Manuel Agnelli – Ama il prossimo tuo come te stesso

Manuel Agnelli, storico leader degli Afterhours, ha pubblicato circa due mesi fa, il suo primo lavoro da solista, “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Un album che sta riscuotendo molto successo in tutta Italia e che stasera 03 dicembre 2022, proprio da Bari, al Demodè Club di Modugno, inizia la sua promozione dal vivo. Abbiamo raggiunto Manuel al telefono.

Manuel, complimenti per questo tuo nuovo album, molto bello, parte con un brano altrettanto bello, “Tra mille anni mille anni fa”. Parlaci del disco, di questo brano, dei testi…
Ho cercato con quest’album di recuperare il pianoforte e con questo brano in particolare. Il pianoforte è lo strumento che suono bene perché l’ho studiato, mentre con la chitarra mi sono sempre ‘arrabattato’ a suonarla, anche se con la chitarra alla fine faccio quello che mi interessa fare realmente. Il disco ha due o tre facce musicali differenti, da un lato c’è la parte più rock n’roll, un po’ avanguardistica, come nel brano “Proci”, ad esempio, e dall’altro c’è la parte più classica, quasi antica. Il brano da te citato è un brano quasi rinascimentale come melodia. Durante il periodo del lockdown sono rimasto come tutti isolato in casa e mi son messo a suonare senza progettualità, per cui mi venivano fuori delle cose molto diverse una dall’altra, non necessariamente coerenti, però per me musicalmente erano belle, quando le ho riascoltate tutte insieme ho pensato che volevo lasciarle così. Dopo trent’anni di percorso di alcuni dischi fatti con un certo tipo di carattere, è una libertà che mi sono preso e ho lasciato questa parte più antica, classica, perché è una parte di me, della mia creatività.

Nei testi e nel disco in generale, sembri più ispirato che mai…
Sicuramente ho scritto e suonato per passione e divertimento. Non avendo un progetto specifico e nessuna scadenza mi sono messo a scrivere come un ragazzino con la gioia di poterlo fare senza dover avere nessun tipo di risultato e forse per questo l’ispirazione è così sincera ed istintiva e si sente così tanto. Non ho cercato sovrastrutture, né cercato di dare al disco una chiave di lettura forzata, sono stato particolarmente attento a mantenere e conservare l’istinto iniziale di quando ho iniziato a comporre per questo disco a cui tenevo molto.

Al di là, o a partire dal titolo, è un disco pieno di amore, concordi?
Non c’è sicuramente la vergogna di parlare di amore e lo faccio senza dover necessariamente trovare delle frasi intelligenti o parafrasi per mascherare la parola stessa amore. Avevo delle urgenze, per delle cose che mi sono capitate in questi anni, e ho voluto scrivere a cuore aperto.

Hai suonato tutti o quasi gli strumenti del disco, vero?
Sì, il 90% . Gli arrangiamenti di archi sono a cura di Rodrigo D’Erasmo in quattro pezzi. Metà delle batterie, quelle doppie, sono suonate una da me e una da DD dei Little Pieces of Marmelade. Poi nell’album ci sono brani che erano stati pubblicati precedentemente, come “La profondità degli abissi”, incluso nella colonna sonora del film “Diabolik”, lì la batteria la suona Fabio Rondanini e Rodrigo suona il synth.

Il tour parte stasera proprio da Bari, che tipo di spettacolo dobbiamo aspettarci rispetto a quelli con gli Afterhours, più intimista?
Al contrario. Questo tour segue quello estivo con cui ho suonato con i due ragazzi dei Little Pieces of Marmelade, duo che avevo a X Factor tre anni fa. Loro vengono dall’hardcore e da un certo tipo di stoner per cui sono molto aggressivi come sound. Inoltre ci sarà il bassista dei Negrita Giacomo Rossetti e la polistrumentista e cantante Beatrice Antolini che suona principalmente le tastiere ma non solo, anche le percussioni e le doppie batterie. Il concerto riprende anche alcuni pezzi che non facevamo più con gli Afterhours e suonano ancora più violenti nel senso che con gli Afterhours alcune cose erano diventate quasi di “repertorio”, pezzi come “Lasciami leccare l’adrenalina”, “Veleno” e “Dea”, erano pezzi che, nonostante i musicisti degli Afterhours siano dei bravissimi musicisti, non venendo da sonorità così dure come l’hardcore, questi pezzi, risuonati oggi con questa formazione attuale hanno riacquistato una vita pazzesca. Nel concerto quindi ci saranno le due anime del disco, quindi la parte più spinta, più avanguardista e quella più classica e delle ballate, arricchito il tutto da alcuni pezzi degli Afterhours. Un concerto che durerà un paio d’ore.

Hai ricevuto recentemente un riconoscimento prestigioso, quello di Dottorato in Editoria e Produzione Musicale, ce ne parli?
Sì, è stato un grande onore. L’ho accettato perché il terreno per il quale me lo hanno conferito è il mio. Se mi avessero dato un premio simile in filosofia, nonostante sia un appassionato, non ritenendomi di certo un dottore non avrei avuto il coraggio di accettarlo. Invece in editoria musicale ho 30/35 anni di scuola, per cui anche presuntuosamente potrei dire di essere all’altezza di questo riconoscimento. Il bello è stato vedere riconoscere una professionalità ai musicisti, a cui si nega sempre il fatto che sia un vero lavoro, siamo considerati degli “intrattenitori”, non è così, sappiamo quanto è difficile, quanta gente ci lavora in questo settore ed è un mestiere come tutti gli altri imprenditoriali, molto rischioso e molto difficile e va ugualmente rispettato e valorizzato.

Tanti anni di carriera sui palchi, la TV, adesso un programma su Radio 24, quali sono le differenze tra questi due canali così importanti?
Rispetto alla TV lavorare in radio è più leggero, non dico più facile, ma non dovendo apparire, tranne per chi fa radio con dirette video, può sembrare più semplice. Magari è più difficile arrivare alla gente, perché in TV ci sono le smorfie e la fotografia che ti aiutano a trasmettere un messaggio o un emozione, però hai meno cose su cui doverti impegnare e l’immagine è una di queste. Nel mio caso faccio radio pura, senza immagine, tranne quella per promuovere sui social, solo voce, suono anche, l’ho già fatto con diversi ospiti come Brunori Sas, Motta, Vasco Brondi e un po’ da solo anche, così come avevo fatto con la trasmissione “Ossigeno” su Rai 3. Mi piace raccontare aneddoti legati all’attualità e la mia idea di musica.

