Eldritch – Sogni sommersi

Tornano gli Eldritch con un disco, “EOS” (Scarlet Records), che al contempo rappresenta un passo indietro – la band ritrova lo storico tastierista, Oleg Smirnoff, dei primi tra album – e un passo in avanti in quel percorso di ricerca e mutazione, che da sempre caratterizza il camminano del gruppo italiano.

Se non ho fatto male i calcoli con “EOS” tagliate il traguardo del dodicesimo album in studio. In una nazione come la nostra, dove occasioni ce ne sono poche,  le strutture sono inadeguate e il mercato è quasi inesistente, come si fa ad andare avanti fregandosene di tutto e tutti?
Il motivo è sicuramente uno solo: la grande passione per la musica che facciamo da sempre. Quella ci farà sempre andare avanti. Se un giorno dovesse esaurirsi, allora sarà la volta che di questa band non sentirete più parlare. E non mi riferisco solo a me e Terence che siamo i fondatori. Negli anni abbiamo quasi sempre avuto la fortuna di trovare persone che si sono unite a noi con la stessa voglia condividendo momenti belli ed altri meno belli. E’ anche vero che essendo nati più come band internazionale, non guardiamo soltanto la situazione italiana. Non a caso infatti abbiamo forse più seguito all’estero.

Eos è la divinità dell’alba, ben raffigurata nella copertina, in qualche modo questo disco rappresenta l’alba di una nuova fase della vostra carriera?
Assolutamente sì! Possiamo definirlo un nuovo inizio dal momento che parecchie cose sono cambiate da un paio di anni a questa parte. Il ritorno di Oleg Smirnoff, nostro storico tastierista dei primi tre album, è stato indubbiamente accolto da tutti noi con grandissimo entusiasmo. Stesso discorso per il nuovo bassista Dario Lastrucci, autentico pezzo da 90 con una mostruosa padronanza dello strumento e ad una grande personalità anche in sede live. Dario è anche polistrumentista e sa cantare, infatti i cori su “EOS” sono opera sua al 90% così come le parti di violino su “I can’t Believe It”. La loro presenza è stato un deciso passo in avanti per noi e infatti, come speravamo, si è sentito anche in termini di sound.

In tema di divinità, il nucleo portante degli Eldritch proveniva da una band chiamata Zeus, c’è una qualche connessione tra l’attuale titolo e il vostro vecchio moniker oppure ci troviamo innanzi a semplice amore per la cultura classica che ciclicamente torna?
Escludo senza dubbio la prima che hai detto, niente a che vedere col vecchio monicker! In realtà, la nostra idea è sempre stata quella di un titolo composto da una sola parola ma non volendo ripeterci con un gioco di parole, abbiamo optato per “EOS” che, oltre ad essere immediato, rappresenta in pieno quello che siamo adesso.

Guardandovi indietro, vi sembra di aver raccolto quanto seminato? Magari dopo due album importantissimi come “Headquake” ed “El Niño” non avete avuto molta fortuna…
Avremmo voluto e potuto fare di più ma in tutta sincerità, non sempre tutto è andato per il verso giusto. Per ottenere un certo tipo di successo tante componenti devono andare nella stessa direzione e purtroppo non sempre è stato così. Un po’ perché non abbiamo mai accettato compromessi artistici, un po’ per nostre scelte sbagliate, un po’ perché forse in alcuni momenti della carriera avremmo avuto bisogno di altro tipo di supporto… non tutto è andato come forse speravamo. In ogni caso considerando ogni aspetto, siamo orgogliosi di essere ancora qui a fare la nostra musica ed essere apprezzati. Il genere stesso non è facilmente assimilabile e da un punto di vista commerciale è considerato un po’ d’élite.

