Ufomammut – L’urlo della fenice

Loro nel 2020 ce l’avevano detto che si trattava di un arrivederci e non di un addio. All’indomani dell’abbandono dello storico batterista Vita, gli Ufomammut si sono presi una lunga pausa, un silenzio interrotto finalmente con il nuovo album “Fenice” (Neurot Recordings / All Noir) , il primo con Levre dietro le pelli…

Benvenuti ragazzi, nel gennaio del 2020 diffondevate un comunicato stampa nel quale annunciavate una pausa a tempo indeterminato all’indomani della fuoruscita dalla band di Vita. Quando avete capito che era il momento giusto per riprendere l’attività del gruppo?
Urlo: Poia ed io non abbiamo mai pensato di smettere. Avevamo bisogno di prenderci una pausa, di pensare, di capire i nostri errori e di ripartire dagli sbagli fatti. Anche Ciccio, il nostro sound guy non ha mai pensato per un attimo di chiudere con questa avventura. E Levre, amico e parte della famiglia da tanti anni, è stata la scelta ovvia per noi per continuare questo percorso.
Poia: fermarsi è stato inevitabile. E subito dopo è arrivata la pandemia. Ma la brace covava sotto la cenere…

Al momento della ripresa, è stato difficile togliersi di dosso la ruggine dovuta all’inattività?
Urlo: Un pochino. Ma ci è voluto poco per essere pronti e lucidati a nuovo!
Poia: difficile non direi. La memoria corporea aiuta, basta avere pazienza. Come andare in bicicletta, o nuotare… magari il fiato non c’è ancora ma i movimenti sono sempre quelli.

Da Vita a Levre, come è cambiato il vostro modo di lavorare in studio?
Urlo: L’approccio e la voglia di fare. Siamo tutti molto più focalizzati su quello che vogliamo dalla band.
Poia: Levre ha un background musicale differente rispetto a Vita. Abbiamo iniziato a suonare insieme qualche anno prima, in un progetto parallelo ad Ufomammut che non si è mai concretizzato, ma da subito abbiamo riscontrato una particolare alchimia. Chiedergli di continuare con noi il viaggio dì Ufomammut è stato perciò naturale. Il suo contributo alla composizione ha sicuramente modificato anche il nostro modo di lavorare.

“Fenice” è il titolo emblematico del vostro nuovo album. Siete rinati dalle vostre ceneri,  ma in questa nuova fase vi siete portarti dietro dei brani scritti prima della pausa oppure i pezzi finiti nella tracklist sono nati tutti dopo?
Urlo: “Fenice” è nato dall’arpeggio di chitarra e basso di “Metamorphoenix”. Poco alla volta si è espanso diventando un brano di 38 minuti: l’idea iniziale era quella di creare un brano per un EP, poi ci siamo lasciati prendere la mano… Avevamo un progetto con Levre da qualche anno, suonavamo già assieme e alcuni dei brani che avevamo scritto sono stati tenuti e ripresi, ma non per “Fenice”.

Il sound di “Fenice”,  almeno per me, “suona” di nuovo inizio o, meglio, di un ritorno ai vostri inizi. Forse una certa complessità e certe sovrastrutture presenti nei vostri ultimi dischi sono state messe da parte per un approccio più vicino a quello delle vostre origini. E’ una mia impressione o le cose stanno più o meno così?
Urlo: “Fenice” è tecnicamente più complicato dei dischi precedenti, ma molto più “psichedelico” e vicino alle nostre origini. Abbiamo voluto fare un disco senza porci generi, limiti, semplicemente suonare quello che sentivamo in quel momento della nostra vita. Il suono, il modo in cui è uscito “Fenice”, sono sicuramente nuovi e una rinascita dopo un periodo molto buio.
Poia: Non saprei se musicalmente sia un ritorno alle origini. Abbiamo però la consapevolezza di aver intrapreso una nuova esplorazione musicale, e questo ci riporta sicuramente a quelle sensazioni sperimentate più di vent’anni fa.

