Sabato 28 maggio presso la Club House degli Indian Bikers di Matera si esibiranno i Comfy Pigs, band che propone delle sonorità che vanno dal post punk, noise pop al garage punk. Per l’occasione abbiamo intervistato Ivan Piepoli, cantante e chitarrista della band e il batterista Vanni Sardiello.
Avete pubblicato un paio di anni fa un 45 giri, state progettando un album intero? Ivan: Abbiamo pubblicato il nostro singolo d’esordio, “Bored” sul finire del 2019, poco prima dei fatti noti legati alla pandemia, purtroppo le copie fisiche del disco riuscimmo ad averle solo dopo il primo lockdown, nell’estate del 2020. Questo ovviamente ha inciso negativamente sulla promozione dello stesso. Oggi, che la situazione sembra migliorata, abbiamo iniziato a registrare le tracce del nostro primo album. Attualmente abbiamo approntato tutta la parte strumentale dell’intero repertorio, successivamente ci dedicheremo alla registrazione delle voci e al missaggio. Parallelamente ci stiamo guardando attorno per riuscire a trovare un contatto con qualche etichetta discografica che ci aiuti nella pubblicazione e distribuzione del nostro lavoro. Vanni: Sì, abbiamo registrato 17 brani scritti in questi tre anni di attività, brani dalle molteplici influenze ma che comunque si spera abbiano il nostro marchio di fabbrica. Siamo in continua evoluzione sonora, immagino che si possano sentire delle notevoli di differenza a livello di scrittura e di arrangiamento tra le nostre prime cose e le ultime scritte. Al momento mancano solo da registrare le parti vocali, non abbiamo ancora idea di quando potrà uscire su vinile, e di sicuro faremo una cernita di tutto il registrato, per tornare a fare i dischi come si faceva una volta, 45 minuti massimo, in modo tale da poterlo duplicare agevolmente su una audiocassetta da 45 minuti, del resto siamo o no figli degli anni 80/90?
Ci sono voci di cambiamento/ampliamento line-up? Qualche anticipazione? Ivan: Sì, dopo 3 anni di attività ho deciso di allargare l’organico della band ad un quarto elemento che mi sostituisca addirittura nel ruolo di cantante e chitarrista, in modo tale da potermi dedicare prevalentemente alla parte compositiva e strumentale, suonando sia la chitarra che il synth, una delle novità assolute per i Comfy Pigs, e che stravolga prepotentemente l’impatto scenico della band durante i live, ed il sound generale del nostro progetto musicale. Gli altri della band hanno accettato la mia proposta con grande entusiasmo, e insieme abbiamo cercato la soluzione più consona al nostro modus operandi. Ad oggi abbiamo provinato qualche “candidato”, ma il risultato per ora rimane “top secret”. Di sicuro entro l’anno i Comfy Pigs vivranno una nuova vita artistica. Vanni: Abbiamo pensato e ripensato ad una soluzione possibile per un ampliamento della line-up, in particolare per un’esigenza primaria di avere un frontman con una forte presenza scenica, con una voce particolare e che potesse lasciare libero Ivan di potersi concentrare sulle chitarre, soprattutto live. Stiamo facendo delle audizioni attualmente, ma forse abbiamo già trovato la persona che può fare al caso nostro. Ma è ancora tutto volutamente “top Secret”, penso che se tutto andrà come immaginiamo, potremmo essere pronti per suonare dal vivo con la nuova formazione a partire da settembre.
Che concerto ci aspetteremo sabato, quindi? Ivan: Sabato a Matera ci esibiremo ancora nella nostra forma storica a tre, con me alla voce e alla chitarra, Danilo Villafranca al basso e Vanni Sardiello alla batteria. Avremo l’occasione di proporre tutti i nostri brani, compreso un inedito che suoneremo per la prima volta, e un paio di cover. Mi sembra strano pensare che questo live potrà essere l’ultimo per me come cantante della band. Vanni: Il classico concerto infuocato dei Comfy Pigs, nella classica line- up power trio batteria basso chitarra, avendo molto tempo a disposizione, di sicuro non ci risparmieremo, probabilmente suoneremo anche un pezzo nuovissimo ed un paio di cover provate per l’occasione e che abbiamo decisamente Comfyzzato.
Come è nato il vostro gruppo? Avete alle spalle ognuno di voi un proprio background. Ivan: La nostra band è nata dall’amicizia e la passione comune per la musica che lega me e Vanni Sardiello. Vanni veniva da un lungo periodo di stop artistico, io invece stavo accantonando la mia esperienza con i Baby Screams, tribute band dei Cure, per tornare a lavorare alla musica inedita, che non ho mai abbandonato. A noi poi si è aggiunto il bassista Danilo Villafranca, permettendoci di metter su un power trio di matrice post punk, genere che proprio in quel momento stava tornando fortemente in auge, grazie all’affermazione di band internazionali come Idles o Fontaines DC, per citarne alcune. Vanni: I Comfy Pigs sono nati principalmente dall’amicizia tra me e Ivan e dal desiderio di suonare insieme qualcosa di inedito e che in qualche modo potesse far confluire tutto il nostro background di ascoltatori e musicisti. Danilo al basso è stata una scelta più che azzeccata perché ha portato dentro il nostro suono post-punk, quell’elemento più lercio tipico del garage punk. Per quanto mi riguarda, ero fermo con la batteria da circa dieci anni, completamente dedicato altresì al lavoro. Nel mio passato, le esperienze più importanti sono state i Veronika Voss all’inizio degli anni ’90 e poi i Lillayell a Pisa negli anni 2000, insieme a quello che contemporaneamente è diventato il batterista dei ben noti Zen Circus, che però nel nostro power trio si occupava di chitarre e voci.
