Buona la prima per i Dana Plato! Il terzetto, che sbaglierà pure le citazioni, sa come si fa un buon disco, come dimostra “Wrong Quotes” (Metaversus Pr).
Ciao Fixx, da poco è uscito il vostro album di debutto, “Wrong Quotes”, prima di addentrarci nei dettagli del disco, ti andrebbe di ripercorre le tappe che hanno portato a questa uscita? Il seme di “Wrong Quotes” viene piantato nel 2020, in pieno lockdown pandemico, quando Alessandro Calzavara sta registrando “Lie/Ability”, il suo 20° disco col moniker Humpty Dumpty. Per una serie di circostanze, tanto fortuite quanto (oggi possiamo dirlo) fortunate, conosce me, Gianluca Ficca, che nel disco sono Fixx, e Giovanni Mastrangelo, in arte Monster Joe, e gli si affida per la genesi, rispettivamente, dei testi in inglese e delle linee di basso/contrabbasso. Quella collaborazione si rivela così fruttifera e piacevole che l’evoluzione naturale, l’estate successiva, è partorire il progetto Dana Plato e registrare un disco a “tre teste e sei mani”.
Il disco come è nato? In estrema sintesi, diciamo che per ogni traccia il metodo è consistito nell’integrare suggestioni ad uno spunto iniziale di uno di noi, quasi sempre Alessandro (che è musicista prolifico e con straordinari momenti di vera e propria frenesia compositiva), con Giovanni a fornire tutte le tracce di basso e contrabbasso e Gianluca a proporre, oltre ai testi, ulteriori linee chitarristiche e vocali. Queste integrazioni avvenivano nel chiuso dei nostri piccoli “home studios”, mandando le tracce avanti e indietro e trovandole di volta in volta trasformate da idee aggiunte molto liberamente e senza autolimitarsi. In altri termini, un metodo di lavoro “per addizione”.
Quanto è vicino “Wrong Quotes” al risultato che avevate in mente quando avete iniziato a lavorarci su? In realtà, non avevamo in partenza alcuna idea prefissata. La forma delle singole tracce si è appunto delineata man mano che ci si allontanava dagli spunti di partenza. Tuttavia siamo fiduciosi sul fatto che il risultato finale, nonostante la deliberata varietà delle ispirazioni e la scelta di non sacrificarne alcuna sull’altare dell’omogeneità stilistica, appaia comunque abbastanza unitario. Quello che con certezza possiamo dire è che si tratta di un esito di cui siamo contentissimi e da cui ci sentiamo, tutti e tre, assolutamente rispecchiati.
Cosa sono le citazioni sbagliate richiamate nel titolo? Nella title-track c’è un verso che dice “Datemi il fascino della star cinematografica che riesce a sintetizzare il senso della vita in uno sguardo figo e in una battuta di meno di 50 caratteri”. Ecco, noi non riusciremmo mai a essere così, faremmo o diremmo sempre qualcosa fuori luogo. Sbaglieremmo sempre qualche citazione. Le citazioni sbagliate indicano metaforicamente il sentirsi – anche con un certo orgoglio identitario – più o meno eccentrici e inadeguati in qualsiasi contesto.
Rimanendo in ambito di citazioni, ritenete che il vostro sound in qualche modo “cita” altre band e, se sì, quali sono queste influenze? E’ inevitabile. Tutti e tre ascoltiamo da sempre, e amiamo, moltissima musica, dei generi più vari. Sarebbe impossibile che questi ascolti non venissero fuori, sebbene non ci sia alcuna esplicita intenzionalità, in questo. Forse le influenze che emergono di più sono quelle che maggiormente condividiamo (il post-punk a cavallo tra anni ’70 e ’80, le varie manifestazioni della psichedelia, le suggestioni elettroniche di Bowie e certo avant-pop), ma le anime presenti nel disco sono tantissime e la speranza è che si si siano combinate armonicamente.
Al di là delle vostre influenze, secondo te qual è l’aspetto che maggiormente vi caratterizza come band? Se parliamo della nostra esperienza soggettiva, esiste tra di noi una profonda amicizia, stima e sintonia di gusti. Un clima umano così caldo in un gruppo è realmente difficile da trovare. Giacché ciò che gli altri propongono è per ciascuno di noi quasi sempre fonte di uno stupore ammirato, il risultato concreto è quel metodo “per addizione” che ti descrivevamo prima e che fa sì che molti dei brani siano caratterizzati da numerosi – come potremmo definirli? – “strati sonori”. Alcuni esempi nel disco sono “Little Genius”, “Majesty”, interamente strumentale, la stessa “Wrong Quotes”. Ci piace immaginare che chi ascolti i brani la prima volta ne venga tanto incuriosito da risentirli e possa individuarvi, di volta in volta, gli elementi che vi si sovrappongono e interagiscono reciprocamente.
Sicuramente una cosa particolare è l’aver fatto ricorso a più voci nel disco: come è nata questa decisione? La composizione della linea vocale diverte molto sia Humpty che me, per cui nel “palleggiarci” le tracce è risultato abbastanza naturale far cantare il brano a quello dei due che l’avesse proposta all’inizio. Ne è nata una varietà di registri che ci è parsa arricchente, ed a quel punto abbiamo pensato di invitare come “special guest”, in “Nothing Left But Speak” e “ Strained”, due cantanti che sono anche persone a noi assai care, rispettivamente Mary Grace degli Eau de Jazz e Gregorsamsaéstmort dei Black Veils.
Avete optato per un’auto-produzione, oggi non è più necessario avere un’etichetta alle spalle? Sul piano creativo e della mera realizzazione di un disco, evidentemente no. Anche su quello della produzione, crediamo convinti alla spontaneità dell’ispirazione e alla forza comunicativa di una buona idea, indipendente dal suo successivo “confezionamento” (peraltro capiamo benissimo che altri musicisti possano non condividere questa attitudine e ritengano necessaria la maggiore attenzione produttiva assicurata da un’etichetta classica). L’ambito in cui ovviamente l’autoproduzione è penalizzante è quello distributivo, in cui ci si deve affidare alle sole piattaforme di streaming e a una pubblicizzazione/vendita “porta a porta”. Per noi si tratta, com’è ovvio, di un problema assai relativo. Un piccolo manipolo di ascoltatori affezionati che apprezzano quello che abbiamo fatto è di per sé una bella gratificazione. Ad ogni modo, l’autoproduzione è un percorso sempre più diffuso. La label Sub-Terra, che compare nel nostro cd, rappresenta la casa simbolica di alcuni musicisti (La Guerra delle Formiche, ad esempio, lo stesso Humpty) che da tempo portano avanti questa scelta, spesso con risultati tutt’altro che disprezzabili.
Prossime mosse dal vivo? Dana Plato è un progetto che non prevede attività live, almeno per ora. Viviamo in città diverse, sarebbe pressoché impossibile provare. D’altra parte, quando capita di trascorrere del tempo insieme, c’è un clima di tale armonia e piacere che la tentazione sarebbe forte.
Joseph Bruno da anni è noto agli amanti del prog metal per la sua militanza negli Aura. Oggi l’artista campano ci presenta nel suo album solista d’esordio, “Joseph” (Some Music Records \ ufficio stampa QALT) un aspetto del suo modo di intendere la musica, permeato da sonorità new wave, più intimista e personale.