Nel disco parli della città di Milano, una città che ha dato moltissimo al rock italiano, c’è anche un libro di Elisa Russo, “Uomini” (Odoya Ed.), che è incentrato principalmente sulla band dei Ritmo Tribale, ma parla della Milano che ha prodotto molto a livello musicale…
E’ vero, perché è, o era una città industriale, sicuramente questo contraddistingue le produzioni con un sound più duro, prendi ad esempio città come Detroit o Sheffield, quando la città offre poco svago a livello di atmosfera, chissà come mai le sonorità suonano più dure e aggressive. La Milano degli anni 80/90 in effetti ha avuto una scena hardcore / punk notevole, che ha condizionato un po’ tutta la scena italiana di quegli anni, però allo stesso tempo è difficile che a Milano nascano delle cose, generalmente nascono in provincia e si realizzano a Milano, un po’ come succede anche a Londra, spesso non ce ne rendiamo conto, nelle grandi città ci sono le strutture, i soldi, i luoghi, ma spesso la creatività arriva dalla provincia.

Hai in cantiere un progetto in cui sei coinvolto con “tema Bowie”…
Sarò il protagonista di “Lazarus”, il musical che David Bowie ha scritto prima di lasciarci insieme a Enda Walsh, uno sceneggiatore di primo livello. Questa è l’edizione italiana e devo ammettere che sono particolarmente orgoglioso di questo, Walter Malosti, il produttore di questo spettacolo, mi ha scelto perché Bowie aveva dato delle indicazioni precise sulla scelta dei protagonisti, ossia quelli con una forte personalità sia musicale che personale, Bowie per me è sempre stato un punto di riferimento, mi è piaciuto come artista in tutte le sue epoche, per cui credo di poter entrarci nella parte molto bene, e inoltre mi piace il fatto che non sia uno spettacolo revival, come può essere un “Rocky Horror Picture Show” o un “Jesus Christ Superstar” ma uno spettacolo contemporaneo, scritto oggi per oggi.

Che ne pensi del ritorno del supporto vinile e di come si usufruisce la musica oggi, non sono troppi i “sistemi” di diffusione della stessa?
Per me basta che si ascolti. Il problema è se sparisse tutto, nel senso che ho visto periodi peggiori per quanto riguarda la produzione musicale. Negli anni 80 quando non avevamo Internet bisognava cercare i dischi nei negozi ed era molto difficile riuscire a capire cosa accadeva musicalmente, e si faceva probabilmente in maniera forse approssimativa ma certamente con grandissima passione. Adesso abbiamo vantaggi e svantaggi. Dobbiamo imparare ad utilizzare i mezzi che abbiamo a disposizione, cosa che non abbiamo fatto ancora. Internet sì, ci aveva promesso una sorta di democrazia orizzontale, non solo a livello musicale, ma anche sociale, poi questa promessa non è stata mantenuta per niente, perché è vero che c’è troppa roba in giro, il fatto che tutti possano produrre qualcosa ha fatto sì che tutti producono qualcosa, senza filtri, Quindi gli spazi che abbiamo disponibili sono saturi e occupati da gente che in altri tempi lì non ci sarebbe stata. Tutto questo non fa bene alla musica, si, sembrava una grande opportunità all’anizio, ma quante band realmente sono uscite da sole dal web, a parte gli Arctic Monkeys? Non arriviamo a contarne neanche dieci di band.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 3 DICEMBRE 2022

Edda – O capitano! Mio capitano!

Nuovo album solista per Stefano Rampoldi, meglio conosciuto come Edda. Ex-cantante dei Ritmo Tribale, storica band tra le più rappresentative per quel che riguarda il rock italiano fine 80, inizio 90. Giunge al suo sesto lavoro solista, settimo se si considera la collaborazione di due anni fa con Gianni Maroccolo, “Noio; volevam suonar.”, album registrato a distanza durante il lockdown del 2020. Ed è proprio sotto la produzione dello stesso Maroccolo che nasce questo “Illusion”, disco che sta riscuotendo molto successo. Per saperne di più ne abbiamo parlato direttamente con il cantautore milanese.

Edda, ascoltando i tuoi album, ad esempio “Graziosa utopia”, “Fru fru”, per nominare i più recenti, viene da chiedersi, come fai a fare un disco così differente ogni volta?
Premetto che non è una cosa ricercata, la “colpa” è dei produttori e degli arrangiatori. I dischi che hai citato sono però il frutto di lavoro di un team simile, cioè Luca Bossi, Fabio Capalbo. Non saprei onestamente. Non è proprio un bene sempre eh…. con “Fru Fru” mi son spostato in campi molto lontani dai miei…A volte va bene, a volte meno, è che non è facile mettere a fuoco le mie canzoni, a volte io più che servire ai produttori sono per loro un disservizio, perché do a loro delle direzioni un po’ sbagliate. Io in definitiva non partecipo, porto la canzone, voce e chitarra, poi esco dallo studio e torno quando la canzone è fatta, completata.

Un po’ come succedeva già con i Ritmo Tribale…
Sì, in parte sì. Portavo le mie canzoni e loro le rivestivano, vero, sì.

E’ un pregio fare un disco differente ogni volta, anche se a volte non si è compresi da tutti.
A volte il tutto viene spontaneamente che non te ne accorgi neanche, il fatto dell’arrangiamento è veramente difficile per uno come me che le canzoni non le sa arrangiare. Faccio fare il lavoro agli altri.

Come son andati i primi concerti a Roma e Bologna la scorsa settimana?
Bene. Lo scorso tour forse non partì con il piede giusto, successivamente ebbe uno stop un po’ brusco, invece qui sembra che abbiamo iniziato abbastanza bene, ai concerti c’era parecchia gente, siamo soddisfatti di questo buon inizio.

Di spalla ha suonato Umberto Maria Giardini, da tanti conosciuto meglio come Moltheni, avete suonato qualcosa insieme dato la vostra collaborazione alcuni anni fa?
No, insieme no. Mi ammazza con la sua voce. Però lui ha fatto un concerto pazzesco, ha cantato benissimo, voce e chitarra. Davvero con lui ti rendi conto ti cosa significa quando hai davanti un artista che sa sia cantare che suonare, poi ha anche le canzoni belle, è il non plus ultra. E’ talmente bravo che potresti andare ad un suo concerto, non conoscere neanche una canzone, ma ne rimani totalmente affascinato. Lo stimo tantissimo, è molto bravo.

Lui è molto bravo sì. Ma adesso non buttarti troppo giù.
Ma sai, con il gruppo son bravo anche io, ma voce e chitarra lui è pazzesco.

Indubbiamente, ma anche i tuoi live voce e chitarra erano dei bei pugni nello stomaco, nel senso molto molto intensi..
(non lo sento tanto convinto ma…)

C’è un brano o una cover che ti piacerebbe suonare un giorno?
A me piace tantissimo la musica, credo di aver iniziato a cantare proprio perché affascinato dalla musica degli altri, poi io magari non so fare neanche le mie di canzoni, ma degli altri ce ne sarebbero migliaia da fare. Io sarei un crooner perfetto per le crociere, passerei da brani dei Ricchi e Poveri a brani tipo “Ti amo” di Umberto Tozzi fino a dischi come quello degli Area “Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano…” che contengono un paio di canzoni molto belle. Già il panorama italiano è vastissimo, se sapessi cantare poi in inglese sarebbero infinite, ci sono talmente tanti gioielli musicali in giro.