Suonando da tanti anni, che differenze notate nella possibilità di suonare nei locali oggi rispetto a 20/30 anni fa? È più facile e/o quali sono le differenze invece? Ivan: Dopo due anni di blocco forzato per la musica in generale, sembra che ci sia una grandissima voglia di live. Questo ci sta portando a vivere una “nuova era” in cui paradossalmente stiamo tornando a fare musica in tanti luoghi diversi, dalle sale concerto ai piccoli bar, dai club alle librerie, e la cosa bella è che ci sia una grande richiesta di musica inedita. Il panorama delle band emergenti è molto attivo e interessante, sarebbe sprecato non dare la possibilità a questi talenti di esibirsi davanti ad un pubblico per farsi conoscere ulteriormente. Per noi musicisti “di vecchia data” in parte è un bel ritorno al passato, quando si suonava live molto spesso e nei posti più disparati. Vanni: Domanda complessa, difficile da risolvere nelle poche righe a disposizione. A rischio di essere scontato, la situazione è piuttosto complicata in quanto da troppi anni mancano i posti i cui gestori siano appassionati di musica e non solo commercianti il cui interesse è solo quello di vendere le birre per un pubblico generalista amante delle cover band. Sembra quasi si debbano elemosinare i concerti per i gruppi non allineati alla massa. Forse qualcosa sta cambiando ora che c’è molta fame di concerti, soprattutto dopo questi due maledetti anni di “quasi” stop. Ma siamo ben lontani dagli anni 80 e 90 in cui le situazioni venivano anche create in totale autogestione, pur di far suonare le band che meritavano di salire su un palco perché avevano qualcosa da dire. Vedremo…
INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 25 MAGGIO 2022
“Carnage” (Icy Cold Records / Audioglobe / Metaversus Pr) è il titolo scelto dai The Black Veils per il proprio terzo disco, un concept album che, muovendosi tra citazioni cinematografiche, si propone come ideale colonna sonora di questi strani anni di pandemia.
Ciao ragazzi, da qualche mese è fuori il vostro terzo lavoro, “Carnage”, vi andrebbe di fare un primo bilancio? Gregor: Nella carneficina psicofisica e morale che hanno rappresentato gli ultimi due anni, direi che a uscirne fuori meglio forse è stato proprio il nostro album. Siamo sicuramente entusiasti dell’accoglienza che ha ricevuto, nonostante i concerti siano stati ridotti all’osso. Mario: Bilancio positivo sia numerico (streaming digitali, vendite cd e vinili) sia di accoglienza: il disco precedente è uscito nel 2017, quindi si è venuta a creare un po’ di attesa che ci ha aiutati nel lancio di “Carnage. Per poter cavalcare quest’onda abbiamo concordato con la nostra etichetta di base francese, Icy Cold Records, di anticipare l’uscita del disco con il rilascio di alcuni singoli e i loro remix (prodotti da Geometric Vision, Hapax, The Foreign Resort) come b-side.
“Carnage” è il vostro terzo disco, quello che nella tradizione rock viene visto come il più importante nel percorso di crescita di una band: credete di esservi giocati al meglio le vostre carte in vista di questo traguardo simbolico? Gregor: Non c’è stata alcuna strategia se non quella di assecondare una certa sinergia, la volontà di convogliare le nostre energie, la nostra rabbia, il nostro spaesamento in un lavoro che è più degli altri album corale, partecipato. Mario: “Carnage” è un disco decisamente diverso dai precedenti (“Blossom” e “Dealing With Demons”) per molti motivi: è il primo disco con il nostro batterista Leonardo, è il primo disco in cui le fasi di registrazione, mixaggio e mastering sono state distribuite su diversi professionisti del settore, è il primo nostro disco prodotto cercando di restituire l’impatto che possiamo avere suonando dal vivo su un palco. In definitiva sono personalmente soddisfatto del risultato ottenuto. Leonardo: Fermo restando che non c’è mai un limite quando si parla di “giocare al meglio le carte”, credo in tutta onestà che “Carnage” sia un disco validissimo, di cui andiamo molto fieri, non per motivi di ego, ma per ragioni più profonde. Contiene una maturità nel linguaggio e nelle intenzioni che bastano perché possa affermarsi tra i precedenti. Con l’aggiunta delle batterie, la band, in quest’ultimo lavoro, penso possa affacciarsi ad un pubblico più variegato rispetto a “Blossom” e “Dealing With Demons”. Il sound nell’insieme presenta la band come qualcosa di crudo e feroce, ma ascoltando singolarmente i brani si possono notare molte più sfumature, come barocchismi vari, note vocali più romantiche, intenzioni meno cruente (nel caso di “Phantom Limb Syndrome” o “LamourLamort”) che si contrappongono a veri e propri scenari da guerriglia urbana (vedi “Hyenas”). Non so se si può considerare un traguardo, ma sicuramente un buon punto di partenza. Filippo : Mi faceva decisamente paura questo terzo disco, lo ammetto. Sentivo la necessità di qualcosa di diverso, senza ovviamente snaturare ciò che siamo, ma il timore era che gli altri avessero idee inconciliabili con le mie. In realtà è venuto tutto in modo naturalissimo. In questo, ritengo, sia stato fondamentale l’apporto di Leonardo, in termini di concetti e di messa in atto. Da bassista, avere nella band un batterista (che pesta anche in modo considerevole) influenza e non poco la dinamica e l’intensità del suono. Non so poi se ci siamo giocati bene le nostre carte, di certo dalle differenze tra i vari brani viene fuori il nostro essere totalmente bipolar, eheh
“Carnage” è un titolo forte, me lo spiegate? Gregor: So solo che era l’unico titolo possibile, l’unico che rispecchiasse in una sola parola il concept del disco. È un album che parla di vittime e carnefici, del percepirsi e raccontarsi vittime ma dell’essere al contempo carnefici e viceversa. È il gioco al massacro delle relazioni e della cosiddetta società civile. Filippo: E poi ci piace tanto Roman Polanski, era giusto omaggiarlo, eheh
Il disco è anche ammantato da una vena di black humor: dato il tema importante del disco, non temete di essere fraintesi in alcuni passaggi? Gregor: Sono convinto che l’ironia e il dissacramento dei temi importanti non debbano essere temuti, ma accolti come la conferma dell’importanza degli stessi. Ogni grande dramma della Storia dell’uomo è stato vittima di un ridimensionamento comico o parodico: in questo caso non si tratta nemmeno di parodiare, ma di essere ancora più ferali, di cantare frustrazioni e turbamenti sociali e intimi davvero terribili prendendoli dannatamente sul serio, perché non c’è niente di più serio dell’ironia. In qualche modo è come se si danzasse sulla propria tomba. E a guardare la società che abbiamo costruito mi pare sia la cosa più seria da fare. Forse l’unica.