Forse meno di altri avete pagato lo scotto della pandemia, dato che nel vostro caso l’interruzione dell’attività live è stata più il frutto di una scelta personale che di un’imposizione dovuta alle circostanze nefaste che abbiamo vissuto nell’ultimo biennio. Se non erro da qualche giorno, però, siete tornati attivi anche con i concerti: dal vostro punto di vista privilegiato, là su un palco, avete riscontrato delle differenze sostanziali tra il prima e il dopo pandemia?
Urlo: Il desiderio di suonare è sicuramente più forte, iniziare una nuova avventura porta con sé emozioni diverse dal passato. Salire nuovamente su un palco è stato meraviglioso, vedere i sorrisi delle persone, le teste scuotersi, l’abbraccio del pubblico è stato bellissimo. Eppure è stato quasi come se due anni e mezzo fossero volati e avessero solo dato un grande e nuovo vigore al mio amore per la musica.
Poia: Ho notato da parte di tutti un desiderio bulimico di musica suonata, un’euforia condivisa da pubblico e musicisti. Siamo in tour in Europa (al momento in direzione Desert Fest Berlino) e ovunque ci sono band che suonano, tutti i giorni, e più show contemporaneamente nelle stesse città.

Nel 2008, in occasione della pubblicazione di “Idolum”, vi chiesi se ritenete gli Ufomammut più una band da studio o da palco, voi mi rispondeste così: “Entrambe le cose anche se ognuno di noi la pensa in modo differente. Per Vita il palco è quello che ci da maggior possibilità di trasformare la musica in un branco di mammut impazziti, mentre per Poia ed Urlo la parte più interessante dell’essere Ufomammut è la possibilità di sperimentare e creare in studio. Sono due esperienze distinte. La differenza principale è che in studio siamo anche spettatori.” Le cose sono cambiate o la pensate ancora così?
Urlo: la penso ancora così, anche se suonare live è un modo per capire se quello che hai creato abbia un valore emotivo oppure no. Vedere le persone apprezzare ciò che fai è sempre emozionante.
Poia: Ho capito col tempo che i due aspetti sono inscindibili e complementari. “Fenice” suonato dal vivo si sta evolvendo. Ciò che abbiamo creato in studio con grande dedizione e soddisfazione, acquisisce una consapevolezza e cambia grazie allo scambio con il pubblico. Ufomammut è in equilibrio tra creazione e performance: semplificando, tra Ufo e Mammut!

Nel 2019 avete pubblicato il cofanetto celebrativo “XX” , cosa avete pensato quando avete visto per la prima volta tutta la vostra storia discografica racchiusa in un singolo box?
Urlo: Che ero vecchio…
Poia: Haha! Esattamente! A ripensarci, stavamo già archiviando una parte della nostra esistenza come band.

“XX” è il sigillo sul vostro passato, “Fenice” è il vostro presente, invece il vostro futuro oggi come lo immaginate?
Urlo: Non saprei, nessuno di noi è in grado di leggere il futuro. Sicuramente spero che questa avventura continui e ci dia ancora tante soddisfazioni. Sarebbe già abbastanza.
Poia: Il viaggio è sempre la parte più interessante, attraversare mondi, cambiare e anche ritornare. La meta non si scorge ancora.

Prehistoric Pigs – La quarta luna

Messe da parte le divagazione stilistiche del terzo album “Dai”, i Prehistoric Pigs sono tornati con “The Fourth Moon” (Go Down Records \ Metaversus Pr) a rimestare il fango stoner più ortodosso dei primi due dischi.