Magari fai un tour con tutti questi pezzi un giorno.
Magari, sarebbe bellissimo.

Ci sono momenti in cui vedi tutto nero… cosa ti fa andare avanti in quel momento?
La vita non è uno scherzo, non è uno spot della pubblicità, sembra banale ma è così. Io non so dare un consiglio, perché potrei sembrare il perfetto esempio di fallito. Non puoi pensare che la vita è bella e diventa bella, la vita è anche abbastanza brutta, ma bisogna lottare, è come se ti mettessero in prigione e a un certo punto la pena finisce, non perché muori eh… non voglio essere troppo pessimista. Il mio modo di salvarmi è spiritualizzarmi, per me è molto importante credere nel “mio Dio”, che è Krishna. Ho i miei libri, adesso son dieci anni che ho ripreso a spiritualizzare la mia vita e questo mi fa andare avanti, mi fa respirare, ma questo vale per me, per gli altri non posso parlare.

Il titolo “Illusion” cosa è esattamente?
“Illusion” è una parola che deriva dal fatto che i sogni che facciamo la notte son convinto che sono sogni che facciamo ad occhi chiusi poi la mattina quando ci svegliamo facciamo un altro sogno ma ad occhi aperti, ma la realtà non la vediamo. Come se guardassimo un film, ti sembra tutto reale ma in effetti è solo della luce proiettata su un muro, e questo è il senso di “Illusion”, è una mia visione della vita in cui credo abbastanza e vado sempre più in quella direzione. Anche se poi nella canzoni non parlo prettamente di questo.

Parlaci del retrocopertina del disco.
L’idea è di chi ha ideato la copertina, a essere onesto non sapevo neanche che mio padre ci andasse a finire lì. Il senso di quella foto è il fatto che tra me e mio padre non c’è mai stato un rapporto di gioco e prima che sia troppo tardi è giusto giocare adesso. Mio padre nella foto assume una posizione equivoca, ma in verità non è altro che un papà che gioca con il proprio figlio a cavalluccio e quindi una cosa molto innocente. Abbiamo colmato una lacuna. Avevo in precedenza fatto una copertina con tutta la mia famiglia ma non c’era mio padre perché era lui che fotografava, ed era giusto inserirlo in questo. Ma in realtà non è stata una cosa voluta, io non lo sapevo neanche finisse in copertina questa foto.

Underworld Vampires – Mondi paralleli

“Mondo Parallelo” (Doppio Click Promotions) è l’esordio sulla lunga distanza della rock band pugliese Underworld Vampires tra reminiscenze wave, incursioni elettroniche e un notevole gusto pop per le melodie, il tutto cantato rigorosamente in italiano. In attività dal 2018 come duo e dopo svariate demo pubblicate su YouTube, nel Maggio 2020 la band si completa e pubblica la cover “Big Sleep” dei Simple Minds, ricevendo pubblicamente i complimenti della band scozzese. Un viaggio sonoro che si è concretizzato in un album – anticipato dai singoli “Orso Bruno” e “Foskia” – la cui genesi ci è stata raccontata dal trio stresso.

Ciao ragazzi e benvenuti su Il Raglio del Mulo, è da pochissimi giorni uscito il vostro primo album “Mondo Parallelo”, che riscontri sta avendo? Ne siete soddisfatti?
Nicola: Si, siamo molto soddisfatti, i riscontri sono più che positivi, le recensioni accattivanti, i paragoni con altre band importanti sono davvero sorprendenti! 

Com’è nato il progetto Underworld Vampires?
Nicola: Il progetto è nato come una sfida creativa, come un gioco che si è poi evoluto col passare del tempo (2 anni). Le canzoni sono nate nottetempo, a Venezia dove vivo…  inizialmente erano  versi, poi nei giorni successivi si trasformavano in melodie che registravo con lo smartphone rigorosamente all’alba, e le inviavo quindi a Mimmo (Domenico Capobianco), che invece vive in Puglia, il quale incuriosito e divertito dalle melodie pop malinconiche e darkeggianti ha iniziato a cucirci addosso degli arrangiamenti, con il suo computer, mentre era in viaggio.
Mimmo:
Sì, è stata una sfida molto originale, per entrambi: per Nicola perché non scriveva versi da quando era bambino, e per me perché non mi era mai capitato di comporre musica partendo da una melodia vocale, cantata tra l’altro in italiano (altro elemento di novità per due appassionati come noi prevalentemente di musica anglofona). Le melodie erano così naturalmente pop che è stato necessario creare un “ponte” per collegarle al nostro DNA più legato al rock elettronico e alla new wave.
Nicola: Che bei ricordi! E’ nato un ping pong di demo inviati via whatsapp tra Venezia e Capurso (Puglia), dove vive Mimmo, le canzoni sembrano incredibilmente avere un senso sin da subito… Mimmo ha dato una impronta “elettrodark” al sound, e io da buon nottambulo, vampiro e insonne non chiedevo di meglio! Abbiamo iniziato così a “vampirizzare” le diverse idee melodie e liriche che nascevano.
Mimmo: Abbiamo così iniziato a condividere le prime demo, fatte tutte rigorosamente in casa, e l’opportunità poi di farle diventare un vero e proprio disco registrato in studio ha fatto il resto e ci ha fatto conoscere il terzo vampiro, Francesco Valentino detto Pra, fonico e produttore di altri artisti pugliesi a noi cari come Stain e Matteo Palermo. Pra viene dal rock più prog, una decade e passa più giovane di noi, oltre ad essere anche un cantante eccezionale che ha portato quella carica di aggressività e potenza che serviva per completare il nostro sound. Ci è venuto naturale accoglierlo come terzo membro della band. E poi abbiamo lavorato nel suo Asylum studio, un luogo davvero fantastico!

Di base siete un trio ma il vostro è un collettivo molto aperto, in che maniera scegliete le collaborazioni e i musicisti da coinvolgere?
Nicola: Il nostro è stato una sorta di patto di sangue in musica tra differenti generazioni, a partire dagli adolescenti sino ai più “grandi”, gli estimatori delle sonorità new wave anni 80 per intenderci… di questo siamo più che felici! Forse il concetto di vampiro sta proprio in questo “succhiare il sangue” ad altri artisti diversi da noi, per restare creativamente giovani e vivere musicalmente la contemporaneità. Trarre forza dalle loro tendenze musicali, dai loro suoni  e nello stesso tempo dare loro la possibilità di conoscere meglio le nostre esperienze, le nostre origini. Siamo riusciti a coinvolgere anche un baby vampire che ha dato pregio al nostro lavoro con un’ intensa take di rime nel “Brano Six Falling Stars”, Morash artista di soli 18 anni appena compiuti al momento in cui ha realizzato la parte rap in italiano in quel brano! E poi i giovanissimi ma ormai affermati Stain hanno collaborato al nostro disco ed anche artisti solidi  e d’esperienza come Matteo Palermo che ha registrato le chitarre e due vocalists d’eccezione, ineguagliabili come Giuliana Spanò (Immobili, Angelo Strano Six Falling Stars) e Raffaella Distaso (Foskia, Orso Bruno, Mondo Parallelo).