Il disco è stato scritto prima del lockdown, però la copertina in qualche modo mi sembra influenzata da quel periodo di cattività casalinga. Vedere quella abitazione sospesa nell’aria, così simile a una prigione… Gregor: Eppure la copertina è stata ultimata da YURI (@mynameisyuri) nel dicembre 2019. Al massimo è un presagio! O forse ha portato semplicemente sfiga. Chiediamolo a lui! Mario: La casa, le mura domestiche, la propria abitazione ha ora più che mai, una doppia valenza: da un lato un luogo conosciuto, familiare, confortevole e sicuro, dall’altro un luogo (letteralmente e allegoricamente) in cui restare imprigionati. Nel nostro concept la casa entra a far parte di quel senso del doppio ruolo che permea l’intero disco (vittima e carnefice, iene e conigli…).
Mentre il sound, al contrario, sembra muoversi nella direzione opposta, fatto per non essere ascoltato in casa ma su un palco… Gregor: Esatto. Abbiamo voluto restituire il nostro sound “live” senza fronzoli e senza orpelli di sorta, mantenendo volutamente intatte anche piccole imperfezioni. Mario: Come anticipavo è stata una scelta di impatto. Ci piace vedere il nostro pubblico ballare e divertirsi sotto il palco e ci piace immaginare che lo possano fare anche a casa, al mare, a lavoro, ascoltando “Carnage”.
In questo senso, avete già testato la resa live dell’album? Gregor: Ancora troppo poco per i nostri gusti, date le chiusure varie ed eventuali. Ma il primo concerto al Covo dopo due anni davvero provanti, nella nostra città, Bologna, è stato memorabile. Almeno per noi. Mario: Il momento storico è molto delicato un po’ per tutte le parti: da un lato locali, club, sale da concerto, con i loro format e organizzatori, dall’altro lato ci sono gli artisti, le band, i performer. La situazione sta ripartendo, seppur lentamente, ma bisogna ritrovare la fiducia di ricominciare!
“Carnage” è un disco fortemente “cinematografico” ricco di citazioni alla settima arte, vi andrebbe di ricapitolarne almeno quelle consce? Gregor: Sicuramente ci sono Bette Davis e Joan Crawford in “Lamourlamort”. E poi c’è Gian Maria Volonté in “This Is Going to Hurt”, citato un po’ a caso, ma mai a caso. Poi ci sono tante immagini e piccole citazioni che assorbo anche mio malgrado. Filippo: Se posso, mi piace ribadire come anche nei dischi precedenti ci fossero diversi riferimenti cinematografici. Basti pensare al titolo di un brano, ”The Wicker Man”, tratto da “Dealing With Demons”. Il rimando all’omonimo capolavoro folk-horror di Robin Hardy è evidente, E badate bene, non è sfoggio gratuito o cosa! Siamo consumatori assidui di film e libri. Altro che sesso, droga e rock’n’roll.
Come detto, il disco, anche se è uscito lo scorso novembre, è pronto già da un po’ di tempo: non è che per caso avete già del nuovo materiale per il prossimo album? Gregor: La questione è tanto tragica quanto semplice: durante la nuova ondata di contagi e l’ennesima chiusura dei club si trattava o di deprimersi mangiando chili di gelato davanti alla TV (che comunque, ci tengo a precisarlo, resta per me pratica nobilissima) o di cavalcare un po’ della carica, dell’energia e della sinergia che, fortunatamente, unisce tutti e quattro noi. Quindi, sì: siamo al lavoro su altri brani. Ma ce la stiamo prendendo molto comoda, perché l’intento è principalmente quello di tornare a suonare “Carnage” dal vivo. Che è stato il nostro intento fin dal principio. Mario: “Carnage” è per noi molto divertente da suonare e portare in giro su e giù dai palchi. Stiamo fremendo nel confermare le prossime date del tour promozionale e non vediamo l’ora di riprendere i live a pieno regime. Filippo: Come ribadito dai ragazzi, al momento siamo concentratissimi sull’organizzazione del tour promozionale di “Carnage”. Fremiamo per tornare a suonare. Detto ciò, conoscendo i soggetti in questione da anni, sono sicuro che Greg abbia già scritto una quarantina di testi e Mario ha già composto, mixato e masterizzato i prossimi tre dischi! Sono dei vulcani attivi in continuo fermento.
Gli You, Nothing sono un giovane quartetto con sonorità che oscillano tra lo shoegaze, il dream pop e il post punk che si sta ritagliando uno spazio di tutto rispetto nell’attuale panorama underground tricolore. Un notevole gusto pop per le melodie e un’aggressività chitarristica di matrice quasi punk, che può ricordare l’irruenza di pesi massimi quali Buzzcocks e Siouxsie and the Banshees. Anticipato dai singoli “Waves”, “Reflectie” e “Gazers”, “Lonely//Lovely” è il loro album d’esordio uscito il 7 Maggio per Floppy Dischi, Non Ti Seguo Records e Dotto.
Ciao ragazzi e complimenti per il vostro album, un esordio davvero maturo e dal respiro internazionale. Dalle note biografiche leggo che la band è nata nel 2019, ma come nascono gli You,Nothing? Siamo nati tra settembre e ottobre 2019, grazie ad un annuncio su Facebook di Federico (chitarrista). Era da tempo che cercava componenti per un progetto con influenze shoegaze/post-punk/ambient , ma senza risultati, fino a quando Gioia, Giulia e per ultimo Nicola hanno risposto all’annuncio. Da lì siamo partiti a mille, ci siamo chiusi in sala prove e abbiamo iniziato subito a scrivere i pezzi dell’album.