Ciao Juri (Tirelli, chitarra), ai tempi della pubblicazione di “Dai”, il vostro terzo album, scrissi: “anche i maiali, nonostante le dalle zampette sporche di fango, di tanto in tanto alzano il grugno per ammirare le stelle”. Mi sa che non avete ancora smesso di guardare il cielo, no?
Ciao! Come per molti, il tempo passato durante le restrizioni causate dal Covid, è stato dal punto di vista creativo abbastanza fruttuoso. Proprio durante il lockdown abbiamo scritto molti riff e abbozzato molte strutture delle future canzoni che abbiamo assemblato appena ci siamo potuti vedere di persona.

Stilisticamente questo “The Fourth Moon” mi pare più vicino ai primi due che a “Dai”: è così?
Esattamente. Abbiamo deciso di tornare alle origini. Ci siamo focalizzati sullo stoner rock puro. Negli ultimi album c’è stata addirittura sperimentazione jazz/progressive, ma con questo ultimo lavoro siamo stati attenti a non uscire dagli stilemi del genere.

Ecco, cosa non deve mai mancare in un vostro disco e in cosa invece vi lasciate ogni libertà compositiva?
Non devono mai mancare i riff ossessivi. Penso siano uno una prerogativa e caratteristica nostra e del genere che suoniamo. per quanto riguarda parti solistiche e momenti psichedelici non scriviamo mai le parti, nemmeno quando stiamo per entrare in studio. Tutto improvvisato.

Continuiamo con le citazioni, questa volta riprendo quello che è scritto: La quarta luna era una schiera di condannati. Lugubre carovana di destini spezzati, uomini scimmia dai volti d’osso, in marcia verso la fine del cosmo. L’occhio di pietra vigila sul convoglio e lo attira verso il baratro. Otto fermate prima del colpo di martello, del triplice fischio, dell’ultimo fulmine. Ratti stanchi accompagnano l’orda fra urla ataviche e arti penzolanti. Le schiene piegate scavano buche verso nuovi continenti che non esistono. Il frastuono del diluvio universale preannuncia la venuta delle 700 meteore dell’apocalisse”. Me la piegate sta frase?
E’ il riassunto di ciò che abbiamo immaginato mentre riascoltavamo le canzoni registrate. E’ la traslazione di ciò che la copertina del disco raffigura. Prova anche tu! Ascolta tutte le canzoni e prova ad immergerti in una landa desolata di un qualsiasi pianeta o satellite di una qualsiasi galassia: aspetta che le cose accadano.

Un disco che genera immagini forti e che svela delle storie fantastiche, ma come mai preferite raccontarle attraverso le note non con l’ausilio della voce?
Ci piacerebbe che durante l’ascolto ognuno possa riuscire a proiettare nella propria stanza ciò che la mente lo porta ad immaginare. Senza quindi essere condizionato ed indirizzato dalle parole.

Qualche anno fa ci siamo conosciuti dal vivo in occasione di un concerto organizzato a Barletta dalla mia associazione. Non vi chiedo cosa ricordate di quella sera, perché immagino poco, visti e considerati gli sviluppi del post live, ma vorrei sapere come sono andati per voi questi quasi due anni senza concerti?
Invece ci ricordiamo benissimo tutto. E’ stato un evento bellissimo. Eravamo molto gratificati dalla presenza del folto pubblico. ancor più dopo aver saputo della presenza di molti giunti dalle province limitrofe appositamente per venirci ad ascoltare. il post-concerto è stato impegnativo ma ne è valsa la pena. Torneremo in Puglia sempre volentieri.

Barletta a parte, qual è il ricordo più bello che avete dal vivo? In questi anni avete suonato anche in giro per l’Europa.
Abbiamo suonato in quasi tutta Europa. Ci sarebbero molte date da ricordare. Uno dei più memorabili concerti a cui abbiamo suonato è stato il “Tides of Youth” festival. La location era un parco naturale nell’isola di Krk in Croazia. Cinque palchi dislocati a un chilomentro di distanza dall’altro, ognuno dei quali ospitava altrettanti generi musicali. Una marea di gente. Poi l’altro concerto che ci piace ricordare è quello suonato allo “Stonerhead” festival di Salisburgo dove abbiamo potuto conoscere di persona i Karma To Burn.