Ciao Joseph, hai deciso di intitolare il tuo album d’esordio semplicemente con il tuo nome, il che mi fa pensare che questo disco sia una parte di te: è così? Rappresenta me, infatti l’album narra 10 esperienze della mia vita. Sostanzialmente, sono esperienze che possono essere traslate tranquillamente nella vita di ogni essere umano. Nelle tracce faccio spesso elogio alla vita, nonostante le avversità, come nel caso di “The Time Has Come” e “Live Your Life”: è un sostanziale elogio alla vita. È un album tributo anche a questo particolare periodo storico che abbiamo vissuto, tra lockdown e pandemia; è un’esortazione a guardare sempre al lato positivo d’ogni cosa.
Leggendo la tua biografia ho scoperto che ha spaziato tra i generi, l’heavy, il folk l’alternative e il reggae. È stato complicato per te riversare nel tuo primo album tutte queste influenze? Credi che siano ben bilanciate tra loro in “Joseph” o qualcuna ha preso il sopravvento sulle altre? Diciamo che, a parte con gli Aura, con cui faccio metal e prog-metal da decenni, le altre esperienze non erano strettamente personali, ma progetti a cui ho partecipato. “Joseph” ha tutt’altra natura musicale: parte dalla new wave anni ‘80, raccoglie venature acustiche e musica d’ambiente, miscelando il tutto all’elettronica. Diciamo che si discosta molto dalle mie esperienze precedenti, essendo un prodotto mio in toto.
Quando sono nati i brani di “Joseph”. Sapevi già che sarebbero finiti nel tuo prima album solista o pensavi di utilizzarli per altri tuoi progetti? I brani che compongono l’album sono nati appositamente per questo progetto, proprio perché avevo bisogno di un qualcosa di mio, personale, al di là delle altre band di cui faccio o ho fatto parte, dove sei comunque tenuto a condividere idee con gli altri. Con “Joseph” volevo qualcosa che rispecchiasse quello che io sono in toto.
Chi ti ha aiutato nella realizzazione e incisone dei brani? L’apporto dell’amico Cristian Botti, chief della Some Music Records, etichetta che ha pubblicato il lavoro, è stato fondamentale: ho registrato insieme a lui negli studi della Some Music, a San Severino di Centola. Altro apporto importante è stato dato da Pietro Lorenzotti, che ha suonato il basso su “Beyond This Way”, e da Giovanni Trotta, mio compagno di viaggio negli Aura, che ha suonato la batteria su “Live Your Life”: li ringrazio entrambi tantissimo.
Al momento hai estratto tre singoli “The Time Has Come”, “Live Your Life” e “Fly”. Cosa ti ha spinto ad utilizzare queste canzoni come biglietto da visita per il disco? Sono le canzoni che meglio rappresentano le varie sfaccettature di cui si compone l’album, sia a livello di tematiche, sia a livello di suono, e sintetizzano questo nuovo percorso. Quindi diciamo che è stata una scelta quasi scontata puntare su questi brani, che fanno arrivare all’ascoltatore l’essenza di quella che è la mia musica.
Ho notato che i video sono particolarmente curati, quanto contano le immagini per la tua musica? Le immagini contano molto, perché rappresentano esattamente ciò che esprimi nei tuoi brani: sono importantissime.
Restando nell’abito dell’immagini, mi spieghi la folgorante copertina? La copertina fa riferimento alla pratica buddista mahāyāna: rappresenta lo stato di meditazione e concentrazione che si ha quando si recita il mantra buddista davanti all’oggetto di culto chiamato Gohonzon. Io sono buddista, quindi nella copertina ho voluto trasmettere anche questo lato di me.
Passiamo dalle immagini alle parole, di cosa parlano i tuoi testi? I testi dei miei brani parlano principalmente di come la vita vada vissuta sempre al massimo, nonostante le tante difficoltà che ci si possono parare innanzi nella vita. Con questi brani voglio che arrivi il messaggio che c’è sempre un lato positivo, nonostante tutto, e bisogna sempre concentrarsi su quello, senza buttarsi giù.
Non ci resta che parlare dell’aspetto live, hai intenzione di portare in giro il tuo disco o si tratta di un’esperienza da studio? È assolutamente mia intenzione portarlo in giro: abbiamo già fatto una presentazione, qui in zona da me, nel Cilento, in tre o quattro locali differenti, ed è piaciuto tanto, anche trasportato in chiave acustica. La cosa più bella di un album e proprio quella di poterlo riproporre anche dal vivo.
“Mondo Parallelo” (Doppio Click Promotions) è l’esordio sulla lunga distanza della rock band pugliese Underworld Vampires tra reminiscenze wave, incursioni elettroniche e un notevole gusto pop per le melodie, il tutto cantato rigorosamente in italiano. In attività dal 2018 come duo e dopo svariate demo pubblicate su YouTube, nel Maggio 2020 la band si completa e pubblica la cover “Big Sleep” dei Simple Minds, ricevendo pubblicamente i complimenti della band scozzese.Un viaggio sonoro che si è concretizzato in un album – anticipato dai singoli “Orso Bruno” e “Foskia” – la cui genesi ci è stata raccontata dal trio stresso.
Ciao ragazzi e benvenuti su Il Raglio del Mulo, è da pochissimi giorni uscito il vostro primo album “Mondo Parallelo”, che riscontri sta avendo? Ne siete soddisfatti? Nicola: Si, siamo molto soddisfatti, i riscontri sono più che positivi, le recensioni accattivanti, i paragoni con altre band importanti sono davvero sorprendenti!
Com’è nato il progetto Underworld Vampires? Nicola: Il progetto è nato come una sfida creativa, come un gioco che si è poi evoluto col passare del tempo (2 anni). Le canzoni sono nate nottetempo, a Venezia dove vivo… inizialmente erano versi, poi nei giorni successivi si trasformavano in melodie che registravo con lo smartphone rigorosamente all’alba, e le inviavo quindi a Mimmo (Domenico Capobianco), che invece vive in Puglia, il quale incuriosito e divertito dalle melodie pop malinconiche e darkeggianti ha iniziato a cucirci addosso degli arrangiamenti, con il suo computer, mentre era in viaggio. Mimmo: Sì, è stata una sfida molto originale, per entrambi: per Nicola perché non scriveva versi da quando era bambino, e per me perché non mi era mai capitato di comporre musica partendo da una melodia vocale, cantata tra l’altro in italiano (altro elemento di novità per due appassionati come noi prevalentemente di musica anglofona). Le melodie erano così naturalmente pop che è stato necessario creare un “ponte” per collegarle al nostro DNA più legato al rock elettronico e alla new wave. Nicola: Che bei ricordi! E’ nato un ping pong di demo inviati via whatsapp tra Venezia e Capurso (Puglia), dove vive Mimmo, le canzoni sembrano incredibilmente avere un senso sin da subito… Mimmo ha dato una impronta “elettrodark” al sound, e io da buon nottambulo, vampiro e insonne non chiedevo di meglio! Abbiamo iniziato così a “vampirizzare” le diverse idee melodie e liriche che nascevano. Mimmo: Abbiamo così iniziato a condividere le prime demo, fatte tutte rigorosamente in casa, e l’opportunità poi di farle diventare un vero e proprio disco registrato in studio ha fatto il resto e ci ha fatto conoscere il terzo vampiro, Francesco Valentino detto Pra, fonico e produttore di altri artisti pugliesi a noi cari come Stain e Matteo Palermo. Pra viene dal rock più prog, una decade e passa più giovane di noi, oltre ad essere anche un cantante eccezionale che ha portato quella carica di aggressività e potenza che serviva per completare il nostro sound. Ci è venuto naturale accoglierlo come terzo membro della band. E poi abbiamo lavorato nel suo Asylum studio, un luogo davvero fantastico!
