“In The Heart Of The City” è il nuovo EP dei Flying Disk, trio heavy rock piemontese già con due album all’attivo,“Circling Further Down” del 2014 e “Urgency” del 2018. Anticipato dai singoli “Connections” e “Wasted”, l’EP è uscito lo scorso 28 ottobre per quattro etichette indipendenti – la francese Araki Records, la statunitense Foribidden Place Rec, la svizzera Urgence Disk e l’italiana Karma Conspiracy – con il mastering del lavoro curato da Jonathan Nuñez dei mitici Torche. Il risultato sono quattro tracce di heavy rock con influenze stoner, punk, emo e alternative, cantate rigorosamente in inglese come nella migliore tradizione della band. A parlarcene sono gli stessi ragazzi:
Ciao ragazzi e benvenuti sul Raglio del Mulo, la vostra terza fatica discografica “In the Heart of City” è fuori ormai da qualche mese, com’è stata l’accoglienza di critica e pubblico? Ciao, intanto grazie, il disco per ora sta andando bene, abbiamo fatto qualche mese fa un tour che ci ha portati a suonare in Francia, Germania, Svizzera, Milano, Roma e varie altre città, a fine gennaio ritorneremo in tour fino a questa estate!
Ho trovato il vostro suono abbastanza poliedrico, frutto di tante influenze – emo, punk, stoner – ma senza legarsi ad una etichetta precisa, come siete arrivati a questa sintesi nella vostra musica? Siamo partiti nel 2010 facendo cover di gruppi punk, poi negli anni ci siamo appassionati alla scena locale della Canalese Noise (Cani Sciorrì, Dead Elephant, Ruggine) e tutti i gruppi da cui di conseguenza prendevano spunto. Per un po’ abbiamo cercato avvicinarci a quel suono, poi negli anni abbiamo trovato una nostra via più personale.
In che maniera siete entrati in contatto con Jonathan Nunez dei Torche che ha curato il mastering del disco? Apprezziamo parecchio i lavori di Jonathan, lo abbiamo contattato tramite Instagram all’inizio, lui è stato super disponibile, ci abbiamo messo un attimo a scegliere il master definitivo ma alla fine è uscito veramente bomba.
Dallo studio ai concerti il passaggio non è dei più semplici, come state promuovendo in giro l’EP? Da ormai più di dieci anni siamo tutti coinvolti nell’organizzazione di concerti e andiamo spesso a sentire le band di zona e non, abbiamo creato una rete di amicizie abbastanza forte per cui riusciamo sempre a suonare, chiaramente è difficile entrare in circuiti dove ci vogliono certe strutture alle spalle come agenzie, manager, label ecc. Sicuramente all’estero stiamo avendo più riscontro che in Italia questo purtroppo è risaputo tra tutte le band che hanno la possibilità di suonare fuori dal proprio paese.
Parlatemi dei testi, sono frutto di un lavoro di gruppo o del singolo? I testi li scrivo io (Simone) e spesso mi faccio dare una mano a correggerli e migliorarli, siamo un gruppo di amici per cui spesso in studio ci confrontiamo e aiutiamo, cerco di rappresentare quello che vive un ragazzo in una provincia come Cuneo e di tutto quello che comporta, per quanto ci sia benessere c’è una rassegnazione preoccupante, non è una città così facile in cui vivere soprattutto se hai passioni/sogni come la musica.
Per “In the Heart of City” vi siete affidati a quattro diverse etichette, in che maniera si è creata questa collaborazione allargata? Per coprire i costi di stampa abbiamo dovuto tirare in ballo diverse realtà che si sono messe in gioco per mettere alla luce il vinile, ne abbiamo ancora qualche copia e siamo felici di come è uscito fuori, è un vero gioiellino.
Quali sono i vostri prossimi progetti? Dopo questa estate ci metteremo al lavoro sul disco nuovo, che sarà un LP completo, nel frattempo faremo ancora uscire fuori del materiale inedito e ci piacerebbe rielaborare delle canzoni in versione acustica.
“I tuoi abbracci segnano la pelle” (Scatti Vorticosi Records / Metaversus PR) è il titolo scelto dai torinesi Alldways per la raccolta brani rivisitati (più un inedito) uscita il 16 giugno. Un’opera che rilegge la ventennale storia dei piemontesi in modo ecclettico e che apre una finestra sul futuro del gruppo.
