Goad – La musica delle sfere

Buona serata da Mirella, anche stasera diamo voce ai musicisti validi che popolano la scena musicale italiana, questa è la volta di Maurilio Rossi dei Goad.

Ciao Maurilio, i Goad sono la band fondata da te nel 1974, siamo nel periodo più fertile del progressive rock. Ci racconti gli inizi della tua carriera musicale?
I primi passi furono nell’ambito di feste e piccoli concerti del Liceo Classico che frequentavamo io e mio fratello, mentre studiavamo su strumenti da poche lire i dischi più belli dell’epoca… non esistevano spartiti e, se c’erano, erano quasi tutti sbagliati perfino negli accordi di base. Quindi tanto orecchio e puntina del giradischi su e giù nei punti critici! Per quanto mi concerne, ho passato notti intere a studiare i passaggi di Paul Mc Cartney e Jack Bruce dei Cream, ma anche tanti altri, poi i primi passi dal vivo con impresari e debiti per attrezzatura da portare a giro. Nel 1975 facemmo il Festival Nazionale dell’Unità a Firenze suonando tutto “Genesis Live” nel  pomeriggio e un repertorio di ballabili di ogni tipo alla sera. Era presente un certo Berlinguer…

Quali sono gli elementi che caratterizzano la tua musica?
Direi che soprattutto le sorprese armoniche che non ti aspetti, i cambi totali di atmosfera, siano le nostre peculiarità, senza un riferimento preciso a nulla di prestabilito. Piena libertà compositiva che equivale allo sperimentare l’ipnosi che la musica esercita se attivi il canale giusto di comunicazione con l’inspiegabile, come diceva Poe: la musica delle sfere!

Non credi che il progressive in questi anni abbia perso la sua vocazione progressiva e sperimentatrice?
Da moltissimo tempo! Secondo me da quando è stato coniato il termine stesso. Quando cataloghi qualcosa, quel “qualcosa” è già morto. Si sono gettati tutti a rodere un osso del  paleolitico, usando gli stessi codici, gli stessi timbri, strumenti, cambi di ritmo, in un insensato gioco a chi imita e riproduce meglio i  gruppi di riferimento – sempre i soliti,  fra l’altro – il punto è che non si accetta l’eretico, non si accetta l’originalità perché il confronto con il “differente” è insopportabile per gli imitatori. Ovvio che vi siano  fantastiche eccezioni, ma secondo me mancano le canzoni, il punto nevralgico negativo è che sembra che nessuno sia capace di cimentarsi con il  senso compiuto di un brano senza aver bisogno di mille frasi che si accavallano spezzettate in mille tempi ritmici diversi, ma è solo il mio punto di vista.

Nella tua musica c’è stato sempre uno stretto legame con la letteratura, credi che i testi siano un elemento imprescindibile nella tua proposta musicale?
Per me fare testi è sempre stato arduo, in italiano poi quasi impossibile, avendo suonato una vita soltanto per un pubblico straniero in massima parte anglofono. Io stesso ho vissuto all’estero usando solo questa lingua, nel mio accento italiano che non posso certo rinnegare! E allora ho scelto di musicare la poesia eterna, musicalissima, di certi autori, partendo da E.A.Poe e proseguendo per Lovecraft, E.Lee Masters, Landor e Keats, ma amo fare musica ad ampio spettro e adoro fare colonne sonore od opere soltanto strumentali. Ho tantissimi inediti che forse un giorno stamperò in copie limitate. Ho scritto io stesso tanti testi, come l’album “The Silent Moonchild”, basato su di un mio racconto gotico poi suddiviso in varie tracce. Per  il lavoro “In the House of the Dark shining Dreams” invece ho usato in larga parte testi di un autore che scrive di musica e cultura in genere, Luca Rimbotti.

Parliamo del presente: so che stai lavorando a un nuovo album. Puoi darci qualche anticipazione?
Certo! Si basa su testi lirici di John Keats e sta venendo fuori un’opera monumentale da sfrondare con accuratezza perché vi è materiale per quattro CD di un’ora ciascuno. Come sempre, ho suonato tutti gli strumenti che ho voluto usare, compresa la batteria, in attesa di interventi esterni di altri musicisti volenterosi. Ma in linea di principio ho ricercato la composizione e la esecuzione in stile live, come fosse eseguita da quattro o cinque musicisti in un piccolo locale di avanguardia oscuro  e con un pubblico in massima parte disattento o perso in pensieri propri, che beve e fuma e guarda nel vuoto. Ho immaginato questi musicisti perduti nel loro sogno tutto personale, senza futuro né ambizioni se non quello di esprimersi al meglio in ciò che fanno, attenti soltanto a ciò che i loro compagni su palco stanno suonando e tesi a enfatizzare i testi cantati. Quindi molto pianoforte, basso, chitarre acustiche ed elettriche quasi senza effetti, qualche colore orchestrale non ridondante e voce evocativa al massimo possibile…

Qual è l’errore nella tua carriera, se c’è stato, che eviteresti col senno di poi?
Il rifiuto della proposta di Freddy Mercury per tour europei e dischi a Salisburgo con Moroder nel 1981. Il motto “tutti per uno,uno per tutti” era soltanto mio, devo dire che fui tradito dai miei compagni di viaggio musicale di allora dopo un mese di trattative estenuanti e il tempo successivo confermò che avevo scelto male perché, della formazione originale, rimanemmo soltanto io e mio fratello che  però ha scelto la carriera di chirurgo, limitandosi al ruolo di membro aggiunto in qualche occasione soltanto..

Dove i nostri ascoltatori possono seguirti sul web
https://goadband.bandcamp.com
https://myspace.com/goad.art.rock/bio

Trascrizione dell’intervista rilasciata a Mirella Catena nel corso della puntata del 10 Agosto 2020 di agosto di Overthewall. Ascolta qui l’audio completo:

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...