Proprio con “El Niño” si è interrotta la vostra storia con Oleg, abbiamo dovuto attendere 23 anni ed “EOS” per risentirlo su un vostro album. Cosa ha reso possibile tutto questo?
Gli scazzi del passato furono già chiariti più di 15 anni fa e infatti realizzammo insieme anche il doppio album live “Livequake” nel 2008. Già ai tempi di “Gaia’s Legacy” valutammo una reunion ma per varie ragioni non fu possibile. Poi tre anni fa dall’idea di celebrare i 20 anni di “El Nino” (suonato integralmente al Ready For Prog Fest a Tolosa), abbiamo manifestato entrambi la volontà di tornare a fare musica insieme ed eccoci qui…

La presenza di Oleg in qualche modo vi ha fatto tornarne indietro nel tempo, magari riattivando dinamiche compositive all’interno del gruppo che all’indomani della sua uscita si erano perse?
Oleg ha un modo unico di suonare e intendere le tastiere sia nei suoni che sul piano armonico. Il suo stile nel tempo si è sicuramente evoluto ma senza snaturarsi e di conseguenza questo ha influito in modo determinante a far riassaporare gli echi del passato al nostro sound attuale. Ed è quello che noi tutti volevamo. Anche in fase compositiva ha dato ovviamente il suo contributo visto il suo background e le sue idee. Tuttavia nessuno di noi avrebbe mai voluto rinunciare alla nostra evoluzione compositiva e ricreare copie dei primi dischi.

Ritengo che abbiate mantenuto sempre degli standard altissimi nella vostra produzione, riuscendo anche a mutare – alcune volte con scelte coraggiose – ma mantenendo sempre una coerenza di fondo che vi rende riconoscibili. “EOS” da questo punto di vista mi sembra perfetto, perché in qualche modo contiene tutti gli elementi della vostra passata produzione, rivisitati in chiave attuale: una scelta ponderata o è il frutto di un processo compositivo spontaneo?
Direi entrambe le cose. Ovviamente ci siamo confrontati come sempre per capire se eravamo tutti della stessa idea, ovvero ricreare l’atmosfera dei primi dischi cercando però di non fare passi indietro rispetto alla maturità compositiva che abbiamo raggiunto col precedente “Cracksleep”. Abbiamo capito da subito che sarebbe stato del tutto naturale andare in quella direzione senza bisogno di confronti. Abbiamo degli elementi che ci caratterizzeranno sempre e ci rendono riconoscibili nonostante la nostra propensione al non ripeterci. Però cerchiamo sempre qualcosa di nuovo rispetto al passato…Credo che il punto di forza di “EOS” sia proprio quello di aver ricreato il nostro sound e le nostre soluzioni degli esordi ma in chiave attuale e con un approccio decisamente più moderno. L’elemento che più ci ha reso soddisfatti di questo album, oltre alla qualità dei pezzi, è proprio quello di cui ti ho appena parlato.

Non ho i testi dei brani, in qualche modo sono stati condizionati dalle recenti vicissitudini dovute alla pandemia?
No, della pandemia si parla già abbastanza. Si tratta come sempre di situazioni di vita vissuta in cui tutti possono identificarsi. Per quanto possa apparire indubbiamente un filo conduttore che lega anche i nostri precedenti lavori, riteniamo siano argomenti che non stancano mai perché rispecchiano quello che un po’ tutti viviamo quotidianamente. Solo nel caso di “The Cry Of A Nation” affrontiamo in maniera un po’ più diretta lo stato d’animo di un paese stanco di convivere costantemente con elementi negativi legati ad una situazione sociale/politica che tende a sfruttare, corrompere e sopraffare. Non vuole essere assolutamente un testo politico ma piuttosto solidale con chi soffre questa situazione. E non è riferito soltanto all’Italia… anzi.

Restando in tema pandemia, contate di poter promuovere il disco in giro per l’Europa a breve o se ne parlerà dalla prossima primavera in poi?
Credo proprio che di suonare dal vivo ne riparleremo non prima della primavera prossima. Speriamo davvero di riuscire a fare anche promozione live perché il palco ci manca tantissimo.

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