Benvenuti, è da poco fuori “I tuoi abbracci segnano la pelle”, una raccolta di nove brani del vostro repertorio ri-arrangiati e un inedito. Cosa vi ha spinto a pubblicare un album antologico? Ciao a tutti! Dunque, abbiamo deciso di pubblicare questo album circa due anni fa. L’idea è nata dalla nostra voglia di voler dare ad alcune canzoni del passato, una nuova vita. Alcuni di questi brani, a nostro parere, non avevano avuto la giusta luce, la giusta prospettiva durante la composizione, ciò dovuto probabilmente alla nostra fretta, all’urgenza di espressione che era tipica della nostra giovane età, al tempo. Nonostante ciò i testi sono rimasti invariati perché anche a risuonarli, li troviamo tutt’ora contemporanei.
E’ stata dura individuare nove brani che riassumessero i vostri 20 anni di carriera? Sì, ogni brano ha una storia e un ricordo legato ad essa. Ne avremmo potuti scegliere altri, ma alla fine, anche per una questione di coerenza con il percorso fin qui fatto, abbiamo voluto scegliere uno o due brani per disco, mantenendo così un filo conduttore cronologico.
Come vi siete mossi in fase di ri-arrangiamento? Siamo partiti dalla scelta dei testi a cui siamo maggiormente legati e che volevamo riproporre, ci siamo poi concentrati sulla musica e sulle linee vocali. Per cause di forza maggiore, questo ha comportato lo stravolgimento di alcune canzoni anche perché per i primi otto anni, la voce del gruppo è stata una donna (Fede, ma poi anche Marta, Valentina, Monica).
Qual è il brano che, secondo voi, esce maggiormente rivoluzionato in questa nuova veste? Probabilmente “I’m Ready to Go”, tratto da “R.evolution” del 2009. Il testo narra di temi attuali, come l’alienazione da social (al tempo c’era Myspace e il primo Facebook) e della voglia di evadere dalla città. La musica e le parti vocali sono state totalmente stravolte, per dare risalto alle parole e alla velocità del brano.
Mentre, qual è quello più fedele all’originale? Forse “Senza lacrime”, che abbiamo cercato di rendere più diretta e compatta, scarnificando un po’ la durata e le parti strumentali. La struttura e la linea vocale, invece, sono abbastanza fedeli all’originale.
Passiamo ora alla traccia inedita, “Parassiti del benessere”: come è nata? E’ nata ad inizio 2020, prima dell’inizio della pandemia, l’avevamo registrata nella nostra sala in qualità di demo, poi vedendoci tre-quattro mesi dopo, ha preso una forma definitiva trovando anche la strofa finale del testo, che ci era mancata nei mesi precedenti. L’essenza del testo è una dichiarazione d’amore, non ad una persona, ma a Torino, il posto in cui siamo cresciuti e a cui siamo profondamente legati. Nella seconda parte, abbiamo voluto portare l’attenzione a ciò che quotidianamente dimentichiamo e distruggiamo del mondo che ci circonda e della casa che abitiamo. Questa canzone è una lettera che scriviamo a noi stessi, ai giovani che siamo stati vent’anni fa.
Cosa presenta questa canzone di inedito rispetto al vostro repertorio classico? La struttura è diversa, la scrittura “strofa-ritornello” non faceva molto parte di noi. Eravamo sfuggenti, in questo senso, il testo era sintetico e compatto e non c’era “respiro” nel brano, elemento che in quest’ultimo testo abbiamo invece voluto inserire. Le tematiche invece sono sempre le stesse, calate sul contesto che viviamo oggi, ciò che ci sta a cuore diventa spesso canzone.
Avete altri brani inediti, magari per un prossimo nuovo album? Sì, in questo momento ce ne sono alcuni già pronti, ma prima di un nuovo disco vogliamo sicuramente suonare e rendere vivo quest’ultimo registrato.
Promuoverete il disco dal vivo oppure resterà un’esperienza da studio? La volontà è quella di suonarlo dal vivo, compatibilmente con gli impegni di tutti noi. Prima dell’estate abbiamo fatto due date, ora nestiamo pianificando alcune per l’autunno. Speriamo di poterle fare tutte.