Di base siete un trio ma il vostro è un collettivo molto aperto, in che maniera scegliete le collaborazioni e i musicisti da coinvolgere? Nicola: Il nostro è stato una sorta di patto di sangue in musica tra differenti generazioni, a partire dagli adolescenti sino ai più “grandi”, gli estimatori delle sonorità new wave anni 80 per intenderci… di questo siamo più che felici! Forse il concetto di vampiro sta proprio in questo “succhiare il sangue” ad altri artisti diversi da noi, per restare creativamente giovani e vivere musicalmente la contemporaneità. Trarre forza dalle loro tendenze musicali, dai loro suoni e nello stesso tempo dare loro la possibilità di conoscere meglio le nostre esperienze, le nostre origini. Siamo riusciti a coinvolgere anche un baby vampire che ha dato pregio al nostro lavoro con un’ intensa take di rime nel “Brano Six Falling Stars”, Morash artista di soli 18 anni appena compiuti al momento in cui ha realizzato la parte rap in italiano in quel brano! E poi i giovanissimi ma ormai affermati Stain hanno collaborato al nostro disco ed anche artisti solidi e d’esperienza come Matteo Palermo che ha registrato le chitarre e due vocalists d’eccezione, ineguagliabili come Giuliana Spanò (Immobili, Angelo Strano Six Falling Stars) e Raffaella Distaso (Foskia, Orso Bruno, Mondo Parallelo).
A parte un brano in lingua inglese, il vostro sound riporta a un certo tipo di sonorità italiche di fine anni 90 – penso ai primi Subsonica ma anche al Battiato più elettro-rock – che a loro volta si rifacevano a un certo tipo di wave d’oltremanica in voga negli anni 80, quali sono le vostre maggiori influenze? Mimmo: In realtà tutte queste influenze non le abbiamo mai pienamente percepite prima di leggere le varie recensioni. Ma ne siamo davvero orgogliosi, le influenze non vanno negate, noi siamo quello che ascoltiamo, direbbe qualcuno, e per forza di cose ti rimane dentro un’attitudine che viene assorbita e si trasforma in qualcosa di nuovo. Sicuramente nei nostri ascolti di musica italiana ci sono Battiato e Subsonica, ma anche CSI, Baustelle, Afterhours, per citarne solo alcuni, portando un profondo rispetto a tutti loro. Sul fronte straniero poi abbiamo l’imbarazzo della scelta… siamo cresciuti negli 80 a pane e Simple Minds, Depeche Mode, Cure, Cult, poi nei 90 con Nirvana, Pearl Jam, fino ad arrivare a Radiohead, Nine Inch Nails, e più recentemente Editors, Killers, Interpol, Arcade Fire. Il bello è che tutti questi artisti rimandano a loro volta a dei “capostipiti” come Ktraftwerk per la parte elettronica, David Bowie per la parte più “glam” e Joy Division per le atmosfere dark più “tese”. E’ un flusso circolare che si arricchisce sempre con qualcosa di nuovo col passare del tempo e non si fermerà mai.
Nel vostro immaginario vi rifate ad un mondo parallelo, sotterraneo, come nascono le liriche dei vostri brani? Nicola: Il termine Underworld presente nel nome della band o il concetto di “Mondo Parallelo” che traspare spontaneamente nei testi del nostro disco, sono temi astratti, ampi, onirici, ma allo stesso tempo hanno una semantica fortemente “terrena”, più che di fuga dalla realtà. Il “mondo altro” è forse uno sprono a vivere con un approccio metafisico e metaforico nel mondo di ogni giorno. Un invito ad interiorizzare la vita, a personalizzarla senza stereotipi a guardare oltre le cose tangibili, ad affrontarla consapevoli degli “assurdi”, dei “controsensi”, dei “colpi di scena” a cui andiamo incontro, gli stessi che sono dentro di noi e che noi stessi possiamo generare. Realtà e realtà immaginifica possono coincidere, nel bene e nel male, sta a noi porci nel punto focale perché ciò avvenga. “Mondo Parallelo” è dunque una chiave di lettura del mondo reale, negativa o positiva dipende da noi. Potremmo definirlo un disco “di acqua” , l’acqua è l’elemento più presente nei brani (forse per influenze lagunari) . L’acqua può essere sogno e metafora della vita come il fiume che ci porta via, inesorabilmente verso “la fine” in “Distrazioni H2O”, ma poi (colpo di scena) torna indietro verso la sorgente! L’acqua stessa è oggettivamente vita! Surreale e reale sono indivisibili, tutto è possibile nel mondo di ogni giorno… nel “Mondo Parallelo”.
In che maniera siete supportati da Puglia Sounds? Sembra che in Puglia ci sia un’isola felice dove tanti progetti come il vostro vengono seguiti e in un certo senso avviati al mondo discografico. Mimmo: Negli ultimi anni abbiamo sempre più apprezzato il modo in cui Puglia Sounds ha iniziato a realizzare contenitori dedicati alle arti che gravitano attorno alla musica (Medimex) oltre a creare opportunità per i musicisti stessi (Bandi Records, Live, etc), sempre in maniera molto radicata con il territorio in cui viviamo. Il nostro è stato uno tra gli oltre 300 progetti che hanno visto la luce quest’anno grazie all’intervento di Puglia Sounds ed è stato attivato attraverso un bando pubblico, con tanto di requisiti giustamente piuttosto stringenti, legati alla realizzazione e alla promozione del progetto musicale stesso. Produrre professionalmente un album con 8-10 canzoni non è una passeggiata, e richiede una coerenza artistica e concettuale che coinvolge diverse professionalità che vanno valorizzate alla stregua del miglior artigiano. E di queste eccellenze ne abbiamo tantissime in Puglia.
Non ho potuto fare a meno di notare tra i ringraziamenti nel booklet del disco un nome importante come quello di Jim Kerr (voce dei Simple Minds), raccontatemi un po’ di questo vostro importante “sponsor”, so che loro hanno molto apprezzato anche una cover che avete pubblicato tempo fa. Nicola: Sia io che Mimmo, siamo sempre stati dei fans storici dei Simple Minds: la sperimentazione dei primi album, i suoni di synth e chitarra così osmoticamente miscelati, al punto che diventava difficile distinguerli, uniti alla voce e al carisma del cantante storico Jim Kerr e ad una sezione ritmica superlativa ci hanno sempre coinvolto molto. Non a caso le nostre “testimonianze” sono state pubblicate nel libro dei Simple Minds “Heart of Crowd,”. Jim è una persona affabile e disponibile nei confronti di tutti i suoi fans. Questo ha dato la possibilità ai Vampiri di inviargli la cover di un loro classico (ma non troppo) “Big Sleep”, durante il primo lock down. Jim ha apprezzato molto il brano e lo ha pubblicato sulla pagina FB social dei Simple Minds plaudendo al coraggio avuto nel reinterpretare quel pezzo, stravolgendone la forma. Per noi UV è stata una soddisfazione indescrivibile, ci ha caricati molto, ci dato l’entusiasmo per portare in studio il nostro progetto.
