Mai come in questi giorni difficili che stiamo vivendo necessitiamo di bellezza, cultura, musica per l’anima, parole che ci fanno riflettere, e puntuale quasi come per miracolo, ma non è affatto un caso, arriva il nuovo album di Andrea Chimenti. Nei negozi dal prossimo 5 novembre, “Il Deserto, la Notte, il Mare”. Un disco ispiratissimo, intimista, con un’ottima produzione musicale che segna un altro capolavoro nella ormai vasta discografia dell’artista che abbiamo raggiunto al telefono per capire a fondo il significato e il valore di questo gran lavoro.
Andrea, partiamo dal titolo, inizialmente doveva essere “KY”, successivamente cambiato in “Il deserto la Notte il Mare”, come mai questo cambio?
In effetti doveva essere “KY”, abbreviazione di “Kyrie”. Però qualcuno degli addetti ai lavori si è lamentato, anche Cristiano Roversi non era molto convinto della idea, forse perché sembrava un titolo molto criptico ed in effetti lo è, non alla “Chimenti”, un titolo poco comprensibile ed alla fine ho optato per “Il Deserto la Notte il Mare”, che tra l’altro è una frase tratta dal testo di “Bimbo”, un brano dell’album.
A proposito di “Bimbo”, è quasi una filastrocca o qualcosa di simile?
Ha una derivazione quasi da una ninna nanna, il testo parla di una mamma e un bambino che si trovano nel classico viaggio della speranza, che riflette anche i nostri tempi, che poi sono stati anche i nostri viaggi in tempi passati, i viaggi dei popoli che cercano una salvezza, una speranza, che cercano un futuro. Volevo qualcosa che fosse dolce al tempo stesso nella sua drammaticità.
Tornando al titolo dell’album quindi, perché hai estrapolato proprio questa frase da questa canzone?
Perché tutto in tutto l’album si parla del viaggio, anche in “Beatissimo” ad esempio. Ho cercato tre parole che potessero rappresentare il nostro tempo: il deserto, la notte e il mare sono tre parole e tre condizioni spirituali dell’anima che tutti prima o poi ci troviamo a dover attraversare o a fronteggiare. Il deserto è anche il deserto culturale che viviamo oggi, l’umanità vive di deserto, culturale e spirituale. La notte è una conseguenza di questo, la notte dello spirito, rappresenta il buio quando non si ha una luce per capire la nostra strada, quella da proseguire. Il mare invece rappresenta la distanza, ciò che dobbiamo affrontare, che spesso è burrascoso e ci separa dall’arrivo quindi dal luogo della speranza che è anche un luogo che ha a che fare con la psiche, con la profondità, spesso abbiamo timore a indagare dentro di noi, il mare rappresenta proprio questo. Al di là della simbologia di queste tre parole sono tre luoghi, tre spazi e condizioni che anche un’umanità reale si trova a dover affrontare oggi, popoli che trasmigrano, popoli che cercano in Europa la salvezza perché vengono dalla disperazione, devono realmente attraversare il deserto, la notte, buia anche da una condizione interiore ed il mare con un gommone. Alla fine il disco parla di questo, di un viaggio di popoli ma al tempo stesso di un viaggio anche nostro interiore, un viaggio dell’occidente.
Un disco quindi molto riflessivo, probabilmente quello di cui abbiamo bisogno in questo periodo. Parlavi di viaggi dei popoli, in qualche modo anche noi stiamo vivendo qualcosa di simile, no?
Esattamente, su condizioni e livelli differenti. Siamo tutti in viaggio, c’è un’umanità che in questo momento si sta trasformando che deve recuperare un serie di cose avendo anche smantellato tante certezze che in passato lo erano ed oggi vanno in qualche modo sostituite. L’umanità tutta è in un viaggio di sopravvivenza. Basti guardare come stiamo trattando il nostro pianeta che ci sta dando delle avvisaglie di non sopportare più la nostra presenza, per cui il nostro viaggio o torna a far parte della natura, invece di sentirci separati da questa, altrimenti rischiamo la fine dell’umanità, questo è un po’ il nostro deserto, la nostra notte, il nostro mare, di tutti quanti noi.
La scrittura dei pezzi è tutta tua?