“The Fourth Moon” mi sembra un disco adatto per la dimensione live, sarebbe quasi un peccato non proporlo dal vivo per intero. Ci state pensando ne estrarrete solo dei brani?
Mi piace ti sia arrivato questo aspetto del nostro lavoro. Abbiamo pensato proprio a quello mentre scrivevamo le canzoni. Proporre brani su disco che potessero essere suonati dal vivo con la stessa energia. L’abbiamo scritto come il primo album. Sala prove, senza limiti mentali. Qualche riff. Strumenti in mano e jammare.

Le vostre prossime mosse?
Sarebbe bello suonare il disco live ma visto il periodo non penso si possano fare tanti progetti. Aspettiamo e vediamo cosa ci propone la vita!

Rockets – “Alienation”, l’album fantasma

Esce in questi giorni in tutti i negozi di dischi “Alienation” l’album ‘fantasma’ che i Rockets hanno tenuto nel cassetto per ben 40 anni. Grazie alla collaborazione con Zamusica, finalmente possiamo ascoltare questi brani rimasti inediti per così tanto tempo. Per sapere meglio cosa c’è dietro questo lavoro, abbiamo raggiunto il leader della band, Fabrice Pascal Quagliotti.

Fabrice, “Alienation” doveva uscire 40 anni fa, dopo il grande successo di “Galaxy” del 1980, giusto? Come mai è stato bloccato così tanti anni?
Sì, è stato registrato tra la fine del 1980 e l’ inizio del1981. Quando registrammo il seguito di “Galaxy” preparammo un altro album, “Alienation” appunto, che non convinse la casa discografica. Non sapevano neanche loro come giustificare il loro “no”, dicendo che non andava bene in quanto “troppo avanti”, insomma ce lo bocciarono sostanzialmente. E il disco è rimasto chiuso nel cassetto. E invece uscì un album dal titolo “Π 3,14” in cui ci sono solo due brani dei Rockets, gli altri no, infatti ci rifiutammo di suonarli, per noi l’album dei Rockets era quello che avevamo prodotto. Quindici anni fa ho acquistato i master del disco che non avevamo più pubblicato e ho deciso di farlo uscire adesso, nel 2021 perché nel 2019 abbiamo fatto uscire “Wonderland”, il nostro ultimo album di inediti e siccome tutto ha un inizio e una fine e al progetto Rockets mancava un tassello, ho aspetto un po’ così coincideva con i 40 anni dalla sua registrazione.

Quali sono le differenze sostanziali tra questo disco che non vi fecero pubblicare e quello che invece poi uscì realmente, appunto “Π 3,14”?
La differenza sta nel fatto che “Π 3,14” non lo sento come un disco dei Rockets, è un’accozzaglia di cose copiate, un plagio unico dall’inizio alla fine, tranne due brani che erano nostri e facevano parte di questo “Alienation”. Un disco fatto di corsa con l’ex produttore, discutemmo con lui infatti, facendogli notare che stavamo compiendo un passo sbagliato, difatti non ebbe grosso successo il disco. Per noi l’album era “Alienation”. L’unica cosa bella era la copertina, ma nessuno di noi si riconosce in quel disco. Registrato con tutti i membri originali della band, Christian, i due Alain, Gerard e me.

La registrazione che ascoltiamo oggi è rimasta così come era all’epoca o lo avete un po’ “ritoccato”?
Dopo aver acquistato i master ho riversato tutto su hard-disk, è stato fatto un grossissimo lavoro di restauro di mastering, in quanto c’era un grosso problema di umidità, ma le tracce sono quelle dell’epoca sostanzialmente.