Parlatemi un pò del processo creativo, come riuscite a coniugare l’urgenza punk che si avverte nei vostri brani con le melodie sognanti e assolutamente “catchy” che vi caratterizzano? E’ sicuramente il risultato delle influenze musicali di ognuno di noi, che fuse in modo molto spontaneo, danno vita a brani a volte completamente diversi tra loro. E’ una caratteristica che vogliamo portare avanti nella nostra musica perché fa parte della nostra essenza.
Ultimamente si sta diffondendo qui da noi una notevole scena che guarda allo shoegaze e ai fasti degli anni ’90, che ne pensate? A volte si parla di revival anche se cosa non lo è nel rock and roll? Si è vero, è un genere che a tratti torna a farsi sentire, ci sono ottime band italiane che ci piacciono molto che l’hanno riportato in voga, alla fine la musica è circolare e volenti o nolenti si viene contaminati dal passato, è inevitabile.
Ricordo un citazione – forse di Keith Richards – che diceva che l’album perfetto dovrebbe durare non più di mezz’ora, il vostro dura 25 minuti circa ma non manca nulla, avete fatto una scrematura o effettivamente sono i vostri primi brani? Siamo assolutamente d’accordo con questa citazione, la scelta di inserire 8 brani per un totale di 25 minuti, non è stata casuale. Inizialmente pensavamo ad un Ep, ma dopo aver scritto un paio di pezzi in più che volevamo a tutti i costi inserire, abbiamo optato per l’ album in quanto 8 canzoni ci sembrano eccessive per un Ep.
L’album è stato anticipato da tre videoclip – “Waves”, “Gazers” e “Reflectie” molto evocativi, chi li ha realizzati? “Waves” è stato il nostro primo video, realizzato sulla costa del lago di Garda a Brenzone, da Ilenia Arangiaro, che per noi ha realizzato anche l’artwork di “Lonely//Lovely” e il nostro primo set fotografico. Per secondo è uscito il video di “Reflectie”, che visto il periodo di zone rosse/arancioni e quindi l’impossibilità di trovarci, abbiamo girato in autonomia. Ognuno ha contribuito con brevi video girati con il cellulare ed infine sono stati accuratamente montati da Federico. Per ultimo “Gazers”, ideato e realizzato da Tobia Gaspari, presso il Colorificio Kroen di Verona. La caratteristica principale di questo video è la tecnica del Ghost Cut, ovvero l’illusione all’occhio dello spettatore, che la ripresa sia unica e continuativa, dall’inizio alla fine del video.
Cosa offre Verona dal punto di vista musicale? Ci sono realtà affini alla vostra? Verona conta tantissimi musicisti, ma al contrario, troppi pochi posti dove esibirsi dal vivo per quanto riguarda la musica originale. Al momento, forse anche per colpa della sospensione dei live, non abbiamo ancora conosciuto nella nostra città progetti con influenze musicali simili alle nostre, ma in noi c’è grande speranza che anche a Verona possa nascere una scena che faccia rivivere a dovere questo genere.
In questo periodo poveri di eventi dal vivo voi fortunatamente avete partecipato al Verona Digital Music Fest e ad un live al Colorifico Kroen, com’è andata? Se non erro sono i vostri primi concerti.. E’ corretto, da quando ci siamo formati, abbiamo avuto la possibilità di esibirci dal vivo solo due volte, una al Colorificio Kroen con circa 100 persone sedute e distanziate, la seconda invece al Verona Digital Music Fest, senza un pubblico durante le registrazioni, e mandata poi in live su twitch. In entrambi i casi sono state esperienze pazzesche nonostante le varie restrizioni, anche perché quando noi quattro suoniamo insieme, che sia su un palco o in sala prove, siamo come immersi in un mondo parallelo tutto nostro, non importa chi e quanta gente ci sia intorno.
Come accade spesso, “Lonely//Lovely” uscito per ben tre etichette, è stata una vostra scelta? In realtà eravamo abbastanza inesperti da questo punto di vista e non sapevamo neanche da dove partire, ancora meno che si potessero avere più etichette. Finite le registrazioni, abbiamo proposto il nostro album a qualche etichetta indipendente italiana per vedere il riscontro, e da lì abbiamo conosciuto Mirko di Floppy Dischi e Pietro di Non Ti Seguo Records che già hanno collaborato per varie realtà simili alle nostre e che si sono subito proposti per portare avanti il nostro progetto. Per ultimi si sono aggiunti anche i ragazzi di Dotto, con super entusiasmo. Più che scelta nostra, ci siamo fidati ciecamente di tutte queste persone che ci stanno aiutando a realizzare i nostri sogni e ci affiancano in questo percorso pieno di dubbi e scelte da prendere. Siamo molto grati di tutto questo.
Quali sono le band che vi hanno influenzato? Cosa state ascoltando in questo periodo? Le band che più influenzano il nostro sound sono gli Slowdive, i Beach House (di cui è presente anche una cover sul nostro canale YouTube), i My Bloody Valentine, i DIIV e i Joy Division. Ultimamente invece, stiamo scoprendo e ascoltando un sacco di nuove band underground come i Westkust, Slow Crush, Whispering Sons e la cantautrice Fritz.
Ospite di Mirella Catena ad Overthewall Massimo Zamboni – storico chitarrista dei CCCP e dei CSI – per parlare de “La Macchia Mongolica”.
Un primo viaggio in Mongolia nel 1996 fornirà l’ispirazione per uno dei dischi simbolo dei CSI, “Tabula rasa elettrificata”. Ed è ancora in Mongolia che si manifesterà per la prima volta in Massimo Zamboni e sua moglie il desiderio di avere un figlio. Caterina nascerà due anni dopo, con una macchia inequivocabile, un piccolo livido destinato a scomparire nel tempo: la macchia mongolica.