A parte un brano in lingua inglese, il vostro sound riporta a un certo tipo di sonorità italiche di fine anni 90 – penso ai primi Subsonica ma anche al Battiato più elettro-rock – che a loro volta si rifacevano a un certo tipo di wave d’oltremanica in voga negli anni 80, quali sono le vostre maggiori influenze?
Mimmo: In realtà tutte queste influenze non le abbiamo mai pienamente percepite prima di leggere le varie recensioni. Ma ne siamo davvero orgogliosi, le influenze non vanno negate, noi siamo quello che ascoltiamo, direbbe qualcuno, e per forza di cose ti rimane dentro un’attitudine che viene assorbita e si trasforma in qualcosa di nuovo. Sicuramente nei nostri ascolti di musica italiana ci sono Battiato e Subsonica, ma anche CSI, Baustelle, Afterhours, per citarne solo alcuni, portando un profondo rispetto a tutti loro. Sul fronte straniero poi abbiamo l’imbarazzo della scelta… siamo cresciuti negli 80 a pane e Simple Minds, Depeche Mode, Cure, Cult, poi nei 90 con Nirvana, Pearl Jam, fino ad arrivare a Radiohead, Nine Inch Nails, e più recentemente Editors, Killers, Interpol, Arcade Fire. Il bello è che tutti questi artisti rimandano a loro volta a dei “capostipiti” come Ktraftwerk per la parte elettronica, David Bowie per la parte più “glam” e Joy Division per le atmosfere dark più “tese”. E’ un flusso circolare che si arricchisce sempre con qualcosa di nuovo col passare del tempo e non si fermerà mai.

Nel vostro immaginario vi rifate ad un mondo parallelo, sotterraneo, come nascono le liriche dei vostri brani?
Nicola: Il termine Underworld presente nel nome della band o il concetto di “Mondo Parallelo” che traspare spontaneamente nei testi del nostro disco, sono temi astratti, ampi, onirici, ma allo stesso tempo hanno una semantica fortemente “terrena”, più che di fuga dalla realtà. Il “mondo altro” è forse  uno sprono a vivere con un approccio metafisico e metaforico nel mondo di ogni giorno. Un invito ad  interiorizzare la vita, a personalizzarla senza stereotipi a guardare oltre le cose tangibili, ad affrontarla consapevoli degli “assurdi”,  dei “controsensi”, dei “colpi di scena” a cui andiamo incontro, gli stessi che sono dentro di noi e che noi stessi possiamo generare. Realtà e realtà immaginifica possono coincidere, nel bene e nel male, sta a noi porci nel punto focale perché ciò avvenga. “Mondo Parallelo” è dunque una chiave di lettura del mondo reale, negativa o positiva dipende da noi. Potremmo definirlo un disco “di acqua” , l’acqua è l’elemento più presente nei brani (forse per influenze lagunari) . L’acqua può essere sogno e metafora della vita come il fiume che ci porta via, inesorabilmente verso “la fine” in “Distrazioni H2O”, ma poi (colpo di scena) torna indietro  verso la sorgente! L’acqua stessa è oggettivamente vita! Surreale e reale sono indivisibili, tutto è  possibile nel mondo di ogni giorno… nel “Mondo Parallelo”.

In che maniera siete supportati da Puglia Sounds? Sembra che in Puglia ci sia un’isola felice dove tanti progetti come il vostro vengono seguiti e in un certo senso avviati al mondo discografico.
Mimmo: Negli ultimi anni abbiamo sempre più apprezzato il modo in cui Puglia Sounds ha iniziato a realizzare contenitori dedicati alle arti che gravitano attorno alla musica (Medimex) oltre a creare opportunità per i musicisti stessi (Bandi Records, Live, etc), sempre in maniera molto radicata con il territorio in cui viviamo. Il nostro è stato uno tra gli oltre 300 progetti che hanno visto la luce quest’anno grazie all’intervento di Puglia Sounds ed è stato attivato attraverso un bando pubblico, con tanto di requisiti giustamente piuttosto stringenti, legati alla realizzazione e alla promozione del progetto musicale stesso. Produrre professionalmente un album con 8-10 canzoni non è una passeggiata, e richiede una coerenza artistica e concettuale che coinvolge diverse professionalità che vanno valorizzate alla stregua del miglior artigiano. E di queste eccellenze ne abbiamo tantissime in Puglia.

Non ho potuto fare a meno di notare tra i ringraziamenti nel booklet del disco un nome importante come quello di Jim Kerr (voce dei Simple Minds), raccontatemi un po’ di questo vostro importante “sponsor”, so che loro hanno molto apprezzato anche una cover che avete pubblicato tempo fa.
Nicola: Sia io che Mimmo, siamo sempre stati dei fans storici dei Simple Minds: la sperimentazione dei primi album, i suoni di synth e chitarra così osmoticamente miscelati, al punto che diventava difficile distinguerli, uniti alla voce e al carisma del cantante storico Jim Kerr e ad una sezione ritmica superlativa ci hanno sempre coinvolto molto. Non a caso le nostre “testimonianze” sono state pubblicate nel libro dei Simple Minds Heart of Crowd,”. Jim è una persona affabile e disponibile nei confronti di tutti i suoi fans. Questo  ha dato la possibilità ai Vampiri di inviargli la cover di un loro classico (ma non troppo) “Big Sleep”,  durante il primo lock down. Jim ha apprezzato molto il brano e lo ha pubblicato sulla pagina FB social dei Simple Minds plaudendo al coraggio avuto nel reinterpretare quel pezzo, stravolgendone la forma. Per noi UV è stata una soddisfazione indescrivibile, ci ha caricati molto, ci dato l’entusiasmo per portare in studio il nostro progetto. 

Ho avuto modo di apprezzarvi in un live streaming al Medimex, avremo modo di vedervi in giro dal Vivo per la promozione del disco? 
Nicola: Portare a casa quel primo  live di 20 minuti per noi è stato molto importante per acquisire consapevolezza e identità come live-band, in quanto era la prima volta che ci esibivamo tutti insieme suonando quei pezzi. Ma è stato soprattutto un grande divertimento tra amici! E’ nato tutto per gioco e per amicizia, la passione ed episodi inaspettati ci hanno indotti a continuare sino al release dell’album. Una cosa è certa: continueremo a divertirci, con la scrittura e la creazione di nuovi brani in studio. Confessiamo che il richiamo del “mondo altro” del live  è forte, soprattutto dopo questa prima entusiasmante esperienza Medimex. E i Vampiri sono sempre  attratti dai “i mondi paralleli”!