“Oltre la siepe” è il nuovo EP de Le Zoccole Misteriose, band di culto della scena underground abruzzese attiva dagli anni ’90 e tornata sulle scene con una formazione rinnovata. Interamente dedicata alla figura di Giacomo Leopardi, la quarta fatica discografica presenta una band che dal punk degli esordi si è evolutain una incendiaria miscela di stoner rock, hardcore e blues luciferino. Il tutto è accompagnato dai testi secchi, scarni e d’impatto di Raffaele De Gregorio, unico superstite della formazione originale.
Ciao ragazzi, benvenuti su Il Raglio del Mulo. La vostra band è tra le più longeve del panorama punk underground italiano, com’è cambiata la scena intorno a voi? Ne siete influenzati o avete sempre pensato a voi stessi e al vostro percorso? Una volta c’erano molte band anche da queste parti, c’erano anche più spazi per suonare. Attualmente, invece, non c’è quasi nulla. Comunque per vari problemi lavorativi, non abbiamo viaggiato molto o almeno non quanto avremmo voluto, quindi non abbiamo avuto molti contatti con la scena italiana.
Le Zoccole Misteriose nascono come punk band con testi ironici in italiano, nella vostra ultima release però ci sono svariate contaminazioni con doom, blues, stoner, sax impazziti e quant’altro, ci volete parlare un po’ di come sono nati i nuovi brani? I brani sono nati naturalmente unendo il sound di musicisti molto diversi tra loro, ma che per riuscire a coesistere musicalmente hanno comunque qualcosa in comune.
“Oltre la Siepe” è dedicato alla figura di Giacomo Leopardi, come mai questa scelta? Personalmente sono sempre stato affascinato dal pessimismo e dalla figura di Leopardi e forse mi ci sono anche un pochino riconosciuto. Comunque, mi sono chiesto come avrebbe reagito Giacomo, in virtù del suo pensiero, di fronte alla società contemporanea e, francamente, credo proprio che sarebbe impazzito: ed è questo il senso dell’album
Come nascono i testi delle vostre canzoni? A volte mi vengono in mente frasi che hanno un significato e che mi sembra suonino bene, ed infatti mi rimangono in testa per giorni. Poi in sala prove cerco di arricchirle con pensieri attinenti: in realtà, non li scrivo quasi mai su carta
Nel corso del tempo la line-up de Le Zoccole Misteriose è cambiata svariate volte, in che maniera i nuovi membri hanno contribuito al rinnovamento del sound? Ogni musicista che ha suonato con noi ci ha messo del suo ed ha lasciato la sua influenza, ho sempre pensato che un musicista debba avere la massima libertà creativa, altrimenti che sfizio ci sarebbe?
Siete noti nel sottobosco per le vostre incendiarie esibizioni dal vivo, vi vedremo in giro nei prossimi mesi? Sinceramente lo spero tanto, suonare nei live è l’unica situazione in cui mi sento veramente libero.
L’Abruzzo è una regione che ha sempre prodotto notevoli e interessanti band underground tra i generi più disparati, c’è qualcuna di esse con cui avete condiviso il palco o con cui c’è una particolare comunione d’intenti? Sicuramente Le Scimmie – che sono il duo stoner del nostro chitarrista Angelo Mirolli, detto Xunah – e sono veramente una grande band.
In Puglia c’è un festival “In Riva al Punk” che negli ultimi anni sta avendo notevole riscontro sia di pubblico che di band partecipanti, siete mai venuti dalle nostre parti? Riuscite ad esibirvi con regolarità in questo tipo di festival a tema? Purtroppo non conosciamo questo festival ,ma comunque cerchiamo di esibirci il più possibile.
Avete in programma di far passare molto tempo fino al prossimo disco o siete già attivi su nuovi brani con la nuova line up? Pensiamo di rimetterci a lavorare in sala prove in autunno per scrivere nuovi pezzi.
Non deve essere semplice mantenere una certa ironia e allo stesso tempo essere presi sul serio, in Italia non ci sono tantissime band che propongono ancora questo tipo di rock, allo stesso tempo abbiamo l’esempio degli Skiantos che sono un monumento alla quale anche uno come Iggy Pop ne ha ricordato la grandezza, quali sono le vostre influenze? Le influenze sono tante e variano per ogni elemento del gruppo, cerchiamo di miscelare assieme e di farci uscire qualcosa che ci convince: queste sono Le Zoccole Misterose.