Quel segno detterà la partecipazione a due mondi spirituali e fisici, l’Emilia dei padri e la Mongolia della proiezione.
A vent’anni da quel primo viaggio, Massimo e Caterina torneranno in quella terra che li lega profondamente: un nuovo viaggio – prima tutti insieme, poi Caterina da sola – diventa scoperta ulteriore, indagine sull’Altrove che abita in noi, un’esplorazione necessaria tra le stanze della memoria più intima.
LA MACCHIA MONGOLICA. UN FILM, UN LIBRO, UNA COLONNA SONORA
Per celebrare il loro 40° anniversario, i The Danse Society, hanno pubblicato “Sailing Mirrors”. Per noi è stata una buona occasione per fare una ricca panoramica sulla carriera di una delle più importanti band della new wave insieme al fondatore Paul Nash e alla cantante italiana Maethelyiah.
Benvenuto Paul, mentre scrivo le domande ascolto la mia prima stampa di “Heaven Is Waiting”. Cosa ricordi di quegli anni? Paul: Grazie mille per avermi invitato a fare questa intervista – sei molto gentile e desidero fare un enorme ringraziamento a tutti voi là fuori che supportate la band – ci fate andare avanti in questi tempi difficili! Ebbene 37 anni fa eravamo in studio con Nigel Gray al Surreysound, entusiasti perché era il produttore di Siouxse ed era il nostro primo grande studio / produzione a seguito del nostro importante contratto discografico appena firmato. Sfortunatamente non ha funzionato come volevamo e alla fine siamo tornati ai RAK Studios con Kingbird (Ian Broudie) per ri-registrare e remixare l’album. Ian è stato il nostro salvatore e ha apportato un grande cambiamento al disco che poi sarebbe stato pubblicato come “Heaven is Waiting”. L’unico vantaggio di essere su un’etichetta importante era che potevamo permetterci di farlo e ci hanno supportato perché volevano che fosse anche “fatto bene”. Ancora una volta, per sfortuna, il nostro principale sostenitore all’interno dell’Arista, l’A&R che ci aveva fatto firmare, si accasò presso un’altra etichetta e da quel momento in poi siamo diventati solo un altro nome nel roster, fare un singolo di successo o andare via era la regola del gioco. Ero comunque eccitato all’idea che il mondo ascoltasse “Heaven is Waiting” – ne sono ancora molto orgoglioso oggi – senza voler apparire troppo vanitoso penso che sia un grande disco e resista bene alla prova del tempo.
Quest’anno festeggiate il vostro 40 ° anniversario, come è cambiato il mondo, la tua musica e il music biz dalla vostra fondazione? Paul: Grande domanda! Sono cambiate così tante cose: da dove cominciare? Basti pensare all’industria musicale in generale, all’epoca si trattava solo di far uscire un disco (vinile) per farne uno show lo alla radio nazionale e se si era abbastanza fortunati ottenere un posto nell’unico programma televisivo musicale Top of the Pops. Ora l’industria è incentrata sullo streaming, il prodotto fisico non è importante, contano la presenza sui social media per avere una partecipazione all’ultimo programma televisivo (di cui ce ne sono migliaia) e spesso se una canzone è meravigliosa, l’album non conta, è tutto incentrato sul singolo e poi… nulla. Ovviamente ci sono abbastanza “vecchietti” che amano ricordare i tempi passati, ma mi chiedo come le generazioni future guarderanno indietro al business di adesso e come potranno ascoltare la musica. Con il passare degli anni i cataloghi diventano sempre più grandi, ogni anno viene rilasciata sempre più musica nel mondo e diventa sempre più difficile sfondare. Fortunatamente abbiamo un leggero vantaggio che ci viene garantito dall’essere in giro da così a lungo e abbiamo costruito un seguito fedele verso il quale siamo molto grati. Per quanto riguarda la nostra musica, continua ad evolversi per cui sono sempre molto entusiasta di sentire cosa verrà dopo. Ci sono alcune sorprese su “Sailing Mirrors” e sono sicuro che ce ne saranno alcune anche nel prossimo album. Da quando abbiamo iniziato negli anni ’80 non riesco a trovare due dischi che abbiamo fatto che suonino allo stesso modo. Sto ancora esplorando il mondo della musica e mi eccito tanto quanto chiunque altro quando sento qualcosa di nuovo e diverso. Quando le band suonano gli stessi suoni e iniziano a ripetersi, è il momento in cui perdo l’entusiasmo.
Quanto è stato importante il ruolo di John Peel per il vostro successo? John Peel era una leggenda: prima ancora di averci passato nel suo spettacolo e offerto serate a Londra, ascoltavamo tutti religiosamente ogni suo spettacolo. Ascoltavamo per scovare qualche nuova band o un brano, era l’unico modo per cogliere l’onda di ciò che stava accadendo ed erano tempi emozionanti, la fine del punk l’inizio del post punk, la new wave, l’inizio della musica elettronica e l’ascesa del synth. Mi vengono ancora i brividi a pensarci. Senza di lui sono sicuro che ci sarebbe voluto molto più tempo per raggiungere il nostro pubblico e costruire un seguito, e i ricordi legati alle sessioni di registrazioni al Maida Vale sono molto speciali. Ascoltare la trasmissione e trovare te stesso è stato strabiliante. Ho adorato lo show di John Peel e mi sento molto privilegiato ad averne fatto parte.
