Kolossus – Nell’antro del colosso

Ancora un album black metal made in Italy sugli scudi in questo strano 2020. L’esordio dei Kolossus (Satanath Records) rappresenta un’ottima sintesi della materia nera proveniente dalla Norvegia a cavallo tra 80 e 90, un disco che richiama quanto fatto dai Bathory e dai loro discepoli Enslaved, Immortal e Taake.

Ciao Helliminator, con “The Line Of The Border”, arrivi all’esordio dopo l’esperienza T132. Ti chiederei di tracciare brevemente il cammino che ti ha portato dalla tua vecchia band all’attuale…
Ciao Giuseppe! Prima appunto della nascita del progetto Kolossus avevo già provato a creare qualcosa di “mio” col monicker T-132 (un paio di demo mai usciti finora); prima ho fatto molto ma mai nulla di concreto come finalmente è accaduto con “The Line of the Border”.

I Kolossus credo che siano stati fortemente influenzati dai Bathory più epici e ritengo che il loro ascendente non si fermi solo all’aspetto musicale ma comprenda anche quello filosofico e operativo, mi riferisco anche alla tua decisione di fare tutto da solo come Quorthon, mi sbaglio?
Ti ringrazio per l’accostamento, ma seppur tutto quello che hai detto sull’aspetto filosofico-musicale ci può stare assolutamente, a livello di influenze mi sento più debitore alla scena norvegese (Enslaved, Helheim, Taake); sicuramente l’epicità di molte parti nel disco potrebbe richiamare anche i Bathory che in quello sono stati pionieri e maestri! Ave Quorthon!

Nonostante tu sia solo, riesci a far percepire nella tua musica una varietà stilistica ed espressiva che, non leggendo la line up, potrebbe essere ricondotta a più componenti. Come riesci a far esprimere queste tue diverse anime senza perdere mai il controllo sull’obiettivo finale?
Non saprei sinceramente, è tutto abbastanza naturale, riesco a far affiorare la moltitudine dei miei stati d’animo e a farli convivere all’interno delle canzoni, probabilmente questo può far sembrare che dietro alla band vi siano più “teste”che compongono, ma è tutto frutto della mia creatività/follia ahahah.

Dal punto di vista lirico ti rifai all’immaginario norreno, come spieghi questa tua scelta e cosa rispondi a chi ritiene che certe tematiche non abbiano senso se proposte da band italiane?
La passione per la tradizione vichinga deriva sicuramente dagli ascolti in adolescenza delle band del filone black-viking che con le loro tematiche trattate mi hanno portato a interessarmi e leggere a suo tempo sulla storia e tradizioni di questo grande popolo; capisco altresì chi sostiene la tesi da te succitata, però in fondo penso che dove nasci non lo decidi tu, e ognuno di noi dovrebbe andare a ricercare quello che sente più vicino a sé e alle proprie emozioni, anche se distanti anni luce dalla propria realtà.

In “Journey” proponi anche l’italiano, quasi a voler confermare le tue radici, no?
Sì, è stata una prova, e sebbene l’inglese rimanga la lingua ideale, sono soddisfatto del risultato ottenuto su “Journey”.

Mi soffermerei sui significati intrinsechi, se ce ne sono, del titolo dell’album e della copertina: puoi dirmi qualcosa di più su questi aspetti del disco?
Sia copertina che titolo dell’album riflettono me stesso nella realtà di tutti i giorni, nei miei continui contrasti interni che portano spesso ad isolarmi per poi fare emergere tutto quanto sotto molteplici aspetti (visivo-sonoro in questo caso).

Come sei entrato in contatto con l’etichetta russa Satanath Records?
Quella della ricerca dell’etichetta è stata forse l’avventura più dura ahahah. Tra risposte non ricevute, risposte negative, label interessate che sparivano, quella che ha mostrato subito interesse è stata proprio la Satanath di Aleksey. Il resto è venuto di conseguenza.

Vieni da una città, Genova, culla dell’estremo italiano con Ghostrider e Necrodeath e luogo di nascita di altre realtà importanti come Sadist, Antropofagus, Malombra, Spite Extreme Wing, Il Segno del Comando e IANVA. Gruppi diversi, ma a loro modo attenti scrutatori dell’oscurità: come ti spieghi questo particolare feeling delle band genovesi e quanto la tua città ti ha influenzato nel tuo cammino verso l’estremo?
Che Genova abbia avuto una serie di band estreme importanti a livello nazionale e internazionale è appurato, per quello che mi riguarda è una città che, unendo mare e monti in pochi chilometri, può aiutare a sviluppare un sacco di ispirazione per chi vuole viaggiare con la testa e anche col corpo.

Come credi che potrà evolversi in futuro la musica dei Kolossus?
Ho iniziato le sessioni di registrazione del secondo full, e quindi posso già accennarti qualcosa a livello di evoluzione. Le nuove composizioni andranno a richiamare “The Line of the Border”, ma vi sarà una forte componente emotiva personale derivata dal periodo in cui è stato composto che emergerà qua e là: spero in un buon mix finale!

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