Ho avuto modo di apprezzarvi in un live streaming al Medimex, avremo modo di vedervi in giro dal Vivo per la promozione del disco? Nicola: Portare a casa quel primo live di 20 minuti per noi è stato molto importante per acquisire consapevolezza e identità come live-band, in quanto era la prima volta che ci esibivamo tutti insieme suonando quei pezzi. Ma è stato soprattutto un grande divertimento tra amici! E’ nato tutto per gioco e per amicizia, la passione ed episodi inaspettati ci hanno indotti a continuare sino al release dell’album. Una cosa è certa: continueremo a divertirci, con la scrittura e la creazione di nuovi brani in studio. Confessiamo che il richiamo del “mondo altro” del live è forte, soprattutto dopo questa prima entusiasmante esperienza Medimex. E i Vampiri sono sempre attratti dai “i mondi paralleli”!
Esce in questi giorni in tutti i negozi di dischi “Alienation” l’album ‘fantasma’ che i Rockets hanno tenuto nel cassetto per ben 40 anni. Grazie alla collaborazione con Zamusica, finalmente possiamo ascoltare questi brani rimasti inediti per così tanto tempo. Per sapere meglio cosa c’è dietro questo lavoro, abbiamo raggiunto il leader della band, Fabrice Pascal Quagliotti.
Fabrice, “Alienation” doveva uscire 40 anni fa, dopo il grande successo di “Galaxy” del 1980, giusto? Come mai è stato bloccato così tanti anni? Sì, è stato registrato tra la fine del 1980 e l’ inizio del1981. Quando registrammo il seguito di “Galaxy” preparammo un altro album, “Alienation” appunto, che non convinse la casa discografica. Non sapevano neanche loro come giustificare il loro “no”, dicendo che non andava bene in quanto “troppo avanti”, insomma ce lo bocciarono sostanzialmente. E il disco è rimasto chiuso nel cassetto. E invece uscì un album dal titolo “Π 3,14” in cui ci sono solo due brani dei Rockets, gli altri no, infatti ci rifiutammo di suonarli, per noi l’album dei Rockets era quello che avevamo prodotto. Quindici anni fa ho acquistato i master del disco che non avevamo più pubblicato e ho deciso di farlo uscire adesso, nel 2021 perché nel 2019 abbiamo fatto uscire “Wonderland”, il nostro ultimo album di inediti e siccome tutto ha un inizio e una fine e al progetto Rockets mancava un tassello, ho aspetto un po’ così coincideva con i 40 anni dalla sua registrazione.
Quali sono le differenze sostanziali tra questo disco che non vi fecero pubblicare e quello che invece poi uscì realmente, appunto “Π 3,14”? La differenza sta nel fatto che “Π 3,14” non lo sento come un disco dei Rockets, è un’accozzaglia di cose copiate, un plagio unico dall’inizio alla fine, tranne due brani che erano nostri e facevano parte di questo “Alienation”. Un disco fatto di corsa con l’ex produttore, discutemmo con lui infatti, facendogli notare che stavamo compiendo un passo sbagliato, difatti non ebbe grosso successo il disco. Per noi l’album era “Alienation”. L’unica cosa bella era la copertina, ma nessuno di noi si riconosce in quel disco. Registrato con tutti i membri originali della band, Christian, i due Alain, Gerard e me.
La registrazione che ascoltiamo oggi è rimasta così come era all’epoca o lo avete un po’ “ritoccato”? Dopo aver acquistato i master ho riversato tutto su hard-disk, è stato fatto un grossissimo lavoro di restauro di mastering, in quanto c’era un grosso problema di umidità, ma le tracce sono quelle dell’epoca sostanzialmente.
Avete previsto un tour di supporto al disco? Difficile dirlo, noi vorremmo. Dovevamo fare un tour in Russia ma non è possibile al momento andare a suonare lì. Probabilmente nel 2022 torneremo a suonare regolarmente. Speriamo…
Come vedi il trattamento che ha subito il settore dello spettacolo in questi due anni? Lo trovo scandaloso. Vanno bene le regole, ma che siano uguali per tutti. Ci sono posti come la chiesa dove non serve il green pass e in un museo o in un teatro sì. Lo stadio sì, ma i concerti no. Così come per i mezzi di trasporto. L’unico settore che è stato penalizzato è quello della musica e delle discoteche. Sono anche d’accordo all’obbligo vaccinale ma lo Stato deve prendersi le proprie responsabilità e che ci sia lo stesso trattamento per tutti.
Contemporaneamente all’album “d’epoca” esce però un brano “nuovo” dei Rockets in formato fisico. Sì, si tratta di “Free”, brano che non trovò posto su “Wonderland” ed è uscito lo scorso anno in digitale come singolo, il fisico ha subito un ritardo invece perché per un periodo durante il lockdown non si trovavano le lacche, i coloranti per stampare il vinile, un vero disastro, oggi per avere un vinile rischi di attendere quattro mesi.
La tua carriera solista invece, nuovi progetti? Recentemente ho suonato sul lago di Como ad agosto, ed anche in Uzbekistan con l’orchestra, e inoltre sto registrando e componendo il mio secondo album solista, dopo il primo “Parallel Worlds” dello scorso anno.
Bene, invitiamo quindi tutti i fan dei Rockets e non solo a procurarsi “Alienation”, che sarà disponibile sia in versione vinile nero che colorato blu elettrico. Entrambe le versioni avranno una tiratura limitata numerata a soli 1000 pezzi. Invece la versione CD, sempre a tiratura di soli 1000 esemplari, oltre a un booklet di 24 pagine con testi conterrà un versione di durata più lunga rispetto al vinile del brano ‘”Collage”. Anche il singolo “Free” sarà disponibile in formato sia CD, 500 copie numerate, e vinile colorato limitato a soli 300 pezzi. Fan dei Rockets, non perdete tempo! Disco consigliato da Wanted Record, via Bottalico, 10 a Bari.
INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 06 OTTOBRE 2021
Sono passati 41 anni da “Polisex”, uno dei più grandi successi di Ivan Cattaneo, incluso nell’album “Urlo” del 1980, predecessore di “Duemila60 Italian Graffiati”, un album in cui l’artista bergamasco riproponeva in una personalissima chiave punk le più belle hit di musica leggera italiana degli anni 60. Il disco ebbe enorme successo, tanto che ne seguirono altri due di album con la stessa formula, “Bandiera gialla” nel 1983 e “Vietato ai minori” nel 1986. Uno dei primi, Ivan Cattaneo, a proporre un progetto così singolare, al contrario di ciò che avviene oggi dove forse le cover sono persino stra-abusate. Così come è stato uno dei primi a proporre dei progetti d’avanguardia sin dal 1975 con l’album l’esordio “UOAEI” in cui proponeva musica sperimentale alla ricerca di un nuovo linguaggio, album tra l’altro molto amato da un certo Lucio Battisti che infatti l’anno dopo portò con sé il batterista Walter Calloni nel suo album “La batteria, il contrabbasso, eccetera”. Da menzionare anche l’album “Superivan” del 1979 in cui le parti strumentali sono affidate alla P.F.M. . Cattaneo non è solo un cantante e un musicista, è un artista poliedrico, la pittura è un altro campo in cui si esprimerà e si esprime tuttora in maniera eccellente. Dieci giorni fa, la casa discografica Soter ha pubblicato un progetto altrettanto singolare, un tributo alla sola canzone “Polisex”, pubblicando un CD per il suo quarantesimo anniversario. Ne parliamo direttamente con Ivan Cattaneo.