Tre dischi tra il 1982 e il 1984, poi il silenzio: cosa è successo veramente dopo l’uscita di “Looking Through”? Paul: “Looking Through” non era altro che una serie di demo buoni per cercare di ottenere un accordo dopo che era finita con l’Arista e ci siamo approcciati a Virgin e Warner, ma non è mai venuto fuori nulla – le frustrazioni sono arrivate e tutto è andato in pezzi. A quel punto eravamo abituati allo stile di vita delle rock star, ma non lo eravamo mai stati veramente e così alla fine Steve se ne andò per fare cose per i “Society” a Londra prima di andarsene a LA; noi provammo a raccogliere i pezzi e reclutammo Mark Copson dai Music for Pleasure (la vecchia band di Dave Whittaker) e registrammo un intero album. Abbiamo fatto alcuni concerti con il nome The Danse Society prima di cambiarlo in Johnny in the Clouds – poi tutto si è interrotto di nuovo, mi sono messo così a registrare del materiale con Andy O dei Blue Zoo. Poi sono entrato a far parte dei Party Day quando ormai avevo perso la gioia per la musica, originariamente producendoli e poi unendomi a loro come chitarrista, il che è stato fantastico perché abbiamo suonato molti concerti energici. Dopo di che avevo bisogno di lavorare, quindi ho trovato un impiego come gestore di un negozio di fumetti e ho fatto vendita al dettaglio per la Whil, prima di riqualificarmi in ambito informatico e insegnare.
Il vostro album di ritorno, “Change Of Skin”, è uscito, dopo 25 anni, nel 2011 con un tocco di Italia: la cantante italiana Maethelyiah: come sei entrato in contatto con lei? Paul: All’inizio non sapevo del suo coinvolgimento – Dave ha detto che aveva dato alcuni brani a una cantante per provare e io ero disponibile a dargli un ascolto. Ovviamente eravamo tutti frustrati dal fatto di non essere in grado di entrare in contatto con Steve, ma sapevamo tutti che non sarebbe successo più successo dopo sei mesi in eravamo rimasti bloccati con 13 grandi canzoni senza voce. Sono stato felicissimo quando ho sentito la voce nelle tracce che finalmente erano state ultimate, il sound era tornato e avevamo una cantante fantastica. Maeth: Ho contattato la band perché all’epoca stavo lavorando per un pezzo di un blog musicale, che non ho mai avuto il tempo di pubblicare. Mi sono imbattuta accidentalmente nei TDS sul Tubo e ho trovato un commento che menzionava il loro ritorno, quindi mi sono messa in contatto con la band sulla loro pagina FB. Chiacchierando, la persona che la gestiva mi ha detto che il nuovo album “Change of Skin” era stato completamente registrato, ma anche che Steve era scomparso dopo aver registrato una traccia. Ha notato che stavo già cantando “Blooding Mask”, quindi mi ha chiesto se sarei stata felice di essere messa in contatto con la band per sostituire Steve, se tutti fossero stati favorevoli. Ovviamente ho accettato e abbiamo iniziato a scambiare file dal gennaio 2011. Alla fine il 17 aprile 2011 ci siamo incontrati tutti e la notizia è stata data ufficialmente. Da allora è stata un’avventura fantastica. Non abbiamo idea di cosa sia successo a Steve e spero che stia bene. Sono contento che abbiano scelto me. Nessun cantante maschio avrebbe potuto gareggiare con la presenza e la creatività di Steve ed era tempo di evolversi in qualcosa di originale. Sempre più pubblicazioni vanno oltre il genere da quando lo abbiamo fatto anche noi. Il dottor Who e 007 stanno aprendo le porte alle reincarnazioni femminili. Sconfigge la prevedibilità e si tuffa nell’infinito. Orgasmico!
Cosa ricordate del vostro concerto al Wave-Gotik-Treffen nel 2012? Paul: Ricordo che è stato piuttosto snervante perché era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ci eravamo esibiti di fronte a un vasto pubblico, ma una volta che siamo arrivati lassù, l’ho adorato: è stato molto divertente. Penso che la risposta sia stata piuttosto positiva anche se sapevamo che ci sarebbero stati alcuni detrattori a causa della mancanza di Steve. Guardando il video ci sono stati alcuni deludenti problemi audio, ma è stato veramente bello tornare su un grande palco. Maeth: È stata un’esperienza positiva e cattiva. Bene perché i fan tedeschi sono magnifici e la gestione è stata fantastica. Pessimo perché in qualche modo abbiamo avuto problemi con il suono sul palco e abbiamo finito per suonare con metà della band. Le tastiere erano troppo basse e le chitarre troppo rumorose. Sembravamo una band metal. Personalmente mi sono divertita molto. Mi sono sentita la benvenuta. Sono molto grata anche se non abbiamo suonato al meglio.
Potreste presentare la vostra formazione attuale? Maeth: Membro fondatore e chitarrista Paul Nash, Maethelyiah alla voce solista, Tom Davenport alla batteria, Jack Cooper al basso e Sam Bollands alle tastiere. Abbiamo anche un altro membro che ci sta aiutando a suonare strumenti aggiuntivi e si chiama Jono (Jonathan, anche nella band Momento Mori). Paul: Un branco di bastardi!
Il 2020 è l’anno del vostro settimo album, “Sailing Mirrors”, come è nato? Maeth: Dopo cinque anni dalla pubblicazione di “VI” e dopo aver dovuto sostituire il nostro batterista Iain Hunter con Joss Rylance, abbiamo finalmente consolidato la band con Tom Davenport alla batteria. Tom è anche un ottimo autore. Così abbiamo deciso di lanciare tutte le demo inedite, vecchie e nuove e ascoltarle tutte. Alla fine avevamo materiale per un doppio album. Tuttavia, con il lockdown abbiamo dovuto congelare il nostro tour europeo, quindi abbiamo deciso che quest’anno sarebbe stato uno spreco totale e abbiamo deciso di pubblicare solo una selezione di canzoni. “Sailing Mirrors” ha vinto per il titolo. Viene da un demo inedito che ho scritto nel ’98 e che l’intera band, incluso l’ex tastierista David Whitaker, ha reso assolutamente speciale. Sono molto orgoglioso di “Sailing Mirrors”. Le recensioni che stiamo ricevendo affermano che è il migliore finora.