A ritmi tirati da fantastici anni ‘90 hard core a San Francisco si alternano incursioni grunge, stoner e post punk. Ecco a noi l’EP “Time to Relax” (Autoproduzione, 2022) dei Lighting Mind Frequency. Scopriamone di più nella nostra intervista con la band. Contenuti bonus: tante novità sulla terza edizione di PAzzAo Music Fest, che si svolgerà a breve in Sicilia.
Avete registrato questo EP in autunno del ‘21, presentando canzoni su cui avete lavorato dall’inizio della pandemia. Il coviddi ha influenzato il processo creativo di “Time to Relax”? Diciamo più correttamente che il lookdown totale ci ha costretto a passare del tempo in isolamento a casa. In generale c’è chi è andato fuori di testa per questo, vedi tutti i casi di violenza domestica registrati e la depressione maturata da molte persone… Tuttavia noi ci siamo arrangiati bene, impiegando il nostro tempo per scrivere cose nuove, suonare e dedicare tantissimo tempo alla musica. Abbiamo riorganizzato la formazione con l’ingresso di Mughini come seconda chitarra nel gruppo. Diciamo che, da un punto di vista strettamente logistico e compositivo, questo periodo lo abbiamo sfruttato al meglio.
Il giorno dell’uscita dell’EP avete intrapreso un tour di 8 date in Germania e Olanda , che emozioni vi ha dato tornare a suonare dal vivo? C’è un episodio particolare di questi concerti che vi è rimasto impresso? Time to Relax Europe tour 2022 è stata l’esperienza più bella e vibrante che ci è mai capitata da quando esistono i Lighting Mind Frequency. In ogni città abbiamo raccolto montagne di sorrisi, divertimento e coinvolgimento da parte del pubblico. In due parole: good vibes. È stato il nostro secondo tour in Europa ma, ripeto, a questo giro si è percepito un fomento mai visto, a questi livelli, da parte del pubblico. Per farti capire, continuiamo a ricevere messaggi dai tanti nuovi e vecchi amici, incontrati nelle varie città, che ci chiedono quando sarà possibile rivederci.
Il viaggio in Europa ha ispirato nuovi riff? Sì, diciamo che stiamo già lavorando su cose nuove, caricati a mille dall’esperienza tour.
Bella storia! Il box di via Turrisi a Palermo continua a sfornare nuova musica e, grazie alla recente ristrutturazione, ha ottenuto pure una buona acustica. Altre band ci hanno già registrato, anche “Time to Relax” proviene da lì? No, “Time to Relax” è stato registrato al Tone Deaf studio di Palermo dal nostro amico super professionale Silvio Spadino, poi il mix è stato affidato a Grug (No Withe Reg) presso il Son House studio di Bologna, mentre il mastering è stato curato da un’altra nostra vecchia amicizia, Fabietto a Berlino presso Howlingfunkhouse studio.
Infatti ascoltando su Bandcamp si sente tutta la professionalità del risultato, ma non ci sono info sulla produzione… A proposito di Bandcamp, mi piace molto cliccare su lyrics e trovarci i testi delle canzoni, non tutte le band li aggiungono. Se dovessi associare una parola all’atmosfera generale nei testi, questa parola sarebbe “resistenza”. Come faremo noi electropunx a resistere al Grande Fratello che ci vuole lobotomizzare tutti? Bhe! Questo è un discorso nato da quando esiste il punk-rock o più in generale da quando esistono generi musicali che per definizione si indentificano “non conformi “contrapponendosi a schemi e dottrine prestabilite della società. Spesso capita di ascoltare dei testi di gruppi punk anni 80 ad esempio che sono estremamente attuali e questo dovrebbe fare pensare che in certi casi le cose non cambiano mai. Di contro bisogna riconoscere che la società occidentale di oggi è stata plasmata da temi affrontati anche dai gruppi punk anni 70 e 80 ma si tratta di una “naturale conseguenza” piuttosto che una vera e propria presa di coscienza… Il concetto è che, fin quando esiste qualcosa da contestare o a cui ribellarsi, di conseguenza ci sarà sempre un gruppo punk che vomiterà addosso contro a tutto e tutti quello che non va. Oggi, nell’era dei social, le forme di espressione o meglio le modalità di divulgazione sono cambiate radicalmente rispetto al passato e secondo noi questo non è un bene, ma non è neanche un male, si tratta solo di un risultato di un fatto quasi inevitabile. Con questo rispettiamo profondamente le scelte che ogni gruppo fa, sia in una direzione che nell’altra.
