In.Si.Dia – Di luce e di aria

Da sempre cantori della contemporaneità, gli In.Si.Dia ancora una volta hanno puntato il dito contro le storture della società. Un titolo, “Di Luce e d’Aria” (Punishment 18), che è un vero un proprio invito a riprendere in mano le redini della propria vita…

Benvenuti, con “Di Luce e d’Aria” tagliate il traguardo del quarto album, lo fate con un disco che ha un nome che, almeno al primo approccio, ha una valenza positiva. Siamo ben lontani da titoli forti come “Istinto e Rabbia” o “ Denso Inganno”: cosa c’è dietro questa scelta, un cambio di filosofia?
Fabio: Direi di no, la filosofia resta la stessa… come sempre siamo influenzati da ciò che ci accade intorno. Ho accusato in questi ultimi anni la sensazione di vivere in una scatola buia e soffocante, e di avere l’assoluta necessità “Di Luce e di Aria”; non necessariamente o solamente stare all’aria aperta, ma stare con gli altri, socializzare. Sintetizzando: direi vivere liberi.

Sicuramente la copertina invece trasmette un forte senso di sofferenza, avete dato voi lo spunto all’autore, Jan Zutt, oppure è tutta farina del suo sacco?
Fabio: Esatto, rappresenta quella sensazione che spiegavo prima: sai, quelle serate tra amici dove si fa notte; con il mio amico Jan (Zut) si parlava di quel malessere provato e di quella voglia di vivere che ne è conseguita. Lui qualche giorno dopo si è presentato con quel meraviglioso disegno come solo lui sa fare; guardandolo ti viene subito voglia di aprire una finestra e tirare un bel respiro, vorresti respirare per lei…

Come e quando sono nati i nuovi pezzi?
Manuel: I pezzi sono nati prima dell’arrivo del Covid, io ed Ale abbiamo lavorato alla stesura delle canzoni, per poi passarle a Fabio e Paolo che hanno fatto la loro parte. Tutti insieme poi abbiamo curato gli arrangiamenti, prima di entrare in studio.

Rispetto a “Denso Inganno” troviamo un nuovo membro, Paolo Pirola alla batteria. Quale è stato il suo apporto alla scrittura del disco e quale novità ha introdotto nel vostro sound?
Manuel: Paolo è stato determinante per ciò che avevamo in mente, volevamo un drumming che suonasse moderno e dinamico, gli abbiamo semplicemente detto di esser se stesso, di arrangiare i pezzi cercando di essere si tecnico, ma soprattutto musicale, concetto che abbiamo cercato di avere anche per tutti gli altri strumenti.

Se non erro “Welcome to My World” è la vostra prima canzone che non ha un titolo in italiano, come mai questa scelta?
Fabio: Perché il testo tratta di un dialogo tra me e mio figlio maggiore. Lui vive all’estero ormai da circa 15 anni e si esprime principalmente in inglese e nel mio immaginario dire quella frase in inglese stava a rafforzare il concetto che gli volevo esprimere e mi dava l’idea di sentirmi più in contatto con lui. Poi come per tutti gli altri testi il significato è soggettivo; ognuno si identifica per quello che percepisce.

All’epoca del vostro debutto che sentimenti provavate? Vi sentivate la punta di diamante del movimento, coloro i quali avrebbero portato al grande pubblico delle major il metal italiano oppure avete vissuto il tutto con la massima incoscienza?
Manuel: Eravamo in quegli anni poco più che ventenni, ci siamo trovati a veder realizzato ciò che sognavamo: fare dischi e andare in giro a far concerti. Sin dall’ inizio, il desiderio comune era riuscire nell’intento, provavamo cinque/sei giorni la settimana, l’arrivo del contratto con la Polydor è stato il coronamento dello sbattimento di anni passati in sala e in giro a promuovere la nostra demo “ No Compromises!!!”. Quando nel ‘93 uscì “Istinto e Rabbia”, oltre a noi c’erano altre band che hanno lasciato un segno importante nella scena metal italiana, band con le quali abbiamo diviso palchi in giro per l’Italia. Quindi no, non ci siamo mai sentiti una punta di diamante, piuttosto una band che ha dato il suo contributo alla scena metal italiana.

Con 30 anni di carriera alle spalle, invece, con quale stato d’animo arrivate al vostro quarto disco?
Manuel: Siamo assolutamente soddisfatti del nuovo album, quindi il nostro stato d’animo è al massimo, abbiamo anche un nuovo batterista, Paolo, che ha portato ulteriore positività nella band, tra di noi c’è armonia e quando tutto fila liscio, i risultati non possono essere che buoni!