Goth, punk, post-punk, orchestrazioni, DnB e blues: è questo il vostro album più vario? Paul: Non lo so – personalmente penso che suoni omogeneo ma capisco quello che dici, tuttavia è sempre stato così – tutti ascoltiamo una vasta gamma di stili musicali e tutti mettiamo quelle influenze nel crogiolo. Chissà cosa potrebbe venire ancora fuori. Per il bene dell’album non deve esserci un genere o uno stile specifico Perché sarebbe noioso. Maeth: Ogni membro della band porta le proprie vibrazioni. Veniamo tutti da un background musicale diverso. Vengo dall’opera e dalla darkwave, ma collaboro anche con band prog e metal. Paul è un vero maestro del post punk il cui stile influenza ancora molti chitarristi più giovani, ma ama anche il jazz e non ha restrizioni di genere. Jack è estremamente talentuoso e ama il funk. Sam è un magnifico pianista classico che mi ha fatto piangere anni fa a teatro quando ha eseguito “Jesus Christ Superstar” con un locale compagnia teatrale. Tom ha un enorme archivio degli anni ’70 ed è estremamente versatile e suona anche la chitarra acustica. Tutti loro, tranne Sam, hanno voci fantastiche. Sono fortunata!
Avete testato le nuove canzoni sul palco prima del blocco? Maeth: Abbiamo suonato “Kill U Later”, “Valerio’s Theme” e “Pill of Delusion” (che non è inclusa nell’album) durante il nostro tour europeo in Portogallo, Finlandia, Paesi Bassi e nel Regno Unito. Sono il collegamento tra la vecchia e la nuova generazione di sostenitori e siamo stati fortunati a vederli “ballare” insieme ai nostri concerti!
La mia ultima domanda non riguarda i The Danse Society: alcuni anni fa sono stato uno dei fortunati presenti al primo concerto dal vivo de Il Segno del Comando a Genova con Maethelyiah, come ospite. Cosa ricordi di quella serata magica? Maeth: Il Segno del Comando è una band fantastica! Diego è un mio amico di lunga data, forse da una vita precedente. Diego, Fernando e Roberto condividono già il mio altro progetto Blooding Mask dal 2010 quando siamo stati insieme in tour nel Regno Unito. Il concerto a La Claque è stato incredibile. Il Segno del Comando è un’altra band che non ha paura di sperimentare voci maschili e femminili. Condividere il palco con Riccardo è stata una gioia totale. Sono tutti musicisti incredibili e amici fantastici. Paul e io abbiamo davvero adorato quel concerto! Ci è piaciuto così tanto che abbiamo preso parte anche al loro ultimo album. La Brexit è una stronzata. Non crediamo nei confini. Paul: Sono così felice che tu l’abbia visto – suonare con quei fantastici musicisti è stato un privilegio, così come ricevere la richiesta di essere uno degli ospiti nei loro ultimi due dischi – sono un ragazzo così fortunato! Che possa continuare a lungo.
To celebrate 40th anniversary, The Danse Society released “Sailing Mirrors”. A good opportunity to get a rich carreer overview of one of the most important new wave bands together with the founder Paul Nash and the Italian singer Maethelyiah.
Welcome Paul, I’m writing my questions and listening to my first press copy of “Heaven Is Waiting”. What do you remember about those years? Paul: Thank you so much for inviting me to do this interview – you are very kind and I wish to a massive thank you to all of you out there who support the band – you keep us all going in these troubled times! Well 37 years ago we were in the studio with Nigel Gray at Surreysound, excited as he was the producer for Siouxse and it was our first big studio/production for our newly signed major record deal. Unfortunately it didn’t quite work out as we wanted and we ended up going back into RAK studio with Kingbird (Ian Broudie) to re-record and remix the album. Ian was our savior and made a real change to the record that was to be released as ‘Heaven is Waiting’. The one advantage of being on a label was that we could afford to do that and they supported us as they wanted it to be ‘right’ too. Again as luck would have it, our main supporter at Arista and the A&R man who had signed us, then departed to another label and from that point on we were just another act on the roster, make a hit single or get out was the basic attitude. I was excited though for the world to hear ‘Heaven is Waiting’ – I’m still very proud of it today – without sounding too big headed I think it’s a great record and stands the test of time.
This year you are celebrating your 40th anniversary, how is changed the world, your music and the music biz from your foundation? Paul: Big Question! So much has changed – where to start? Just think of the music industry in general, back then it was all about getting a record out (vinyl) getting a play on national radio and if you were lucky enough getting a spot on the only music TV programme Top of the Pops. Now the industry is all about streaming, physical product is not important, social media presence, getting your music on the latest TV show (of which there are thousands) and often it’s one song wonders, albums don’t matter, its all about the one song and then…gone. Of course there are enough ‘oldies’ about to remember the times past but I wonder how future generations will look back on the business now and how they might listen to music. As years go by the catalogues get larger, every year more and more music is released into the world and it gets harder and harder to break through to more people. Fortunately we have a slight advantage in being around for so long we have built a loyal following for which we are very grateful. As for our music it continues to evolve for which I am always very excited to hear what will come next. There are a few surprises on Sailing Mirrors musically and I am sure there will be a few different ones on the next album. Even back when we first started in the 80s I can’t think of two records we did that sounded the same. I am still exploring the world of music and get just as excited as anyone else when I hear something new and different. When bands play to the same sounds and begin to repeat themselves that’s when I switch off.
How was important the role of John Peel in your success? Paul: John Peel was a legend – before we even got to be played on his show and offered sessions in London we all listened religiously to every show. Listened to hear some new gem of a band or tune, it was the only way to catch the wave of what was happening and it was exciting times, the end of punk the start of post punk, new wave, the beginning of electronic music and the rise of the synth. It gives me shivers now to think about it. Without him I am sure it would have taken much longer to reach our audience and build a following, and the memories of recording the sessions at Maida Vale were very special. Listening to the broadcast and hearing yourself was mind blowing. I loved the John Peel show and feel very privileged to have been a part of it.