Andrea Chimenti – Tra il deserto la notte e il mare

Mai come in questi giorni difficili che stiamo vivendo necessitiamo di bellezza, cultura, musica per l’anima, parole che ci fanno riflettere, e puntuale quasi come per miracolo, ma non è affatto un caso, arriva il nuovo album di Andrea Chimenti. Nei negozi dal prossimo 5 novembre, “Il Deserto, la Notte, il Mare”. Un disco ispiratissimo, intimista, con un’ottima produzione musicale che segna un altro capolavoro nella ormai vasta discografia dell’artista che abbiamo raggiunto al telefono per capire a fondo il significato e il valore di questo gran lavoro.

Andrea, partiamo dal titolo, inizialmente doveva essere “KY”, successivamente cambiato in “Il deserto la Notte il Mare”, come mai questo cambio?
In effetti doveva essere “KY”, abbreviazione di “Kyrie”. Però qualcuno degli addetti ai lavori si è lamentato, anche Cristiano Roversi non era molto convinto della idea, forse perché sembrava un titolo molto criptico ed in effetti lo è, non alla “Chimenti”, un titolo poco comprensibile ed alla fine ho optato per “Il Deserto la Notte il Mare”, che tra l’altro è una frase tratta dal testo di “Bimbo”, un brano dell’album.

A proposito di “Bimbo”, è quasi una filastrocca o qualcosa di simile?
Ha una derivazione quasi da una ninna nanna, il testo parla di una mamma e un bambino che si trovano nel classico viaggio della speranza, che riflette anche i nostri tempi, che poi sono stati anche i nostri viaggi in tempi passati, i viaggi dei popoli che cercano una salvezza, una speranza, che cercano un futuro. Volevo qualcosa che fosse dolce al tempo stesso nella sua drammaticità.

Tornando al titolo dell’album quindi, perché hai estrapolato proprio questa frase da questa canzone?
Perché tutto in tutto l’album si parla del viaggio, anche in “Beatissimo” ad esempio. Ho cercato tre parole che potessero rappresentare il nostro tempo: il deserto, la notte e il mare sono tre parole e tre condizioni spirituali dell’anima che tutti prima o poi ci troviamo a dover attraversare o a fronteggiare. Il deserto è anche il deserto culturale che viviamo oggi, l’umanità vive di deserto, culturale e spirituale. La notte è una conseguenza di questo, la notte dello spirito, rappresenta il buio quando non si ha una luce per capire la nostra strada, quella da proseguire. Il mare invece rappresenta la distanza, ciò che dobbiamo affrontare, che spesso è burrascoso e ci separa dall’arrivo quindi dal luogo della speranza che è anche un luogo che ha a che fare con la psiche, con la profondità, spesso abbiamo timore a indagare dentro di noi, il mare rappresenta proprio questo. Al di là della simbologia di queste tre parole sono tre luoghi, tre spazi e condizioni che anche un’umanità reale si trova a dover affrontare oggi, popoli che trasmigrano, popoli che cercano in Europa la salvezza perché vengono dalla disperazione, devono realmente attraversare il deserto, la notte, buia anche da una condizione interiore ed il mare con un gommone. Alla fine il disco parla di questo, di un viaggio di popoli ma al tempo stesso di un viaggio anche nostro interiore, un viaggio dell’occidente.

Un disco quindi molto riflessivo, probabilmente quello di cui abbiamo bisogno in questo periodo. Parlavi di viaggi dei popoli, in qualche modo anche noi stiamo vivendo qualcosa di simile, no?
Esattamente, su condizioni e livelli differenti. Siamo tutti in viaggio, c’è un’umanità che in questo momento si sta trasformando che deve recuperare un serie di cose avendo anche smantellato tante certezze che in passato lo erano ed oggi vanno in qualche modo sostituite. L’umanità tutta è in un viaggio di sopravvivenza. Basti guardare come stiamo trattando il nostro pianeta che ci sta dando delle avvisaglie di non sopportare più la nostra presenza, per cui il nostro viaggio o torna a far parte della natura, invece di sentirci separati da questa, altrimenti rischiamo la fine dell’umanità, questo è un po’ il nostro deserto, la nostra notte, il nostro mare, di tutti quanti noi.

La scrittura dei pezzi è tutta tua?
La scrittura principale dell’album è mia, sì, fatta eccezione di due brani composti con Antonio Aiazzi e uno con Cristiano Roversi. Con quest’ultimo ci siamo occupati insieme dell’arrangiamento e della produzione dell’intero lavoro. Cristiano è stato un elemento cardine di questo disco.

Ci sono anche altri ospiti eccellenti nel disco.
Sì, ci sono alcune vecchie conoscenze come Ginevra di Marco, Francesco Magnelli, lo stesso Aiazzi, mentre David Jackson, è stata una rivelazione, perché io lo conoscevo sì, come fiatista dei Van Der Graaf Generator, ma tramite Cristiano c’è stato un contatto, il disco gli è piaciuto ed ha suonato in tre pezzi, anzi si è anche proposto di suonare dal vivo, speriamo quanto prima possibile. In più oltre al sax di Jackson c’è anche quello di Marco Remondini per il resto dell’album, e in “Beatissimo” il clarinetto di Roberta Visentini.

Un lavoro molto curato che ha visto però un ritardo nella pubblicazione, era pronto da un bel po’, vero?
Sì, il disco ha un po’ riposato, è stato scritto mentre lavoravo a “Nulla è andato perso” (album del 2017) con Gianni Maroccolo. Sono passati un po’ di anni da allora. Con Aiazzi è nata la collaborazione ai due brani che citavo prima da cui probabilmente è partito tutto e alla fine mi sono ritrovato questi brani che erano pronti per poter pubblicare un album intero ed ero persino contento perché io generalmente pubblico un disco ogni cinque anni, invece stavolta dopo “Yuri” (album del 2015) mi son ritrovato a poter uscire dopo un paio di anni. Ovviamente qualcosa doveva succedere a bloccare il tutto. Ho perso molto tempo dietro a un’etichetta discografica interessata al lavoro che mi ha fatto perdere tanto tempo, facendomi andare da Verona presso la loro sede diverse volte per diverse riunioni, facendomi fare anche figuracce con diversi musicisti, c’era un progetto in ballo con Teho Teardo per esempio, mi ero affidato a loro con tutta la fiducia possibile poi è saltato tutto, un disastro. Così successivamente mi son trovato senza etichetta. Così è fatto avanti Cristiano Roversi, un po’ per caso, perché ci eravamo sentiti per un’altra cosa in verità, ed è nata questa ottima collaborazione. Poi a bloccare ulteriormente il tutto c’è stata la pandemia come tutti sappiamo, però un altro caso fortuito ha voluto che venissi in contatto con David Bonato della Vrec Music Label, per una collaborazione con una band PopForZombie, per un brano dal titolo “Canzone inutile”. Una band che trovo molto brava, suonano del pop intelligente con dei bei testi, e da lì è nata la collaborazione con David e finalmente il disco esce con la loro etichetta.