Avete previsto un tour di supporto al disco?
Difficile dirlo, noi vorremmo. Dovevamo fare un tour in Russia ma non è possibile al momento andare a suonare lì. Probabilmente nel 2022 torneremo a suonare regolarmente. Speriamo…

Come vedi il trattamento che ha subito il settore dello spettacolo in questi due anni?
Lo trovo scandaloso. Vanno bene le regole, ma che siano uguali per tutti. Ci sono posti come la chiesa dove non serve il green pass e in un museo o in un teatro sì. Lo stadio sì, ma i concerti no. Così come per i mezzi di trasporto. L’unico settore che è stato penalizzato è quello della musica e delle discoteche. Sono anche d’accordo all’obbligo vaccinale ma lo Stato deve prendersi le proprie responsabilità e che ci sia lo stesso trattamento per tutti.

Contemporaneamente all’album “d’epoca” esce però un brano “nuovo” dei Rockets in formato fisico.
Sì, si tratta di “Free”, brano che non trovò posto su “Wonderland” ed è uscito lo scorso anno in digitale come singolo, il fisico ha subito un ritardo invece perché per un periodo durante il lockdown non si trovavano le lacche, i coloranti per stampare il vinile, un vero disastro, oggi per avere un vinile rischi di attendere quattro mesi.

La tua carriera solista invece, nuovi progetti?
Recentemente ho suonato sul lago di Como ad agosto, ed anche in Uzbekistan con l’orchestra, e inoltre sto registrando e componendo il mio secondo album solista, dopo il primo “Parallel Worlds” dello scorso anno.

Bene, invitiamo quindi tutti i fan dei Rockets e non solo a procurarsi “Alienation”, che sarà disponibile sia in versione vinile nero che colorato blu elettrico. Entrambe le versioni avranno una tiratura limitata numerata a soli 1000 pezzi. Invece la versione CD, sempre a tiratura di soli 1000 esemplari, oltre a un booklet di 24 pagine con testi conterrà un versione di durata più lunga rispetto al vinile del brano ‘”Collage”. Anche il singolo “Free” sarà disponibile in formato sia CD, 500 copie numerate, e vinile colorato limitato a soli 300 pezzi. Fan dei Rockets, non perdete tempo! Disco consigliato da Wanted Record, via Bottalico, 10 a Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 06 OTTOBRE 2021

Ufomammut – Idoli dallo spazio ignoto

Gli Ufomammut sono una creatura a sé stante del panorama musicale italiano. Freschi autori d’un’album fenomenale come “Idolum” si sono sottoposti al fuoco incrociato delle nostre domande.

In sede di recensione ho definito “Idolum” “un viaggio nello spazio più remoto, dove affacciandosi dall’oblò puoi vedere non solo la magnificenza delle stelle, ma anche l’incubo dell’ignoto”: mi sono allontanato di molto dalla verità?
“Idolum” è l’ignoto, il suono grave dello spazio, è un viaggio spazio-temporale e una colonna sonora per i propri trip mentali, una specie di “mezzo di trasporto” per l’esplorazione di nuovi mondi musicali. La musica di Ufomammut è sempre stata caratterizzata dal dualismo e dai contrasti. Abisso e vertigine, terrore e meraviglia.

Quando avete iniziato scrivere il materiale che poi è finito nell’album?
La genesi di “Idolum” è stata relativamente di breve durata: le strutture dei brani sono state concepite alla fine del 2007, tranne quelle di due pezzi che suonavamo da più tempo: “Nero”, che è rimasta quasi invariata e “Stardog” che invece è stata pesantemente rivista prima di registrare. Abbiamo poi ulteriormente modificato qualche parte in fase di registrazione, scritto i testi in studio e così pure deciso i titoli. E’ stato un fluire continuo. E’ stato registrato tutto in due week-end a Milano, al Magnolia sotto la regia di Lorenzo Stecconi, chitarrista dei Lento e fonico del Locomotore Studio di Roma dove poi abbiamo mixato e masterizzato il disco: il suo è stato un grandissimo apporto.