Three records between 1982 and 1984, after the silence: what is really happened after the release of “Looking Through”? Paul: Looking Through was only a set of demos to try and get a deal after being dropped by Arista and we got close with Virgin and Warners but it never came off – frustrations set in and it all fell apart. We were used to the rock star lifestyle by then, but it wasn’t meant to be and eventually Steve left to do the ‘Society’ thing in London before going to LA, and we were left to try and pick up the pieces, first we recruited Mark Copson from Music for Pleasure (Dave Whittaker’s old band) and recorded an album’s worth of tracks. We did a few gigs with the Danse Society name before eventually changing it to ‘Johnny in the Clouds’ – then it all broke down again, I was left recording some material with Andy O from Blue Zoo. I then joined local band ‘Party Day’ having missed the fun of music, originally producing them and then joining them as guitarist which was great playing a lot of loud energetic gigs. After that I needed to work so got a job managing a comic shop and did retail for while before retraining in IT and teaching.
Your comeback album, “Change Of Skin”, was released, after 25 years, in 2011 with a touch of Italy: the Italian singer Maethelyiah: how did you get in contact with her? Paul: I had no knowledge of her involvement at first – Dave said he’d given a few tracks to a female singer to have a go at and would I be prepared to give them a listen. Of course, we were all frustrated with no being able to get hold of Steve but we all knew that wasn’t going to happen after 6 months so we were stuck with 13 great tracks with no vocals. I was delighted when I heard the voice on the tracks it finally had all come together, the sound was back and we had an awesome vocalist. Maeth: I contacted the band because at the time I was working on a music blog magazine, which I never had the time to publish. I accidentally bumped into TDS on The Tube and found a comment mentioning the reformation, so I got in touch with the band on their FB page. Chatting with the person who was managing it, she said that the new album “Change of Skin” was fully recorded but also that Steve disappeared after recording one track. She noticed I was already singing with “Blooding Mask” so she asked me if I was happy to be put in touch with the band to replace Steve if everybody was happy. Of course I accepted and we started exchanging files since January 2011. In the end on the 17th April 2011 we all met up and the news was officially given. Since then it has been a fantastic venture. We have no idea what happened to Steve and I hope he’s ok. I am glad they chose me. No male singer would have competed with Steve’s presence and creativity and it was time to evolve into something original. More and more releases are going beyond the genre since we did. Dr Who and 007 are opening the doors to female reincarnations. It defeats the predictability and dives into infinity. Orgasmic!
What do you remember about you gig at Wave-Gotik-Treffen in 2012? Paul: I remember it was quite nerve wracking as I had been quite a while since we had been in front of a large audience but once we got up there I loved it – so much fun. I think the response was pretty positive although we knew there would be a few detractors because of the lack of Steve. Watching the video back there were a few sound issues which was disappointing but it was so good to back on a big stage. Maeth: It was a good and a bad experience. Good because German supporters are magnificent and the management was awesome. Bad because somehow we had issues with the sound on stage and we ended up sounding like half the band. The keyboards are far too low and the guitars far too loud. We sounded like a fully metal band. I enjoyed myself a lot personally. I felt welcome. I am very thankful even though we didn’t sound at our best.
Could you introduce your actual line up? Maeth: Paul Nash founder member and guitarist, Maethelyiah on lead vocals, Tom Davenport on Drums, Jack Cooper bass and Sam Bollands on Keys. We also have an additional member who’s helping us out playing additional instruments and his name is Jono (Jonathan, also from the band Momento Mori). Paul: Bunch of bastards!
2020 is the year of your seventh album, “Sailing Mirrors”, how is born? Maeth: After five years since we released “VI” and after having to replace our drummer Iain Hunter with Joss Rylance, we finally consolidated the band with Tom Davenport on Drums. Tom is also a very good songwriter. So we all decided to throw all unreleased demos, old and new and listen to all of them. In the end we had material for a double album. However, with lockdown we had to freeze our European tour, so we decided this year wasn’t going to be a total waste and decided to only release a selection of songs to record and release. Sailing Mirrors won the title. It comes from an unreleased demo I wrote in ’98 and that the whole band, including ex keyboard player David Whitaker made absolutely special. I am very proud of Sailing Mirrors. The reviews we are receiving are claiming it is the best so far.
Goth, punk, post-punk, orchestrations, DnB and blues: is this your more various album? Paul: I don’t know – I think it sounds consistant personally but I get what you are saying however its always been that way – everyone listens to a wide range of musical styles and everyone puts those influences in the melting pot. Who knows what might come out. The best stuff makes to the album it doesn’t have to be a specific genre or style that would be boring. Maeth: Every band member brings his own vibes. We all come from different music background. I come from Opera and darkwave, but I also collaborate with prog and metal bands. Paul is proper post punk master whose style still influences many younger guitarists but he also loves Jazz and has no genre restriction. Jack is an extremely talented and loves funk. Sam is a magnificent classic pianist who got me in tears years ago in theatre when he performed Jesus Christ Superstar with a local theatre company. Tom has a huge 70s archive and is extremely versatile and plays acoustic guitar as well. All of them, except for Sam, have fantastic voices. I am lucky!
Did you check the new songs on stage before the lockdown? Maeth: We performed “Kill U Later”, “Valerio’s Theme” and “Pill of Delusion” (which is not included in the album) during our European Tour in Portugal, Finland, Netherlands and in the UK before. They are the connection between older and newer generation of supporters that we were lucky to watch “dancing” together at our gigs!
My last question is not about The Danse Society: some years ago I was one of the lucky people at first live gig of Il Segno del Comando in Genoa with Maethelyiah, guest appearance. What do you remember about that magic evening? Maeth: Il Segno del Comando is a fantastic band! Diego is a long friend of mine, possibly from a previous life. Diego, Fernando and Roberto already share my other project Blooding Mask since 2010 when we toured the UK together. The gig at La Claque was incredible. Il Segno del Comando is another band not afraid to experiment male and female vocals. Sharing the stage with Riccardo was a total bliss. They are all incredible musicians and awesome friends. Paul and I really loved that gig! We enjoyed it so much we took part of the latest album as well. Brexit is bullshit. We don’t believe in borders. Paul: So glad you saw that – getting to play with these fantastic musicians is a privilege as was being asked to guest on the last two records – I’m such a lucky boy! Long may it continue.