Avete in programma delle date a supporto del disco?
Manuel: Abbiamo intenzione di suonare il più possibile per promuovere l’album, quindi con la nostra agenzia stiamo programmando diverse date che verranno comunicate quando confermate.

In chiusura vi faccio una domanda da collezionista, in questi ultimi anni spopolano le ripubblicazioni in cassetta di vecchi album e demo, avete mai pensato di ristampare in questo formato “No Compromises!!!”?
Manuel: Ci è stato chiesto più volte di ristampare la demo “ No Compromises!!!”, prima o poi credo che lo faremo, abbiamo un po’ di materiale audio/video che potrebbe interessare ai nostri fans.

Kryptonomicon – Rituale oscuro

Con Stefano Rumich (chitarra) abbiamo parlato del primo full-length dei suoi Kryptonomicon, band attiva da qualche anno, ma che poteva annoverare nella propria discografia solo due EP. “Nekromantikos” (Punishment18) non tradisce quelle che erano le peculiarità delle prime due mini-uscite, presentando così una band capace ripercorre la strada tracciata da Hellhammer\Celtic Frost, Venom e Possessed.

Ciao Stefano, sin dalle prime note di “Nekromantikos” pare evidente il vostro amore per il black metal primordiale di Hellhammer\Celtic Frost, Venom e Possessed. Cosa vi ha spinto a recuperare proprio queste sonorità?
Ciao,in primis perché i Celtic Frost sono la mia band preferita in assoluto, oltre a Venom, Possessed, Destruction, Sodom ecc… ma fondamentalmente perché volevamo cercare di rievocare quella cattiveria e istintività primordiale tipica delle band di quegli anni. Inoltre, considerata l’età mia e degli altri ragazzi della band, posso dirti che siamo cresciuti con quel tipo di sonorità, che ancora oggi ci danno l’energia e le sensazioni di quegli anni. Dal punto di vista musicale, la nostra scelta sonora è stata dettata dal fatto che a nostro parere le band estreme di oggi tendono ad assomigliarsi un po’ tutte, principalmente sotto l’aspetto della produzione, e poi per scelte di arrangiamento, ovviamente non sto facendo di tutta l’erba un fascio, ma diciamo che noi vogliamo essere “differenti” ed avere più spazio di movimento a livello espressivo/musicale.

Il sentiero che vi ha portato a incidere “Nekromantikos” è partito con due EP, “To the Abyss” e “Morbid Return”, ricchi di cover. Come considerate oggi quelle due esperienze discografiche?
Fondamentali, grazie a “To the Abyss” siamo stati notati da Peso dei Necrodeath (nostro grande fan insieme a Flegias), che ci ha aiutato parecchio a farci conoscere, e ad avere l’onore di suonarci assieme di supporto in due occasioni. Oltretutto grazie ai due EP abbiamo firmato il contratto con Punishment18 Rec che ci ha permesso di pubblicarli e distribuirli nel mondo. “To The Abyss” e “Morbid Return” contengono diverse cover perché abbiamo voluto registrare un tributo alle band che più ci piacciono e ci hanno influenzato maggiormente come musicisti, oltre al semplice piacere di poterle rivisitare con il nostro sound.

“Morbid Return” recentemente è uscito in una nuova versione, me ne parlereste?
Inizialmente “Morbid Return” era uscito con soli tre pezzi, (“Outbreak Of Evil” dei Sodom, “Bestial Invasion” dei Destruction e “Death Metal” dei Possessed ), successivamente con Punishment18 abbiamo deciso di stamparlo in digipack aggiungendo le bonus (“Massacra” degli Hellhammer, “Flag Of Hate” dei Kreator, “War” dei Bathory, “The Antichrist” degli Slayer ) e “The Experiment Of Dr. K”,un nostro pezzo inedito da cui abbiamo tratto anche il nostro primo videoclip ufficiale e l’intero “To The Abyss” EP.

Sul vostro debutto “Nekromantikos” ritroviamo “Nocturnal Kill”, “Baron Blood”, “Blind Resurrected”: queste versioni sono le stesse contenute nell’EP oppure le avete ri-registrate per l’occasione?
Le abbiamo riregistrate, quindi ci sono delle differenze rispetto alle versioni dell’EP, abbiamo voluto riproporle nell’album in quanto riteniamo siano tre pezzi killer dei Kryptonomicon.

Non compare nel  disco, invece, “The Experiment Of Dr.K”, brano dal quale avete tratto un video. Come mai questa scelta di escludere questa traccia dalla tracklist definitiva?
Essendo un brano già uscito nel mini EP “Morbid Return” abbiamo preferito lasciare spazio a delle canzoni nuove, visto anche il ripescaggio di “Nocturnal Kill”, “Baron Blood” e “Blind Resurrected”.