Il nome della band è ben rappresentato dal logo con il teschio munito di cervello e trafitto da un fulmine. Nella copertina del nuovo EP lo vediamo a figura intera mentre se la spassa in una spiaggia deserta. Come è nato il nome del gruppo? Il gruppo si è formato a Bologna nel 2016 e abbiamo iniziato a provare presso la sala prove autogestita di XM24. Per prenotarsi era necessario compilare con delle lettere il form, quindi istintivamente abbiamo gettato le iniziali dei nostri nomi… Diciamo che dalla modalità casuale di queste iniziali siamo passati ad un ragionamento molto più interessante, ci siamo fatti i flash trovando un significato molto più profondo, che corrispondeva alla nostra idea di gruppo e al messaggio identitario che volevamo rappresentare.
Wow! E la collaborazione di Giovanni Despair per l’artwork? Giovannino è un nostro carissimo amico di vecchia data, nonché ottimo batterista (Burst-up) e grandissimo tatuatore/illustratore. Con lui abbiamo condiviso tante belle esperienze a partire dalla leggendaria crew di Aquileja Rules (i box di viale Lazio a Palermo), un luogo magnifico dove circa 20 box, collocati nel basement di un grosso condominio, ospitavano praticamente tutta la scena punk hardcore e musicale della città nei primi anni del 2000. La nostra longeva amicizia e la conoscenza reciproca di cultura, gusti e stile non ha fatto altro che favorire il lavoro eccellente eseguito da Giovanni per l’artwork.
Quali sono i vostri progetti futuri? Suonare, suonare, suonare. Per noi non esiste una cosa più bella della musica, non vediamo l’ora di ripartire per nuove date, registrare cose nuove e fare nuove esperienze.
Dopo 32 anni a Palermo hanno ripetuto il Palermo (Pop) Festival, in cui nel 1971 suonarono i Black Sabbath. Dopo due anni di restrizioni torna anche il PAzzAo Music Fest, in cui durante la prima edizione avete condiviso il palco con gli Adolescents. Il festival si svolgerà il 5 e 6 agosto su una fresca collina dell’entroterra palermitano. Voi ci sarete stavolta? Quali novità ci saranno? Quest’anno vogliamo spingere il PAzzAo Music Fest alla massima potenza di fuoco! Oltre alla due giorni, 5 e 6 agosto, stiamo già gettando le basi per organizzare la winter edition a novembre. Per ciò che riguarda l’edizione estiva, possiamo anticiparvi che si esibiranno in due giorni 10 gruppi e 6 DJ provenienti da varie parti della penisola, che suoneranno un’ampia gamma di generi musicali: dal rock psichedelico al grunge, dal pap drill al dark, dal rock and roll garage al thrash metal, dal pop classico all’elettronica… Insomma, un vero e proprio contenitore musicale per tutti i gusti. Ci sarà un Bar-Food operativo H24, un’area barbecue, un’area relax, spazi tenda immersi in un contesto naturale top tra ulivi, fichi d’india e rocce. Noi non ci esibiremo con i Lighting Mind Frequency ma, siccome il piacere di sporcarci le mani e di spaccarci la schiena non ci manca (vedi esempi come i lavori del box che hai citato tu prima), stiamo dando il nostro contributo alla PAzzAo Crew costruendo il nuovo palco ed altre strutture di legno che saranno necessarie per lo svolgimento del festival.
Questo sì che significa fare le cose in grande! Come grandi sono i nomi dei due gruppi headliners: Paolino Paperino Band e 23 and beyond the infinite. Ci vediamo al PAzzAo! Speriamo vada tutto bene! Siamo molto emozionati ad ospitare per la prima volta in Sicilia i Paolino Paperino Band e tutti gli altri gruppi che in modo totalmente solidale hanno sposato la causa PAzzAo nella totale presa bene e per il puro divertimento, abbiamo bisogno di tutto questo ora più che mai… Vogliamo ringraziare e salutare tutti gli amici vecchi e nuovi, tutti coloro che ci seguono, ci supportano, ci ospitano quando siamo in giro, che si sbattono per organizzare concerti!