Ivan, ci parli di questo lavoro? Certo. L’idea del progetto non è mia, ma della Soter, la stessa casa discografica che nel 2015 aveva pubblicato “Un Tributo Atipico”, un doppio CD contenente ben trenta canzoni mie reinterpretate da altri artisti. Stavolta invece tributano solo una canzone, appunto “Polisex”. Progetto che doveva uscire lo scorso anno per i 40 anni, ma causa pandemia, siamo al quarantunesimo. È un’idea un po’ particolare, un tributo fatto ad una sola canzone interpretata in dieci versioni differenti uno dall’altra. C’è anche una mia nuova versione ricantata e una sempre mia solo voce e chitarra, così come del resto nacque al tempo “Polisex”. Molte canzoni nascono voce e chitarra, o voce e pianoforte.
C’è una versione in particolare che ti ha colpito maggiormente? Mi piace molto la versione di Attilio Fontana, una versione “Bossa Nova”, ma devo dire che son belle tutte, è un bel progetto con delle belle foto all’interno, il tutto curato sempre dalla Soter.
Che significato aveva 41 anni fa “Polisex” e quale significato ha oggi? Il brano è nato al tempo per giustificare ed esaltare la sessualità polimorfa nel senso che era “Polisex”. Ripensando oggi alle varie sfaccettature della sessualità, quelle che oggi chiamano LGBT, già 41 anni fa avevano già una parola che le racchiudeva tutte ed era proprio “Polisex”. Il brano canta proprio quello, parla delle sfaccettature della sessualità che non è mai quello che vogliono farci credere, non è mai bianca o nera, la sessualità è una scatola di pastelli colorati, quando ci dicevano che era bianca e nera era perché erano altri tempi, c’erano tanti tabù, gli omosessuali vivevano più nascosti, era un mondo sotterraneo, mentre oggi ognuno ha la sua libertà e il suo modo di esprimersi senza contrastare gli altri, proprio perché la sessualità è polimorfa.
Il significato di “Polisex” però è ancora attualissimo, non credi? Sì, certo. C’è ancora tanto da lavorare. Quando mi chiedono se è cambiato molto rispondo di sì, ma allo stesso tempo temo non sia cambiato nulla. Per certi versi siamo andati avanti, per altri c’è una forma di razzismo, omofobia e intolleranza che è proprio dentro di noi. Il vero razzismo è quello che si ha dentro, una paura non razionale, ingiustificata.
Infatti oggi si parla molto di leggi contro l’omofobia, il razzismo… Sì, pensa che Alessandro Zan è mio fan da ragazzino. Scherzavamo infatti alcuni giorni fa sul fatto che poteva usare la parola “Polisex” anziché la sigla LGBT, che però è una sigla internazionale, per cui… ma se ci pensi LGBT non è altro che “Polisex”.
Del resto tu sei sempre stato avanti sia con le tematiche che con la musica, negli anni 70 hai in catalogo di dischi da far invidia, però a volte i critici sono un po’ snob, magari relegando sempre un artista solo a ‘determinate canzoni’, non trovi? Figurati, per quello anche Battiato disse di esser stato snobbato. Io certamente ho fatto canzoni da interprete come “Una zebra a pois” ma anche canzoni d’avanguardia. Devo dire che il vero Ivan Cattaneo è quello cantautoriale, quello di “Polisex”, così come anche quello delle ultime canzoni che ho composto per Patty Pravo “La carezza che mi manca” o per Al Bano “Abbaio alla luna”. Bisogna dimostrare di saper fare uno e l’altro secondo me.
E tu lo fai benissimo. Il tuo ultimo lavoro di inediti “Luna presente” del 2005 è un gran lavoro e include una canzone “In /con/ per: amore” che è un gioiellino… Sì, è proprio un bel brano quello, vero. L’arrangiamento in quel pezzo è di Dario Dust, che era il mio tastierista, adesso produce Elodie, Mahmood. Quest’anno a Sanremo aveva ben sei canzoni.
Stai lavorando a qualche progetto prossimo? Sì, si chiamerà “Titanic Orchestra”, si tratta di un disco/progetto teatrale che sarà portato in giro a gennaio, e sarà uno spettacolo di racconti, monologhi e canzoni tutte nuove, inedite.
Come hai vissuto la lunga sosta dovuta al periodo che stiamo vivendo? Farai qualche data estiva? Dovevamo fermarci necessariamente, il virus correva troppo velocemente. Farò sì, qualche data, ma non molte, non si è risvegliata totalmente la situazione soprattutto nelle discoteche.
Tu hai molto da raccontare, hai mai pensato di scrivere un libro? Ne sto scrivendo uno, non è esattamente un libro “da cantante”, più un romanzo autobiografico.
Il CD “Polisex 40th anniversary” è già disponibile in tutti i negozi di dischi e per gli amanti del vinile a breve sarà disponibile anche in vinile nero e picture disc. Disco consigliato da Wanted Record, via G. Bottalico, 10 a Bari.
INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 23 GIUGNO 2021
Per celebrare il loro 40° anniversario, i The Danse Society, hanno pubblicato “Sailing Mirrors”. Per noi è stata una buona occasione per fare una ricca panoramica sulla carriera di una delle più importanti band della new wave insieme al fondatore Paul Nash e alla cantante italiana Maethelyiah.
Benvenuto Paul, mentre scrivo le domande ascolto la mia prima stampa di “Heaven Is Waiting”. Cosa ricordi di quegli anni? Paul: Grazie mille per avermi invitato a fare questa intervista – sei molto gentile e desidero fare un enorme ringraziamento a tutti voi là fuori che supportate la band – ci fate andare avanti in questi tempi difficili! Ebbene 37 anni fa eravamo in studio con Nigel Gray al Surreysound, entusiasti perché era il produttore di Siouxse ed era il nostro primo grande studio / produzione a seguito del nostro importante contratto discografico appena firmato. Sfortunatamente non ha funzionato come volevamo e alla fine siamo tornati ai RAK Studios con Kingbird (Ian Broudie) per ri-registrare e remixare l’album. Ian è stato il nostro salvatore e ha apportato un grande cambiamento al disco che poi sarebbe stato pubblicato come “Heaven is Waiting”. L’unico vantaggio di essere su un’etichetta importante era che potevamo permetterci di farlo e ci hanno supportato perché volevano che fosse anche “fatto bene”. Ancora una volta, per sfortuna, il nostro principale sostenitore all’interno dell’Arista, l’A&R che ci aveva fatto firmare, si accasò presso un’altra etichetta e da quel momento in poi siamo diventati solo un altro nome nel roster, fare un singolo di successo o andare via era la regola del gioco. Ero comunque eccitato all’idea che il mondo ascoltasse “Heaven is Waiting” – ne sono ancora molto orgoglioso oggi – senza voler apparire troppo vanitoso penso che sia un grande disco e resista bene alla prova del tempo.