Tirerete fuori altri video fuori “Nekromantikos” ?
Sicuramente è uno dei nostri progetti a breve termine, vorremmo pubblicare un video di supporto all’uscita dell’album.

Anche su “Nekromantikos”  confermate il vostro amore per le cover,  però questa volta avete reso tributo a una band che pare meno evidente nelle vostre influenze, mi riferisco ai Bauhaus e alla loro “The Passion Of Lovers”. E’ stato più complicato reinterpretare un brano meno il linea con il vostro sound?
Si, abbiamo voluto fare un esperimento seguendo le orme dei maestri Celtic Frost, che coverizzarono “In The Chapel in the Moonlight” di Dean Martin, o “Heroes” di David Bowie, o la stessa “Mexican Radio” dei Wall of Vodoo, reinterpretandole a modo loro. Abbiamo voluto fare lo stesso, reinterpretando un brano totalmente distante dalle sonorità tipiche dei Kryptonomicon… seppure il dark ci piaccia e comunque è un’influenza presente nel mio modo di comporre. Poi c’è da dire che non vogliamo vincere facile, e l’intento è quello di voler stupire i nostri fans.

Lasciamo da parte per un attimo la musica e passiamo alle immagini, trovo grandiosa la copertina firmata Paolo Girardi, è stata un’idea sua o avete fornito voi lo spunto di base?
Paolo oltre che un amico, è un artista eccezionale, molto professionale, e la sua arte si sposa perfettamente con la nostra musica. Diciamo che ho fornito lo spunto di base a Paolo, gli ho chiesto di inventarsi una sorta di Caronte, e lui come sempre ha prodotto la straordinaria opera d’arte che potete ammirare nella copertina del disco.

Avete esordito dal vivo un paio d’anni fa come support act dei i Necrodeath, che ricordo avete di quella serata e avete già programmato delle nuove date?
E’ stata una serata devastante, abbiamo dato il massimo, grazie anche all’incoraggiamento di Peso, che ci ha sostenuto sin da subito, suonando con noi alla batteria in quell’occasione “Countess Bathory” dei Venom. La risposta del pubblico è stata ottima, e in generale è andato tutto bene.

Ibridoma – Answers in ruins

A quasi tre anni di distanza dalla loro ultima fatica discografica, intitolata “City Of Ruins” ed uscita per l’italiana Punishment 18 Records, tasteremo il polso agli Ibridoma, band marchigiana presente sulle scene da 20 anni. Ne parliamo con Leonardo, il bassista…

Ciao Leonardo, ti do il benvenuto al Raglio del Mulo e ti ringrazio per la tua disponibilità a questa intervista, siete in attività ormai da una ventina d’anni, ti andrebbe di parlarci un po’ della storia della band?
Ciao a tutti e grazie del benvenuto, noi siamo gli Ibridoma, una band partita nel 2001 con stampo puramente heavy metal classico, ma che nel corso degli anni ha subito sensibili mutamenti grazie ai vari cambi di formazione, infatti della line up originale rimangono solamente Alessandro Morroni alla batteria e Christian Bartolacci alla voce, il primo chitarrista solista, Pietro Alessandrini, ha ceduto il testimone a Marco Vitali, io ho riempito il vuoto lasciato dal bassista Lorenzo Petrini mentre Simone Mogetta ha ceduto il posto di chitarrista ritmico prima a Daniele Monaldi, poi a Sebastiano Ciccalè ed infine a Lorenzo Castignani. Nel corso della nostra carriera abbiamo prodotto cinque album “Ibridoma” nel 2010, “Nightclub” nel 2012 prodotto da Michael Baskette, noto per aver lavorato con Alter Bridge, Slash e molti altri, “Goodbye Nation” nel 2014 prodotto da Max Morton, “December” nel 2016 e “City of Ruins” nel 2018, questi ultimi prodotti da Simone Mularoni. Nell’arco degli anni abbiamo suonato con diversi nomi di rilievo come Blaze Bayley, facendogli da gruppo di apertura nel suo tour italiano di “The man who would not die”, e Manowar nel festival Magic Circle.

Come mai Ibridoma? Quali furono le circostanze che portarono a propendere per questo nome?
Il nome Ibridoma è stato scelto per il fatto che nessuno dei membri originali provenisse dallo stesso genere, Alessandro e Simone ascoltavano principalmente hard rock, Christian votato all’heavy metal, Pietro che viveva di thrash metal e Lorenzo che ascoltava quasi soltanto death. Ibridoma in parole povere è una cellula che produce anticorpi di vario tipo partendo da un singolo genere, quindi come nome secondo me era piuttosto azzeccato.