Perché “Idolum”?
L’ultimo disco necessitava di un titolo che rappresentasse la sua aurea spettrale e al tempo stesso enorme. Aleggiava in studio l’idea di questo gigantesco mastodonte invisibile… quindi abbiamo scavato nelle origini della nostra lingua e abbiamo trovato “Idolum”, parola latina, che descrive un’immagine mentale, uno spettro, un’idea. Il titolo descrive bene ciò che la musica suggerisce: una sorta di buco nero che divora mondi. Esiste, ma non lo puoi vedere.

Quali sono i vostri idoli?
Nessuno di noi ha idoli. Dal lato musicale consideriamo all’unanimità fondamentali band come Pink Floyd e Beatles. Ma nella vita quotidiana non abbiamo personaggi da idolatrare. Il concetto di idolo presuppone una sorta di fede cieca. E noi siamo molto critici, poco propensi all’adorazione fine se stessa. Più che le persone, adoriamo ciò che la mente umana può concepire. Nonostante i difetti, le stupidità, le tare congenite e follie varie, la specie umana è stata in grado di creare opere immortali: le cattedrali gotiche, Arancia Meccanica, il White Album, Hellboy, il pongo, tanto per citarne qualcuna.

Una cosa che mi è saltata all’occhio leggendo la tracklist è che tutti i titoli delle canzoni sono formate da una sola parola: un caso o una scelta?
Si tratta di una scelta: tutti i titoli dei nostri album sono composti da una sola parola. L’approccio al pezzo diventa più diretto e più facile da ricordare. Un singolo vocabolo suona meglio.

Ancora una volta un artwork eccellente accompagna un vostro lavoro!
2/3 di Ufomammut sono anche 2/3 di Malleus… come dice Vita sarebbe stupido non “sfruttare” le loro capacità artistiche, sarebbe come avere una fidanzata bellissima del quale sei innamorato e tradirla con la prima racchia antipatica che ti fa un sorrisino ammiccante… L’artwork, da sempre, è uno dei punti di forza delle nostre opere. SupernaturalCat, la label di Malleus, è dedita ad un lavoro fondamentale, essendo nata con l’idea di ridare al disco la sua importanza, con uscite a tiratura limitata e vinile, e “Idolum”, con il suo doppio vinile, poster e cd ne è la dimostrazione assoluta. Crediamo che la percezione dell’ascolto di un disco possa essere dall’artwork. Senza il prisma, ad esempio, “Dark Side of The Moon” avrebbe un altro suono

Gli Ufomammut sono più una band da studio o da palco?
Entrambe le cose anche se ognuno di noi la pensa in modo differente. Per Vita il palco è quello che ci da maggior possibilità di trasformare la musica in un branco di mammut impazziti, mentre per Poia ed Urlo la parte più interessante dell’essere Ufomammut è la possibilità di sperimentare e creare in studio. Sono due esperienze distinte. La differenza principale è che in studio siamo anche spettatori.

Come definiresti un vostro show?
Un’esperienza completa, dove si viene risucchiati da un vortice di suoni, effetti ed immagini. A parte ciò, non è semplice dare una definizione precisa, dato che suonando la visione che abbiamo di noi stessi non può essere obiettiva

Avete già programmato delle date?
Stiamo lavorando ad un tour negli States e ad uno in Europa per Novembre. Comunque sarà tutto presente sul nostro sito appena confermato: www.ufomammut.com

Vi ringrazio, a voi la chiusura…
Grazie come sempre a tutti coloro che ci seguono e che ci supportano, Ufomammut esiste anche grazie a loro.

Intervista originariamente pubblicata su www.rawandwild.com nel 2008 in occasione dell’uscita di “Idolum”
http://www.rawandwild.com/interviews/2008/int_ufomammut.php

g.f.cassatella