Paolo Merenda è tornato con il suo progetto Bag of Snacks, lo ha fatto a modo suo miscelando punk rock, cinismo e ironia. In attesa che “Love Songs For Work Haters” esca anche in versione CD per Flamingo Rec., quella in cassetta è già disponibile, abbiamo contattato il sempre disponibile Paolo…
Ciao Paolo, da poco è fuori “Love Songs For Work Haters”, album uscito a nome Bag of Snacks. Io ho perso il conto, ma quanti dischi hai pubblicato con i tuoi vari progetti? Ciao, grazie come sempre il supporto! “Love Songs…” è uscito per ora soltanto in tape rosa (limitatissima). Ne abbiamo approntate poche copie per gli ultimi due live. A breve però arriverà il CD targato Flamingo Rec. Si tratta di un elegante digipack a 8 pannelli, contenente anche un bonus CD di “Paper Girls”, primo album uscito nel 2020 soltanto in vinile. La mia discografia (penso) completa conta ormai una trentina di uscite, ho poi una pila di master demo / promo che non sono arrivati alla pubblicazione fra cui progetti che vanno dal reggae / pop al metalcore, passando per il rock’n’roll…
“Love Songs For Work Haters” che posto occupa all’interno della tua discografia? “Love Songs…” è un disco che mi ha entusiasmato molto. La produzione di Carlo (Toxic Basement) è stata fondamentale per la buona riuscita dell’album. Abbiamo registrato tutto in diretta nell’arco di un week end (senza neanche usare le cuffie!) come se fosse un live. E, a parte un mio problema con la tracheite, sono molto soddisfatto del risultato ottenuto. Le chitarre suonano sporche, ma allo stesso tempo fresche. Le canzoni poi sono varie, spaziano da ballate punk rock come “Garden” a sfuriate speed rock come “Chassis”. Danilo (batteria) e Danil (basso) sono due membri molto validi: a livello ritmico riescono a dare il giusto tiro ai pezzi pur essendo precisi (Danilo suona sempre a metronomo); inoltre hanno apportato soluzioni ritmiche differenti dai canoni del genere (vedi le intro di “Black Clouds” e “I Against I”) che danno un tocco di originalità alle canzoni.
Mi spieghi il titolo del disco? Il titolo del disco ne riepiloga semplicemente i contenuti: amore e odio per il lavoro. Le nostre canzoni d’amore sono sicuramente un po’ particolari, dedicate a cougar conosciute in un night alessandrino (“Garden”) oppure al punk rock stesso (“Punk Rock Message”). Mentre i testi contro il lavoro vanno dall’esplicito (“Hate Work”) all’ermetico (“Black Clouds”). Quest’ultima è una specie di danza anti-pioggia scritta quando mi pioveva in casa e i muratori tardavano ad arrivare.
Dammi la tua definizione di canzone d’amore… Ho sempre odiato le canzoni d’amore classiche, citando Bob Wayne: “Love songs suck”. Quindi secondo me la canzone d’amore deve saper essere originale e arrivare in profondità senza per forza tirare in ballo il rapporto uomo – donna. Per farti un esempio che nulla ha a che fare col punk, “Ti bacio ancora mentre dormi” dei Sottotono è una splendida canzone d’amore che tratta del rapporto padre – figlio.
Quanto c’è di autobiografico in “Record Collectors”? Ogni canzone di questo disco è autobiografica e pesca da esperienze personali di tutti i membri. Parliamo di NASPI (“Hate Work”), di cosa voglia dire lavorare al banco di un negozio (“Every Day”) e anche di cosa rappresenti il collezionismo per noi (“Record Collectors”). Trattiamo con ironia alcuni temi, mentre altri pezzi (“So Alone”, “I Against I”) sono molto più seri.
Il disco si chiude con “Generic HC Song”, quali sono le caratteristiche che una generica canzone HC deve possedere e bastano veramente pochi secondi per condensarle? “Generic HC Song” è una sorta di “canzone – cabaret” che funziona molto dal vivo. Nel primo album avevamo “Come On, Paper!” (un altro pezzo HC da pochi secondi) che presentiamo live come “Quella bella”. “Generic HC Song” è un pezzo che dura 9 secondi e riepiloga i cliché del genere HC: partenza in quattro sul rullante, ritmica veloce terzinata, coro che recita “Fuck you die!”. What else?