Quest’anno festeggiate il vostro 40 ° anniversario, come è cambiato il mondo, la tua musica e il music biz dalla vostra fondazione? Paul: Grande domanda! Sono cambiate così tante cose: da dove cominciare? Basti pensare all’industria musicale in generale, all’epoca si trattava solo di far uscire un disco (vinile) per farne uno show lo alla radio nazionale e se si era abbastanza fortunati ottenere un posto nell’unico programma televisivo musicale Top of the Pops. Ora l’industria è incentrata sullo streaming, il prodotto fisico non è importante, contano la presenza sui social media per avere una partecipazione all’ultimo programma televisivo (di cui ce ne sono migliaia) e spesso se una canzone è meravigliosa, l’album non conta, è tutto incentrato sul singolo e poi… nulla. Ovviamente ci sono abbastanza “vecchietti” che amano ricordare i tempi passati, ma mi chiedo come le generazioni future guarderanno indietro al business di adesso e come potranno ascoltare la musica. Con il passare degli anni i cataloghi diventano sempre più grandi, ogni anno viene rilasciata sempre più musica nel mondo e diventa sempre più difficile sfondare. Fortunatamente abbiamo un leggero vantaggio che ci viene garantito dall’essere in giro da così a lungo e abbiamo costruito un seguito fedele verso il quale siamo molto grati. Per quanto riguarda la nostra musica, continua ad evolversi per cui sono sempre molto entusiasta di sentire cosa verrà dopo. Ci sono alcune sorprese su “Sailing Mirrors” e sono sicuro che ce ne saranno alcune anche nel prossimo album. Da quando abbiamo iniziato negli anni ’80 non riesco a trovare due dischi che abbiamo fatto che suonino allo stesso modo. Sto ancora esplorando il mondo della musica e mi eccito tanto quanto chiunque altro quando sento qualcosa di nuovo e diverso. Quando le band suonano gli stessi suoni e iniziano a ripetersi, è il momento in cui perdo l’entusiasmo.
Quanto è stato importante il ruolo di John Peel per il vostro successo? John Peel era una leggenda: prima ancora di averci passato nel suo spettacolo e offerto serate a Londra, ascoltavamo tutti religiosamente ogni suo spettacolo. Ascoltavamo per scovare qualche nuova band o un brano, era l’unico modo per cogliere l’onda di ciò che stava accadendo ed erano tempi emozionanti, la fine del punk l’inizio del post punk, la new wave, l’inizio della musica elettronica e l’ascesa del synth. Mi vengono ancora i brividi a pensarci. Senza di lui sono sicuro che ci sarebbe voluto molto più tempo per raggiungere il nostro pubblico e costruire un seguito, e i ricordi legati alle sessioni di registrazioni al Maida Vale sono molto speciali. Ascoltare la trasmissione e trovare te stesso è stato strabiliante. Ho adorato lo show di John Peel e mi sento molto privilegiato ad averne fatto parte.
Tre dischi tra il 1982 e il 1984, poi il silenzio: cosa è successo veramente dopo l’uscita di “Looking Through”? Paul: “Looking Through” non era altro che una serie di demo buoni per cercare di ottenere un accordo dopo che era finita con l’Arista e ci siamo approcciati a Virgin e Warner, ma non è mai venuto fuori nulla – le frustrazioni sono arrivate e tutto è andato in pezzi. A quel punto eravamo abituati allo stile di vita delle rock star, ma non lo eravamo mai stati veramente e così alla fine Steve se ne andò per fare cose per i “Society” a Londra prima di andarsene a LA; noi provammo a raccogliere i pezzi e reclutammo Mark Copson dai Music for Pleasure (la vecchia band di Dave Whittaker) e registrammo un intero album. Abbiamo fatto alcuni concerti con il nome The Danse Society prima di cambiarlo in Johnny in the Clouds – poi tutto si è interrotto di nuovo, mi sono messo così a registrare del materiale con Andy O dei Blue Zoo. Poi sono entrato a far parte dei Party Day quando ormai avevo perso la gioia per la musica, originariamente producendoli e poi unendomi a loro come chitarrista, il che è stato fantastico perché abbiamo suonato molti concerti energici. Dopo di che avevo bisogno di lavorare, quindi ho trovato un impiego come gestore di un negozio di fumetti e ho fatto vendita al dettaglio per la Whil, prima di riqualificarmi in ambito informatico e insegnare.
Il vostro album di ritorno, “Change Of Skin”, è uscito, dopo 25 anni, nel 2011 con un tocco di Italia: la cantante italiana Maethelyiah: come sei entrato in contatto con lei? Paul: All’inizio non sapevo del suo coinvolgimento – Dave ha detto che aveva dato alcuni brani a una cantante per provare e io ero disponibile a dargli un ascolto. Ovviamente eravamo tutti frustrati dal fatto di non essere in grado di entrare in contatto con Steve, ma sapevamo tutti che non sarebbe successo più successo dopo sei mesi in eravamo rimasti bloccati con 13 grandi canzoni senza voce. Sono stato felicissimo quando ho sentito la voce nelle tracce che finalmente erano state ultimate, il sound era tornato e avevamo una cantante fantastica. Maeth: Ho contattato la band perché all’epoca stavo lavorando per un pezzo di un blog musicale, che non ho mai avuto il tempo di pubblicare. Mi sono imbattuta accidentalmente nei TDS sul Tubo e ho trovato un commento che menzionava il loro ritorno, quindi mi sono messa in contatto con la band sulla loro pagina FB. Chiacchierando, la persona che la gestiva mi ha detto che il nuovo album “Change of Skin” era stato completamente registrato, ma anche che Steve era scomparso dopo aver registrato una traccia. Ha notato che stavo già cantando “Blooding Mask”, quindi mi ha chiesto se sarei stata felice di essere messa in contatto con la band per sostituire Steve, se tutti fossero stati favorevoli. Ovviamente ho accettato e abbiamo iniziato a scambiare file dal gennaio 2011. Alla fine il 17 aprile 2011 ci siamo incontrati tutti e la notizia è stata data ufficialmente. Da allora è stata un’avventura fantastica. Non abbiamo idea di cosa sia successo a Steve e spero che stia bene. Sono contento che abbiano scelto me. Nessun cantante maschio avrebbe potuto gareggiare con la presenza e la creatività di Steve ed era tempo di evolversi in qualcosa di originale. Sempre più pubblicazioni vanno oltre il genere da quando lo abbiamo fatto anche noi. Il dottor Who e 007 stanno aprendo le porte alle reincarnazioni femminili. Sconfigge la prevedibilità e si tuffa nell’infinito. Orgasmico!