Tanta attesa ma questo periodo per te è pieno di soddisfazioni, un album in uscita, la ristampa per la prima volta in vinile de “L’albero pazzo” (album del 1996) e non ultimo un premio alla carriera importantissimo ricevuto circa un mese fa al MEI 2021 (Meeting delle Etichette Indipendenti di Faenza).
Sì, per quanto riguarda “L’albero pazzo” è stato ristampato dalla Soffici Dischi, ed è vendibile solo sul mio sito ufficiale e successivamente lo porterò con me anche ai concerti. Per quanto riguarda il premio MEI, mi è arrivata la comunicazione da Faenza che volevano darmi questo premio e la cosa devo dire che mi ha inorgoglito molto. Soprattutto se analizziamo il fatto che io vengo da una scena musicale underground con tutte le difficoltà del caso. Per l’occasione c’è stato anche modo di presentare qualche brano al Teatro Masini a Faenza.

Premio meritatissimo che arriva a un mese dall’uscita di questo favoloso album, da cui saranno estratti in totale ben tre singoli: “Beatissimo”, “Milioni” e “In eterno” che si troveranno su tutte le piattaforme digitali, ma attenzione, chi vorrà ascoltare il disco per intero lo potrà fare solo acquistando il vinile o il formato CD, dando quindi un valore aggiunto al supporto fisico. Il formato LP conterrà anche il codice per poter scaricare i brani in digitale. Disco consigliato da Wanted Record, Bari. (La foto dell’artista è di Antonio De Sarno).

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 3 NOVEMBRE 2021

Viadellironia – Realtà parallele

A due anni dal promettente EP d’esordio arriva il primo album di Viadellironia, quartetto rock di ragazze dalle idee chiare e dai testi eleganti. “Le Radici sul Soffitto” (Hukapan, 2020 \ Fleisch Agency) vanta anche la partecipazione di Cesareo (produzione e chitarra) e Mangoni (prezioso inserto) degli EELST, nonché un duetto alla voce con Edda nel primo singolo estratto dal disco. Ecco la nostra intervista.

Il nome del gruppo rappresenta un luogo immaginario ed il titolo del vostro primo album ne esalta la dimensione fantastica, facendo crescere delle radici sottosopra. Quando è nata in voi questa voglia di creare realtà parallele?
Maria: Ci sono delle immagini che spostano il significato ordinario delle cose, o il loro collocamento nel tempo o nello spazio. E così creano delle allegorie. Le radici sul soffitto, ad esempio, rappresentano un’inversione spaziale, che sottintende anche il senso del tempo. L’arte a cui sono più affezionata è quella che utilizza questi scarti. Spesso si colora di un contenuto politico. Succede da sempre, uno dei casi più straordinari è quello di Galileo che, con un linguaggio non artistico, ma scientifico, ha suggerito che la realtà non fosse ordinata come voleva il potere dominante. Uno dei testi a cui sono più legata, per questi motivi, è la Vita di Galileo di Brecht. È una lezione di ribaltamento artistico.

Ho letto che i gusti musicali di ogni componente della band sono a volte molto diversi fra loro. Come riuscite ad armonizzare così tante sfaccettature sonore?
Maria: Il fatto di avere una consapevolezza del modo in cui ci piace suonare crea una grande unità. Intendo che ciascuna di noi riconosce con facilità quale impatto possa dare una propria scelta musicale all’insieme, è un contributo che si innesta in modo naturale. Forse dipende dal fatto che suoniamo da tempo insieme, e che sia diventato scorrevole avere un amalgama istintivo ed empatico.
Greta: Ci piace molto il fatto di giocare con le sonorità personali e di trovare il modo di farle coesistere nel sound finale. Il nostro amore per il “puttan pop” è sicuramente uno dei nostri punti in comune e probabilmente il meno intuibile da come suonano poi i pezzi, ma di certo presente nello spirito.
Laura: D’altra parte ci sono molti artisti che apprezziamo all’unanimità, e anche certe sonorità e certi timbri. Le cose che ci accomunano sono quelle a cui ci riferiamo maggiormente e consapevolmente. I gusti più personali, invece, influiscono nella genealogia del nostro modo di suonare.
Giada: Come dicono le ragazze, ci legano molti artisti. Suoniamo insieme da più di quattro anni e tra prove, discussioni e improvvisazioni abbiamo imparato a far convergere le nostre idee. La nostra musica è una sorta di ibrido: mescola stili, periodi musicali lontani, ma sempre compatibili con i gusti di tutte e quattro.

Tra il primo EP “Blu Moderno” e questo album sono trascorsi due anni. Se nel primo lavoro il trait d’union fra le canzoni è principalmente il timbro vocale di Maria, “Le Radici sul Soffitto” si distingue anche per una maggiore uniformità musicale. Qual è stato l’apporto di Cesareo nella costruzione del sound che cercavate?
Maria: Sono contenta che tu abbia notato questa differenza! Davide ha avuto molta cura degli equilibri interni alla musica, ma anche del rapporto che questa intesse con la voce. Non mi ha mai detto di modificare alcunché dei testi, ma ci ha aiutate a creare dei ponti tra questi e la musica. Non risulta scollata, e nemmeno ancillare.

Prestando attenzione ai vostri testi graffianti, non stupisce la collaborazione con Edda, che di liriche sardoniche ne ha scritte tante e molto belle. Che emozioni vi ha trasmesso al primo ascolto la sua interpretazione della vostra canzone “Ho la febbre”?
Maria: È stato fantastico. Ci ha colpite la naturalezza con cui ha acquisito quel testo. Nel momento in cui lo ha letto, lo ha subito restituito con un livello di autorialità e di espressività pazzesco.

Mi piace quando nel processo creativo un musicista coinvolge i propri amici, soprattutto se talentuosi come il vostro concittadino noto con lo pseudonimo di Dorothy Bahwl, che ha realizzato l’enigmatica copertina per “Le Radici sul Soffitto”. Avete ideato insieme questa immagine oppure è un’ispirazione tutta dell’artista?
Maria: Abbiamo fatto un solo incontro per parlare del concept del disco. Abbiamo spiegato a Dorothy che cosa intendessimo con questa immagine delle radici sul soffitto, aggiungendo altri elementi a quello, più esplicito, della sepoltura. Ha capito subito quale fosse il nostro immaginario e l’ha tradotto perfettamente. Ha fatto tutto Dorothy! Ci piace davvero tanto la nostra cover, lo ringraziamo di cuore.