Mettiamo da parte i Bag of Snacks, come va la carriera di scrittore? “Carriera” è un parolone che andrebbe messo fra parecchie virgolette. Ho sempre pubblicato senza pagare, ma con piccoli editori e in tirature di massimo 300 copie. Detto ciò, diciamo che è un periodo in cui sono poco ispirato e molto poco motivato. Le motivazioni sono molteplici: innanzitutto provare in una saletta ammuffita con altre persone fra risate, peti e bevute è sicuramente più divertente di fissare uno schermo per ore. Inoltre suonare dal vivo ti permette di conoscere un sacco di gente e passare giornate in compagnia di nuovi e vecchi amici. Nel “mondo editoriale”, di cui più o meno faccio parte da una decina di anni, ho instaurato invece ben poche amicizie. Inoltre ho sempre più l’impressione poi che conti più “chi sei” piuttosto del “come scrivi”.
L’autoproduzione, per uno scrittore o per un musicista, è più una necessità o una manifestazione di indipendenza? L’argomento è piuttosto vasto ed è facile essere fraintesi. Diciamo che un editore o un’etichetta servono per avere maggiore visibilità e distribuzione. Inoltre un “occhio critico esterno” migliora il prodotto, permette di diminuire gli errori e di avere quella sicurezza che il risultato sia professionale. Ma ci sono parecchi “ma”. L’etichetta o l’editore devono comunque vendere un prodotto, per cui a volte intervengono in maniera sostanziale sul contenuto o l’immagine. A volte invece il prodotto che si propone è diciamo “fuori mercato” per cui, anche se di qualità, è difficile da piazzare per cui si ottengono ben pochi risultati. L’autoproduzione secondo me è la giusta via da percorrere se si ha già una certa dimestichezza nel “mestiere” e si hanno tanti contatti. Se invece è soltanto una scorciatoia per evitare critiche o confronti con persone che hanno più esperienza allora non serve a niente. Come dicevo, bisognerebbe approfondire il discorso per ore / pagine.
I nostri lettori dove potranno trovare nei prossimi mesi il tuo banchetto? Suonerò con gli A.S.E. a Genova il 13 luglio e a Cuccaro M.to il 17 settembre. Per l’occasione mi sono autoprodotto un libretto che raccoglie i racconti usciti qua e là nell’arco degli ultimi due anni e ho dato alle stampe un singolo inedito degli A.S.E. che accompagna il libretto.
Aggiungere il settimo tassello alla propria discografia, è un traguardo importante per una band. Gli Acid Brains con “Il Caos” (Artist First / (R)esisto) lo tagliano senza particolari problemi, ripresentandosi al proprio pubblico con un lavoro completamente in italiano.
Ciao Stefano (Giambastiani), il settimo sigillo è stato posto sulla vostra discografia, siete soddisfatti del risultato ottenuto? Scongiurata la crisi del settimo disco? Sì, decisamente soddisfatti! Sembrerebbe di sì, crisi scongiurata!
Se non crisi, però “Il Caos” ha portato con sé una serie di novità importanti, in primis il passaggio al lingua italiana per l’intero disco: come mai avete fatto questa scelta così radicale? Perché da anni ci stavo pensando e in molti me lo avevano consigliato. Prima non mi sentivo pronto ma durante il lockdown ho avuto il tempo per mettermi li e provarci e ci sono riuscito.
Dal punto di vista strettamente tecnico, il dover montare un testo in italiano, con evidenti differenze di metrica, vi ha condizionato oppure avete lavorato sempre allo stesso modo? Sicuramente il processo compositivo tra inglese e italiano è diverso. Prima i testi erano una cosa successiva alla musica ed erano molto semplici, ora sono una priorità e richiedono cura e pazienza.
Vi siete affidati a Manuele Fusaroli, produttore di alcuni dei maggiori dischi indie italiani, questa scelta come ha influito sul vostro sound? Noi siamo una band molto spontanea, abbiamo un sound ben delineato da anni e avevamo bisogno di curare i dettagli. Con Fusaroli finalmente l’abbiamo fatto.
Un titolo come “Il Coas” quanto ha che fare con la fase storica in cui viviamo? Moltissimo. L’EP si chiama cosi proprio per questo motivo. Oggi tutti noi viviamo nel caos…
Il primo singolo estratto dal disco è stato “Confucio”, credete che sia il brano più rappresentativo degli Acid Brain del 2022? “Confucio” e “2020” sono i singoli scelti ed entrambi sono perfettamente in linea con ciò che siamo oggi.