Cosa ricordate del vostro concerto al Wave-Gotik-Treffen nel 2012? Paul: Ricordo che è stato piuttosto snervante perché era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ci eravamo esibiti di fronte a un vasto pubblico, ma una volta che siamo arrivati lassù, l’ho adorato: è stato molto divertente. Penso che la risposta sia stata piuttosto positiva anche se sapevamo che ci sarebbero stati alcuni detrattori a causa della mancanza di Steve. Guardando il video ci sono stati alcuni deludenti problemi audio, ma è stato veramente bello tornare su un grande palco. Maeth: È stata un’esperienza positiva e cattiva. Bene perché i fan tedeschi sono magnifici e la gestione è stata fantastica. Pessimo perché in qualche modo abbiamo avuto problemi con il suono sul palco e abbiamo finito per suonare con metà della band. Le tastiere erano troppo basse e le chitarre troppo rumorose. Sembravamo una band metal. Personalmente mi sono divertita molto. Mi sono sentita la benvenuta. Sono molto grata anche se non abbiamo suonato al meglio.
Potreste presentare la vostra formazione attuale? Maeth: Membro fondatore e chitarrista Paul Nash, Maethelyiah alla voce solista, Tom Davenport alla batteria, Jack Cooper al basso e Sam Bollands alle tastiere. Abbiamo anche un altro membro che ci sta aiutando a suonare strumenti aggiuntivi e si chiama Jono (Jonathan, anche nella band Momento Mori). Paul: Un branco di bastardi!
Il 2020 è l’anno del vostro settimo album, “Sailing Mirrors”, come è nato? Maeth: Dopo cinque anni dalla pubblicazione di “VI” e dopo aver dovuto sostituire il nostro batterista Iain Hunter con Joss Rylance, abbiamo finalmente consolidato la band con Tom Davenport alla batteria. Tom è anche un ottimo autore. Così abbiamo deciso di lanciare tutte le demo inedite, vecchie e nuove e ascoltarle tutte. Alla fine avevamo materiale per un doppio album. Tuttavia, con il lockdown abbiamo dovuto congelare il nostro tour europeo, quindi abbiamo deciso che quest’anno sarebbe stato uno spreco totale e abbiamo deciso di pubblicare solo una selezione di canzoni. “Sailing Mirrors” ha vinto per il titolo. Viene da un demo inedito che ho scritto nel ’98 e che l’intera band, incluso l’ex tastierista David Whitaker, ha reso assolutamente speciale. Sono molto orgoglioso di “Sailing Mirrors”. Le recensioni che stiamo ricevendo affermano che è il migliore finora.
Goth, punk, post-punk, orchestrazioni, DnB e blues: è questo il vostro album più vario? Paul: Non lo so – personalmente penso che suoni omogeneo ma capisco quello che dici, tuttavia è sempre stato così – tutti ascoltiamo una vasta gamma di stili musicali e tutti mettiamo quelle influenze nel crogiolo. Chissà cosa potrebbe venire ancora fuori. Per il bene dell’album non deve esserci un genere o uno stile specifico Perché sarebbe noioso. Maeth: Ogni membro della band porta le proprie vibrazioni. Veniamo tutti da un background musicale diverso. Vengo dall’opera e dalla darkwave, ma collaboro anche con band prog e metal. Paul è un vero maestro del post punk il cui stile influenza ancora molti chitarristi più giovani, ma ama anche il jazz e non ha restrizioni di genere. Jack è estremamente talentuoso e ama il funk. Sam è un magnifico pianista classico che mi ha fatto piangere anni fa a teatro quando ha eseguito “Jesus Christ Superstar” con un locale compagnia teatrale. Tom ha un enorme archivio degli anni ’70 ed è estremamente versatile e suona anche la chitarra acustica. Tutti loro, tranne Sam, hanno voci fantastiche. Sono fortunata!
Avete testato le nuove canzoni sul palco prima del blocco? Maeth: Abbiamo suonato “Kill U Later”, “Valerio’s Theme” e “Pill of Delusion” (che non è inclusa nell’album) durante il nostro tour europeo in Portogallo, Finlandia, Paesi Bassi e nel Regno Unito. Sono il collegamento tra la vecchia e la nuova generazione di sostenitori e siamo stati fortunati a vederli “ballare” insieme ai nostri concerti!
La mia ultima domanda non riguarda i The Danse Society: alcuni anni fa sono stato uno dei fortunati presenti al primo concerto dal vivo de Il Segno del Comando a Genova con Maethelyiah, come ospite. Cosa ricordi di quella serata magica? Maeth: Il Segno del Comando è una band fantastica! Diego è un mio amico di lunga data, forse da una vita precedente. Diego, Fernando e Roberto condividono già il mio altro progetto Blooding Mask dal 2010 quando siamo stati insieme in tour nel Regno Unito. Il concerto a La Claque è stato incredibile. Il Segno del Comando è un’altra band che non ha paura di sperimentare voci maschili e femminili. Condividere il palco con Riccardo è stata una gioia totale. Sono tutti musicisti incredibili e amici fantastici. Paul e io abbiamo davvero adorato quel concerto! Ci è piaciuto così tanto che abbiamo preso parte anche al loro ultimo album. La Brexit è una stronzata. Non crediamo nei confini. Paul: Sono così felice che tu l’abbia visto – suonare con quei fantastici musicisti è stato un privilegio, così come ricevere la richiesta di essere uno degli ospiti nei loro ultimi due dischi – sono un ragazzo così fortunato! Che possa continuare a lungo.
To celebrate 40th anniversary, The Danse Society released “Sailing Mirrors”. A good opportunity to get a rich carreer overview of one of the most important new wave bands together with the founder Paul Nash and the Italian singer Maethelyiah.
Welcome Paul, I’m writing my questions and listening to my first press copy of “Heaven Is Waiting”. What do you remember about those years? Paul: Thank you so much for inviting me to do this interview – you are very kind and I wish to a massive thank you to all of you out there who support the band – you keep us all going in these troubled times! Well 37 years ago we were in the studio with Nigel Gray at Surreysound, excited as he was the producer for Siouxse and it was our first big studio/production for our newly signed major record deal. Unfortunately it didn’t quite work out as we wanted and we ended up going back into RAK studio with Kingbird (Ian Broudie) to re-record and remix the album. Ian was our savior and made a real change to the record that was to be released as ‘Heaven is Waiting’. The one advantage of being on a label was that we could afford to do that and they supported us as they wanted it to be ‘right’ too. Again as luck would have it, our main supporter at Arista and the A&R man who had signed us, then departed to another label and from that point on we were just another act on the roster, make a hit single or get out was the basic attitude. I was excited though for the world to hear ‘Heaven is Waiting’ – I’m still very proud of it today – without sounding too big headed I think it’s a great record and stands the test of time.
This year you are celebrating your 40th anniversary, how is changed the world, your music and the music biz from your foundation? Paul: Big Question! So much has changed – where to start? Just think of the music industry in general, back then it was all about getting a record out (vinyl) getting a play on national radio and if you were lucky enough getting a spot on the only music TV programme Top of the Pops. Now the industry is all about streaming, physical product is not important, social media presence, getting your music on the latest TV show (of which there are thousands) and often it’s one song wonders, albums don’t matter, its all about the one song and then…gone. Of course there are enough ‘oldies’ about to remember the times past but I wonder how future generations will look back on the business now and how they might listen to music. As years go by the catalogues get larger, every year more and more music is released into the world and it gets harder and harder to break through to more people. Fortunately we have a slight advantage in being around for so long we have built a loyal following for which we are very grateful. As for our music it continues to evolve for which I am always very excited to hear what will come next. There are a few surprises on Sailing Mirrors musically and I am sure there will be a few different ones on the next album. Even back when we first started in the 80s I can’t think of two records we did that sounded the same. I am still exploring the world of music and get just as excited as anyone else when I hear something new and different. When bands play to the same sounds and begin to repeat themselves that’s when I switch off.