Siete una band ormai molto matura, puoi dirci come, secondo te, si sia evoluto in tutti questi anni il vostro sound? Tenendo ovviamente conto del fatto che avete rilasciato ben cinque full…
Il sound del gruppo si è evoluto principalmente per due motivi, il primo sta nel fatto che la maggior parte di noi ormai ha raggiunto una certa età per così dire, quindi abbiamo bene in mente le origini di ciò che ascoltiamo e suoniamo, dall’altro lato però abbiamo sempre seguito il mercato musicale aprendoci anche a nuovi generi, aiutati anche dalla formazione che cambiava spesso, portando nuova linfa alla creazione dei pezzi e offrendoci anche punti di vista più “freschi” rispetto al nostro della “vecchia guardia”.

Il vostro sound di riferimento è chiaramente una forma di metal classico anche se, ascoltando bene, è possibile cogliere anche altre sfumature stilistiche, quali sono le band a cui vi ispirate?
Indubbiamente la base del nostro sound nasce dagli Iron Maiden, ma le nostre influenze sono le più disparate, abbiamo Megadeth, Stratovarius e AC/DC tra le band classiche, molto spesso per gli stacchi ci basiamo su gruppi più aggressivi come Six Fet Under, Breakdown of Sanity o Arch Enemy. Ce ne sono molte altre a cui facciamo riferimento, soprattutto perché sono band che ascoltiamo spesso per nostro gusto personale, ma se dovessi elencarle tutte probabilmente staremmo qui per almeno un’altra ventina di righe.

Volendo trattare il “tema” composizioni, chi di voi è il principale artefice?
A livello strumentale il principale compositore è Marco Vitali che, avendo una formazione tecnica più completa, riesce a comporre con più facilità rispetto al resto di noi, ciò nonostante tutto ognuno di noi ha sempre portato riff o perfino canzoni complete all’attenzione degli altri, e da lì si partiva con i dovuti cambiamenti.

E dei testi che mi dici? Quali sono i temi trattati?
I testi sono stesi quasi esclusivamente dal nostro cantante Christian Bartolacci, ma gli argomenti trattati sono proposti da tutti, abbiamo trattato temi concreti che ci toccassero personalmente, come il terremoto del 2016 e il recente cambiamento climatico o il continuo abbandono dell’Italia da parte dei giovani per tentare la fortuna all’estero. Abbiamo trovato queste tematiche più nelle nostre corde rispetto a temi più astratti o “epici”.

Vorrei soffermarmi un attimo sulla cover del vostro ultimo “City Of Ruins”, molto accattivante… Potresti spiegare cosa si cela dietro e chi è l’autore della stessa?
La copertina è stata creata da Gustavo Sazes, con il quale abbiamo collaborato anche per le copertine di “December” e “Goodbye Nation”, è un artista che sta andando molto e che ha collaborato con molti altri artisti come James LaBrie e Amaranthe. Ovviamente la copertina sta ad illustrare come noi stiamo percependo la nostra società odierna e il mondo che ci circonda.

Sono ormai passati quasi tre anni dal vostro ultimo full, ci sono novità che vuoi svelarci? Cosa avete in cantiere per il prossimo futuro?
Abbiamo dovuto dilatare un po’ i tempi a causa della pandemia e di alcuni problemi personali, ma sicuramente per il prossimo autunno usciremo con qualcosa di nuovo che certamente non deluderà chi già ci segue e che speriamo sia apprezzato anche da chi non ci conosce. 

Come band, in che maniera state vivendo questo particolare periodo storico in cui tutto si è fermato?
Sicuramente l’impossibilità di esibirci live si sta facendo sentire, ma ne abbiamo approfittato per stare di più con i nostri cari e cercare di migliorarci a livello sia personale che tecnico, inoltre abbiamo sempre cercato di non demoralizzarci e sicuramente la musica in questo ci ha aiutato molto, continuando a comporre e suonare, anche se per conto nostro.

Dunque Leonardo, siamo arrivati alla fine, grazie ancora per questa chiacchierata! Non mi resta che augurare a te e alla band un grosso in bocca al lupo per tutto, concludi come vuoi!
Grazie al Raglio del Mulo per lo spazio che ci avete concesso, ringrazio anche tutti coloro che hanno letto quest’intervista e continuano a seguirci e supportarci, per chi ancora non ci conoscesse spero che vorrete ascoltarci sui nostri social nell’attesa di poterci rivedere nuovamente live. Stay Metal