Un argomento presente nelle canzoni, così come sulla copertina dell’album, è il dualismo tra fioritura ed appassimento, che sia fisico, spirituale o relazionale. L’immersione in queste tematiche vi ha aiutato ad affrontare il periodo attuale di stravolgimento del mondo come lo conoscevamo?
Maria: Il disco era pronto per l’uscita prima che entrassimo in questo periodo terrificante, ma le assonanze di mood che i brani (e l’artwork di Dorothy) istituiscono con il 2020 sono tante. È un disco che parla della volontà di uscire dalla stasi, del fallimento che ne consegue (“come poi ci resto male quando affondo”). È un disco ossessionato da una nostalgia retrospettiva – da cui l’immagine di noi stese a osservare, catatoniche, le radici. Ci ha aiutate nella misura in cui, nel congelamento di questo 2020, abbiamo vissuto la grande felicità di far uscire il nostro primo disco che, neanche a farlo apposta, sembra una didascalia del periodo. Penso che si dispieghino tematiche valide, però, per qualsiasi fase. Facile parlare del bronzo nell’età del bronzo! È più interessante parlare del fallimento nell’età dell’oro, sicuramente. Non vedo l’ora arrivi l’età dell’oro per continuare a parlare della tristezza.
Greta: Come dice Maria, il disco era pronto molto prima di questo periodo orribile. Ma il fatto che le tematiche presenti ci si rispecchino così tanto è stato quasi un sollievo: oltre all’avere qualcosa da fare (cosa non da poco) mi ha consentito di esorcizzare un po’ le difficoltà di queste lunghe giornate.
Laura: Personalmente, per quanto i testi guardino alla morte, la chiave di lettura che più mi appartiene è quella della fioritura, della rigenerazione, e dell’esorcizzazione del campo semantico della morte. Come se il disco fosse un rito stagionale antico, che disinnesca l’inverno. Quindi sì, ti direi che questo disco mi ha aiutata.

Ho notato con piacere riferimenti rococò nei testi e negli arrangiamenti del nuovo album, ma anche nella scenografia del video per la canzone “Blu Moderno”. Da dove proviene questa passione per la Francia del Settecento?
Laura: Dal delizioso salottino della nonna Neris! Non è una scenografia, è proprio il salotto che ho ereditato da mia nonna. Ma io e Maria (viviamo insieme) lo usiamo solo  per tenerci la cacciagione e gli arazzi. Volpi e madonne.
Giada: Per coniugare l’ammirazione per Bach e il fascino verso il mondo settecentesco abbiamo deciso di utilizzare quella location come scenografia di uno dei nostri pezzi più antichi.

Non vi ho ancora visto in concerto di persona, però già dallo schermo del pc si percepisce come sapete stare bene su un palco. Perché non avete posticipato l’uscita del disco, in modo da poterlo promuovere anche dal vivo?
Maria: Sai, era lì pronto da tempo, anche lui congelato. Non avrebbe avuto senso attendere oltre, sarebbe stato in qualche modo artificioso. Siamo contente sia uscito a novembre ma, come dici, non nego sia frustrante non poterlo promuovere dal vivo. Per ora, ovviamente; se non si è capito siamo un concentrato di ottimismo e speriamo nello scongelamento estivo.
Greta: Scalpitavamo perché uscisse. Poterlo finalmente vedere stampato e ricevere i primi feedback è stato bellissimo. Feedback sicuramente meno potenti di quelli che può dare la promozione live, dal punto di vista del calore umano e soprattutto del sudore! Ma è comunque stato vitale, sempre in relazione alla pesantezza e alla staticità di questo periodo, vedere il disco esistere davvero, e progettare in vista di tempi meno bui di poterlo finalmente suonare davanti ad un pubblico.

Qualcosa di nuovo bolle già in pentola?
Greta: Sì, stiamo cominciando a pensare a cose nuove. Così il nostro primo tour promuoverà almeno due dischi! (scherzo). Farebbe sicuramente ridere passare da 45 minuti di concerto a 2 ore e mezza.
Giada: Abbiamo in cantiere qualche pezzo nuovo, ma la situazione attuale, che tutti conosciamo, non ci consente di vederci per provare. Anche noi come tanti lavoriamo comodamente da casa, ma per una band risulta molto difficile.

Timoria – Sul treno magico di Omar

Partiti con l’intenzione di vederci solo un bel concerto, grazie ad alcune fortunate coincidenze, siamo riusciti a fare una bella chiacchierata con Omar Pedrini, deus ex machina dei Timoria. Questa volta è stato tutto perfetto, infatti Omar ci ha voluto ricevere nell’albergo dove il gruppo alloggiava chiedendo espressamente ai suoi collaboratori di far passare solo noi e nessun altro, rimandando indietro qualsiasi giornalista! Grandioso! Così, prima del live, il mio collega Roberto ed io ci siamo armati fino ai denti per affrontare questa nuova intervista, l’ultima forse di questa estate così fruttuosa. Arrivato Omar siamo subito partiti a raffica con le domande:

Paolo: Il gruppo degli anni 70 che maggiormente ti ha influenzato?
Omar: Sicuramente a livello internazionale sono due: Pink Floyd e The Who; poi in Italia la PFM e tutte le band del prog minore partendo dai Dick Dick, che erano allora ancor post-beat, arrivando al Banco Del Mutuo Soccorso passando per i Trip a Il Rovescio della Medaglia e soprattutto gli Area.

P: Cosa pensi del panorama della musica italiana, soprattutto dei gruppi che cominciano cantando in italiano?
O: Mah, diciamo che oggi non mi dispiace. Quando abbiamo cominciato tutti cantavano in inglese, per noi è stato giusto dare un significato italiano alla nostra musica, sottolineare il nostro orgoglio di essere italiani. Infatti, il nostro simbolo era la bandiera italiana fatta a cerchio come quella degli Who dall’aviazione inglese. Se dovessi cominciare nuovamente oggi, ammetto che fare italiano o in inglese sarebbe la stessa cosa. Poi io dentro di me ho l’anima del cantautore, quindi ci tengo che i miei testi vengano compresi a fondo. Dieci anni fa l’inglese non lo capiva nessuno, ora invece lo si impara alle elementari, mio figlio lo studia in seconda. Quindi penso che i tempi siano maturi anche per cantare in inglese, non farei più la distinzione che sentivo fortemente tempo fa. Poi è chiaro che se uno ha un forte istinto poetico, come me, sente la necessità di cantare in italiano. Se avessi una band dove mi interessa solo la musica, il feeling o il sound, canterei inglese; se invece dovessi fare cose mie cantautorali canterei in Italiano. Poi l’italiano è una lingua così generosa nella poesia e nella letteratura e rispetto all’inglese ti dà il 200% per la ricchezza di vocaboli, verbi, congiunzioni, non a caso deriva dal latino e dal greco. Timoria è una parola greca. Le radici sono le cose a cui tengo maggiormente.