How was important the role of John Peel in your success? Paul: John Peel was a legend – before we even got to be played on his show and offered sessions in London we all listened religiously to every show. Listened to hear some new gem of a band or tune, it was the only way to catch the wave of what was happening and it was exciting times, the end of punk the start of post punk, new wave, the beginning of electronic music and the rise of the synth. It gives me shivers now to think about it. Without him I am sure it would have taken much longer to reach our audience and build a following, and the memories of recording the sessions at Maida Vale were very special. Listening to the broadcast and hearing yourself was mind blowing. I loved the John Peel show and feel very privileged to have been a part of it.
Three records between 1982 and 1984, after the silence: what is really happened after the release of “Looking Through”? Paul: Looking Through was only a set of demos to try and get a deal after being dropped by Arista and we got close with Virgin and Warners but it never came off – frustrations set in and it all fell apart. We were used to the rock star lifestyle by then, but it wasn’t meant to be and eventually Steve left to do the ‘Society’ thing in London before going to LA, and we were left to try and pick up the pieces, first we recruited Mark Copson from Music for Pleasure (Dave Whittaker’s old band) and recorded an album’s worth of tracks. We did a few gigs with the Danse Society name before eventually changing it to ‘Johnny in the Clouds’ – then it all broke down again, I was left recording some material with Andy O from Blue Zoo. I then joined local band ‘Party Day’ having missed the fun of music, originally producing them and then joining them as guitarist which was great playing a lot of loud energetic gigs. After that I needed to work so got a job managing a comic shop and did retail for while before retraining in IT and teaching.
Your comeback album, “Change Of Skin”, was released, after 25 years, in 2011 with a touch of Italy: the Italian singer Maethelyiah: how did you get in contact with her? Paul: I had no knowledge of her involvement at first – Dave said he’d given a few tracks to a female singer to have a go at and would I be prepared to give them a listen. Of course, we were all frustrated with no being able to get hold of Steve but we all knew that wasn’t going to happen after 6 months so we were stuck with 13 great tracks with no vocals. I was delighted when I heard the voice on the tracks it finally had all come together, the sound was back and we had an awesome vocalist. Maeth: I contacted the band because at the time I was working on a music blog magazine, which I never had the time to publish. I accidentally bumped into TDS on The Tube and found a comment mentioning the reformation, so I got in touch with the band on their FB page. Chatting with the person who was managing it, she said that the new album “Change of Skin” was fully recorded but also that Steve disappeared after recording one track. She noticed I was already singing with “Blooding Mask” so she asked me if I was happy to be put in touch with the band to replace Steve if everybody was happy. Of course I accepted and we started exchanging files since January 2011. In the end on the 17th April 2011 we all met up and the news was officially given. Since then it has been a fantastic venture. We have no idea what happened to Steve and I hope he’s ok. I am glad they chose me. No male singer would have competed with Steve’s presence and creativity and it was time to evolve into something original. More and more releases are going beyond the genre since we did. Dr Who and 007 are opening the doors to female reincarnations. It defeats the predictability and dives into infinity. Orgasmic!
What do you remember about you gig at Wave-Gotik-Treffen in 2012? Paul: I remember it was quite nerve wracking as I had been quite a while since we had been in front of a large audience but once we got up there I loved it – so much fun. I think the response was pretty positive although we knew there would be a few detractors because of the lack of Steve. Watching the video back there were a few sound issues which was disappointing but it was so good to back on a big stage. Maeth: It was a good and a bad experience. Good because German supporters are magnificent and the management was awesome. Bad because somehow we had issues with the sound on stage and we ended up sounding like half the band. The keyboards are far too low and the guitars far too loud. We sounded like a fully metal band. I enjoyed myself a lot personally. I felt welcome. I am very thankful even though we didn’t sound at our best.
Could you introduce your actual line up? Maeth: Paul Nash founder member and guitarist, Maethelyiah on lead vocals, Tom Davenport on Drums, Jack Cooper bass and Sam Bollands on Keys. We also have an additional member who’s helping us out playing additional instruments and his name is Jono (Jonathan, also from the band Momento Mori). Paul: Bunch of bastards!
2020 is the year of your seventh album, “Sailing Mirrors”, how is born? Maeth: After five years since we released “VI” and after having to replace our drummer Iain Hunter with Joss Rylance, we finally consolidated the band with Tom Davenport on Drums. Tom is also a very good songwriter. So we all decided to throw all unreleased demos, old and new and listen to all of them. In the end we had material for a double album. However, with lockdown we had to freeze our European tour, so we decided this year wasn’t going to be a total waste and decided to only release a selection of songs to record and release. Sailing Mirrors won the title. It comes from an unreleased demo I wrote in ’98 and that the whole band, including ex keyboard player David Whitaker made absolutely special. I am very proud of Sailing Mirrors. The reviews we are receiving are claiming it is the best so far.
Goth, punk, post-punk, orchestrations, DnB and blues: is this your more various album? Paul: I don’t know – I think it sounds consistant personally but I get what you are saying however its always been that way – everyone listens to a wide range of musical styles and everyone puts those influences in the melting pot. Who knows what might come out. The best stuff makes to the album it doesn’t have to be a specific genre or style that would be boring. Maeth: Every band member brings his own vibes. We all come from different music background. I come from Opera and darkwave, but I also collaborate with prog and metal bands. Paul is proper post punk master whose style still influences many younger guitarists but he also loves Jazz and has no genre restriction. Jack is an extremely talented and loves funk. Sam is a magnificent classic pianist who got me in tears years ago in theatre when he performed Jesus Christ Superstar with a local theatre company. Tom has a huge 70s archive and is extremely versatile and plays acoustic guitar as well. All of them, except for Sam, have fantastic voices. I am lucky!
Did you check the new songs on stage before the lockdown? Maeth: We performed “Kill U Later”, “Valerio’s Theme” and “Pill of Delusion” (which is not included in the album) during our European Tour in Portugal, Finland, Netherlands and in the UK before. They are the connection between older and newer generation of supporters that we were lucky to watch “dancing” together at our gigs!
My last question is not about The Danse Society: some years ago I was one of the lucky people at first live gig of Il Segno del Comando in Genoa with Maethelyiah, guest appearance. What do you remember about that magic evening? Maeth: Il Segno del Comando is a fantastic band! Diego is a long friend of mine, possibly from a previous life. Diego, Fernando and Roberto already share my other project Blooding Mask since 2010 when we toured the UK together. The gig at La Claque was incredible. Il Segno del Comando is another band not afraid to experiment male and female vocals. Sharing the stage with Riccardo was a total bliss. They are all incredible musicians and awesome friends. Paul and I really loved that gig! We enjoyed it so much we took part of the latest album as well. Brexit is bullshit. We don’t believe in borders. Paul: So glad you saw that – getting to play with these fantastic musicians is a privilege as was being asked to guest on the last two records – I’m such a lucky boy! Long may it continue.