La scrittura principale dell’album è mia, sì, fatta eccezione di due brani composti con Antonio Aiazzi e uno con Cristiano Roversi. Con quest’ultimo ci siamo occupati insieme dell’arrangiamento e della produzione dell’intero lavoro. Cristiano è stato un elemento cardine di questo disco.
Ci sono anche altri ospiti eccellenti nel disco.
Sì, ci sono alcune vecchie conoscenze come Ginevra di Marco, Francesco Magnelli, lo stesso Aiazzi, mentre David Jackson, è stata una rivelazione, perché io lo conoscevo sì, come fiatista dei Van Der Graaf Generator, ma tramite Cristiano c’è stato un contatto, il disco gli è piaciuto ed ha suonato in tre pezzi, anzi si è anche proposto di suonare dal vivo, speriamo quanto prima possibile. In più oltre al sax di Jackson c’è anche quello di Marco Remondini per il resto dell’album, e in “Beatissimo” il clarinetto di Roberta Visentini.
Un lavoro molto curato che ha visto però un ritardo nella pubblicazione, era pronto da un bel po’, vero?
Sì, il disco ha un po’ riposato, è stato scritto mentre lavoravo a “Nulla è andato perso” (album del 2017) con Gianni Maroccolo. Sono passati un po’ di anni da allora. Con Aiazzi è nata la collaborazione ai due brani che citavo prima da cui probabilmente è partito tutto e alla fine mi sono ritrovato questi brani che erano pronti per poter pubblicare un album intero ed ero persino contento perché io generalmente pubblico un disco ogni cinque anni, invece stavolta dopo “Yuri” (album del 2015) mi son ritrovato a poter uscire dopo un paio di anni. Ovviamente qualcosa doveva succedere a bloccare il tutto. Ho perso molto tempo dietro a un’etichetta discografica interessata al lavoro che mi ha fatto perdere tanto tempo, facendomi andare da Verona presso la loro sede diverse volte per diverse riunioni, facendomi fare anche figuracce con diversi musicisti, c’era un progetto in ballo con Teho Teardo per esempio, mi ero affidato a loro con tutta la fiducia possibile poi è saltato tutto, un disastro. Così successivamente mi son trovato senza etichetta. Così è fatto avanti Cristiano Roversi, un po’ per caso, perché ci eravamo sentiti per un’altra cosa in verità, ed è nata questa ottima collaborazione. Poi a bloccare ulteriormente il tutto c’è stata la pandemia come tutti sappiamo, però un altro caso fortuito ha voluto che venissi in contatto con David Bonato della Vrec Music Label, per una collaborazione con una band PopForZombie, per un brano dal titolo “Canzone inutile”. Una band che trovo molto brava, suonano del pop intelligente con dei bei testi, e da lì è nata la collaborazione con David e finalmente il disco esce con la loro etichetta.
Tanta attesa ma questo periodo per te è pieno di soddisfazioni, un album in uscita, la ristampa per la prima volta in vinile de “L’albero pazzo” (album del 1996) e non ultimo un premio alla carriera importantissimo ricevuto circa un mese fa al MEI 2021 (Meeting delle Etichette Indipendenti di Faenza).
Sì, per quanto riguarda “L’albero pazzo” è stato ristampato dalla Soffici Dischi, ed è vendibile solo sul mio sito ufficiale e successivamente lo porterò con me anche ai concerti. Per quanto riguarda il premio MEI, mi è arrivata la comunicazione da Faenza che volevano darmi questo premio e la cosa devo dire che mi ha inorgoglito molto. Soprattutto se analizziamo il fatto che io vengo da una scena musicale underground con tutte le difficoltà del caso. Per l’occasione c’è stato anche modo di presentare qualche brano al Teatro Masini a Faenza.

Premio meritatissimo che arriva a un mese dall’uscita di questo favoloso album, da cui saranno estratti in totale ben tre singoli: “Beatissimo”, “Milioni” e “In eterno” che si troveranno su tutte le piattaforme digitali, ma attenzione, chi vorrà ascoltare il disco per intero lo potrà fare solo acquistando il vinile o il formato CD, dando quindi un valore aggiunto al supporto fisico. Il formato LP conterrà anche il codice per poter scaricare i brani in digitale. Disco consigliato da Wanted Record, Bari. (La foto dell’artista è di Antonio De Sarno).
INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 3 NOVEMBRE 2021