pezzo più adatto: è uno dei più orecchiabili ma anche dei più difficili da eseguire. È anche uno di quelli a cui sono più legato.

Almendra Music, etichetta particolarmente attenta alla produzione di musica strumentale, ha sposato il tuo progetto. C’è stato un momento particolarmente significativo durante la realizzazione di questo lavoro?
Il progetto ha avuto una genesi non esattamente lineare e per certi versi travagliata, per cui direi che ogni momento è stato pregno di significato. Essendo la mia prima volta per un disco “solo chitarra”, sicuramente tutta la fase di pre-produzione è stata stimolante.

La copertina dell’album, dominata da un blu intenso, vista da lontano somiglia ad un cielo stellato, invece più da vicino sembra proprio evocare atmosfere subacquee. Come è stata realizzata quest’immagine?
La copertina è opera del valente grafico e visual artist Antonio Cusimano, che ha sempre collaborato con Almendra Music e con il quale si è sviluppata un’ottima intesa col passare degli anni. È stata una bella intuizione, sembra effettivamente una galassia ma a uno sguardo più attento le “stelle” si rivelano per quello che sono, cioè bolle o se vogliamo uova…

Tu suoni contemporaneamente in diverse band, Forsqueak ed Utveggi sono le prime che mi vengono in mente ed ai cui concerti mi diverto sempre. Questo album ha un legame col tuo percorso musicale o se ne distacca?
Credo ci sia un legame inevitabile col percorso condiviso in questi anni insieme agli altri componenti delle band. Ci si è influenzati, stimolati e incoraggiati molto a vicenda ovviamente. L’album è la naturale conseguenza di quanto fin qui maturato. Ma c’è anche parecchio di quanto affrontato personalmente, come gli studi classici e l’improvvisazione. Il risultato non sarebbe stato lo stesso se non avessi studiato la chitarra e la musica classica, nel bene e nel male.

Ad un concerto di presentazione di “Spawning” hai accennato al tuo passaggio dalle accordature standard a quelle cosiddette aperte. In che modo questo cambiamento ha influito sulla composizione, oltre che sull’esecuzione dei pezzi?
Direi che è stato fondamentale, questo album semplicemente non esisterebbe se non avessi “scoperto” questa accordatura alternativa (non è “aperta” in senso stretto, gli intervalli tra le corde a vuoto non formano un accordo preciso). Mi è stata suggerita da un grande amico chitarrista, Giancarlo Romeo, nonché mio dentista, che non ringrazierò mai abbastanza. Anche questo è un percorso forse banale: dopo tanti anni di studio e di formule chitarristiche ormai cristallizzate, le accordature alternative sono uno stimolo e una fonte di ispirazione enorme. Tutto quello che facevi in modo ormai prestabilito ed inevitabile, assume colore, suono e forma completamente diversi. E quindi la sorpresa che ne scaturisce mi ha di fatto condotto sulla maggior parte dei pezzi dell’album e mi ha consentito di comporre qualcosa di diverso. Il bello è che con le accordature aperte non si arriva mai a un controllo totale dello strumento, lo stesso che si ha con accordatura standard. E’ molto difficile ad esempio improvvisare melodicamente, perché vengono a mancare gli automatismi delle scale… Ma è proprio quello che serve per trovare soluzioni sempre nuove e provare anche a essere il più musicali possibile, uscendo dai classici stilemi della chitarra che spesso ci intrappolano. Ma non bisogna esagerare, perché anche l’accordatura aperta ti porta a utilizzare formule che si cristallizzano, facendo diventare tutto improvvisamente noioso e scontato. Insomma è bello variare sempre, il più possibile!

Qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri a nome Bruno?
L’inevitabile prosecuzione del progetto dovrà essere necessariamente un “Re-Spawning”… Prossimamente su questi schermi…