P: A distanza di anni dal vostro debutto con San Remo come è stato il vostro ritorno?
O: Oh, il primo anno è stata una follia e anche una provocazione perché siamo stati il primo gruppo underground che è andato lì. Fu uno scandalo “I Timoria a San Remo hanno tradito il movimento!”, e noi invece abbiamo detto che sino a quando nessuno va là il rock italiano rimarrà un mondo di poveri, un ghetto! Noi andiamo lì e sentite la canzone che portiamo! Partecipammo con un brano tra i più difficili del nostro repertorio “L’Uomo Che Ride”, quindi poi tutti quanti ci hanno detto bravi, avete fatto bene e si è cominciato a parlare di noi, dei Litfiba, dei Diaframma, dei De Novo; i CCCP, che erano più vecchi di noi, che eravamo ragazzini. Abbiamo avuto la fortuna di fare il nostro primo album a 18 anni però anagraficamente come band siamo tra i più vecchi. Quest’anno invece a San Remo ci siamo andati in maniera calcolata più che altro non per la musica ma per far parlare di questo film, “Un Aldo Qualunque”, fatto con pochi soldi e molta energia e adesso c’è attesa, perché uscirà ad Ottobre, credo che lo debbano anche a noi.

P: Per quanto riguarda il futuro, come mai non avete ancora pubblicato un album live?
O: Vogliamo farlo quest’anno! Stiamo registrando tutto il tour e penso che uscirà a febbraio 2003. Il primo dopo 12 anni di storia!

P: Adesso, dopo un periodo di solisti, si sta assistendo a un ritorno in auge delle band Italiane: Afterhours, Timoria, Subsonica, Bluvertigo, Marlene Kuntz ecc. E’ un fenomeno che potrà durare o...
O: Per fortuna! Mah, guarda secondo me non c’è volontà nei media di far durare questo movimento! Ogni anno vedo arrivare i soliti gruppi dell’estate che scompaiono inesorabilmente. I Timoria durano perché credo che ci sia una grande volontà e serietà di fondo per quanto riguarda il nostro modo di lavorare. Investiamo molto su noi stessi. La colpa di tutto questo è dei giornalisti e delle case discografiche che sono abituate a lavorare sui singoli cantanti perché sono più facili da sfruttare. La band invece va curata, fatta crescere. Sai ogni volta che il gruppo si muove si è sempre in cinque o in otto, quindi viaggio, cena per almeno cinque, mentre con il cantante si spende solo un quinto. Poi una bella voce in Italia è più importante di un bel sound, mentre all’estero è il contrario. I giornalisti invece non hanno il coraggio di dedicare una bella copertina, ad esempio, ai Subsonica, ai Timoria, ai Bluvertigo (pace all’anima loro) a gruppi che hanno lavorato seriamente contribuendo notevolmente alla musica italiana. E invece la danno ancora a Britti, a Ligabue (che non se ne può più) a Jovanotti e a tutta sta gente. Invece il giornalista dovrebbe avere il potere di dire “non me ne frega dei tuoi 100 milioni e dedicare una bella copertina ai Subsonica perché fanno ogni volta 6000 persone ad ogni concerto ed hanno vinto due dischi d’oro, com’è successo ai Timoria, com’è successo a tutti i gruppi che hai citato tu. Io invito i nostri fans a scrivere lettere di protesta a MUSICA! Di Repubblica, al Corriere della Sera, alle riviste del settore che mettono sempre quei cazzi di gruppi inglesi o americani o comunque stranieri in copertina! C’è una realtà forte che fanno finta di non vedere e cosa aspettano che abbiamo quarant’anni per far parlare di noi che tra un po’ andiamo in pensione. Fortuna che c’è MTV o Radio DEEJAY che ogni tanto ti passa qualcuno di diverso, che poi anche loro ti trasmettono Ligabue venti volte al giorno ma bene o male MTV fa vedere un po’ tutti. Ma al telegiornale non sentirai mai parlare dei Subsonica o dei Timoria.

P:…o del Tora Tora!
O: Esatto che è una bellissima iniziativa!

P: E’ strano perché poi tutti questi gruppi non vanno mai in classifica ma i loro concerti sono seguitissimi...
O: Vero! Comunque vendono buone cifre, perché siamo tutti noi Afterhours, Subsonica. Non si può far finta di niente sarebbero quasi da denunciare. Mi parlano di altri che tutto sommato non è che vendano più di noi. Poi ci sono i fenomeni come Jovanotti e Ligabue che ormai hanno tutto in mano, è questione di denaro e di dollaroni sganciati.

Roberto: Mah, quando ho intervistato Manuel Agnelli, quest’ultimo ha accennato che sino a quando ci sarà nel mercato troppa musica di scarsa qualità non si considererà mai, come si dovrebbe, quella di valore…
O: Credo che Manuel sia stato un po’ drastico, lui secondo me vuole anche provocare. Però nel mondo del rock italiano ci sono almeno una decina di gruppi artisticamente importanti, almeno otto gruppi di qualità internazionale, seguiamo quelli. Certo, poi ogni anno le case discografiche fanno uscire quelle band di merda con le loro belle faccine che durano una stagione. Il suo Tora Tora!, di cui ha parlato prima, ospita almeno venti gruppi e sono tutti di qualità, io sono andato a vederli e posso confermarlo. Ha fatto un’ottima selezione Manuel. E’ chiaro i gruppi si possono sforzare sempre di più, ho visto i dischi di C.S.I. bellissimi che hanno venduto 10.000 e le copertine non le hanno avute, le radio non lo hanno mandato, allora dov’è la verità? “El Top Grand Hotel”, del quale un giornalista francese ha scritto che stato uno tra i più bei dischi europei del 2001 e che in Italia ha venduto 50.000 copie, ha preso il disco d’oro ma secondo me avrebbe dovuto vendere 300.000 copie se Ligabue ne vende 500.000, lo sforzo lo abbiamo fatto: c’è Ferlinghetti, che è l’ultimo poeta della Beat Generation. Il disco degli Afterhours ha venduto 30-40.000 copie, e non è un bel disco? Il problema è creare il mercato, poi la gente li compri questi dischi. Invece chi acquista non è il pubblico rock ma quello delle ragazzine! Questa è la verità. Le ragazzine non sanno cos’è il clandestino e dicono al loro papà di andarlo a comprare. Perché il pubblico rock spesso non ha i soldi: il rockettaro è difficile che stia bene economicamente, c’è da dire anche questo, non compra e così facciamo la fame. Noi durante i tour facciamo il pieno, 200.000 persone, Manuel fa il pieno e i Subsonica fanno quello che io e Manuel Agnelli facciamo durante i nostri concerti. E allora dove sono i dischi dei ragazzi che vengono a cantare le nostre canzoni?

P: Infine una domanda culinaria, cosa ne pensi della cucina pugliese…
O: Oh io la Puglia ce l’ho nel cuore, qui vicino a Locorotondo abbiamo tenuto il nostro primo concerto fuori dalla Lombardia. Gli amici mi hanno dedicato un trullo a Locorotondo, che il mio posto del cuore. Quindi conosco tutto quello che concerne la cucina, dei vostri rossi, alle cime di rapa, ai formaggi. Oggi ci sono anche i ragazzi di Locorotondo, la nostra amicizia antica!

Paolo Ormas (in collaborazione con Roberto Pellegrini)

Intervista originariamente pubblicata nel 2002 dalla fanzine cartacea The Vox nel numero di Settembre.