Cosa è rimasto intatto, dopo tanti anni, degli Acid Brains del 1997, anno della vostra fondazione? La sincerità e l’urgenza emotiva. Per noi sono due cose fondamentali.
Degli altri tre brani del disco che mi dici? Ogni brano di questo EP è concepito come un singolo e sono tutti collegati e complementari tra loro. Ogni brano è un pezzo del puzzle
Porterete il disco dal vivo? Sì, certamente. Non vediamo l’ora di farlo!
A tre anni dall’esordio discografico, Lemmerde pubblicano “Brown Album” (Autoproduzione, 2022), otto nuovi brani più due singoli usciti nel 2021. La formazione è composta da un solido power trio con Manuel (voce, chitarra) Maurilio (voce, basso) e Livio (batteria). Ecco la nostra rece-intervista traccia per traccia.
“AnarkoCukkarini” unisce la hit della soubrette più amata dagli italiani negli anni ‘80 e il celebre inno dei Sex Pistols. Questo mix di generi mi ricorda istintivamente la leggendaria punk band Me First and the Gimme Gimmes. Si tratta di un omaggio più o meno esplicito? I MFATGG, ovviamente grandiosi, è una band dalla quale si può solo imparare. Sono un’ispirazione certo, ma a dar vita a certi mix sono sempre le nostre personali influenze. Cercare di avvicinare generi così opposti dà non voluti colpi di “genio”.
“Polvere”, seconda traccia e singolo del Brown Album, reinterpreta uno dei primi successi di Enrico Ruggeri. Dalla new wave all’hardcore il passo è breve? Nulla di più improbabile che dare un motivo HC / black metal alla sperimentazione degli anni ‘80, ma non impossibile, in fondo è stato semplice e si tratta sempre di sperimentare.
“Cicale” omaggia un’altra eroina degli anni ‘80 televisivi, la biondissima Heather Parisi. L’intro death metal invece da quale canzone è tratto? Heather Parisi, un’icona che portava in Italia gli USA, ritmo spensierato e fresco. Quale migliore rimpasto se non coi Decapitated con la loro intramontabile “Spheres of Madness”.
“Tintarella” fa convivere in due minuti di durata Black Sabbath e Mina. Come procede questa convivenza? Una lotta di carisma tra due grandezze mondiali, ma che bene si trovano nel rappresentare l’oscurità della notte illuminata dalla luna.
“PuppAncora” approfondisce la dicotomia fra canzoni apparentemente diverse ma unite nello stesso brano. Avete sintetizzato perfettamente il pensiero di Francesco Nuti e quello di Eduardo De Crescenzo. Come ci siete riusciti? Un semplice gioco, ma forse fin troppe interpretazioni ne sono venute fuori.
“Meccaniche” e “Volare” mettono in luce un lato inedito di Franco Battiato e Domenico Modugno, il loro lato punk. In queste due canzoni, come anche in “Polvere”, non avete creato un medley di più brani. C’è una logica in tutto ciò? Semmai una illogica. In verità qualcosa stava affiorando come medley, ma andavano bene così, e chissà se una versione live o da singoli non si proponga.
“Medley”, appunto, è la traccia più lunga dell’album e propone Gino Paoli, Righeira, Jimmy Fontana, Adriano Pappalardo ed un pizzico di Umberto Tozzi. Questa canzone dà l’idea di cosa aspettarsi ad un vostro concerto… Come una compilation dance degli anni ‘90, tante hit si susseguono, e non è detto che non si continui ad estendere anche questo medley, che ha subito aggiunzioni nel corso degli anni.
“Ragazzo di minkia” ripesca una chicca del passato, la versione italiana dei Corvi di un brano garage americano di metà anni ‘60. Cosa succede a Livio e Maurilio durante l’assolo di Manuel nel video? Per i palermitani un must, una chicca, un non molto celato riferimento alle opere di Ciprì e Maresco. In pratica abbiamo dato un senso più vicino a noi a quello che consideriamo “un ragazzo di strada”.
“Iron Tiziano”, dopo un intro korniano, si dispiega in una versione skacore di “Sere nere”. Questo è uno scoop! Anche Lemmerde hanno un cuore? Abbiamo diverse sere nere e anche un cuore, ovviamente marrone!
Ospite di Mirella Catena su Overthewall,N-Ikonoclast leader dei Lucifer for President, freschi autori di “Asylum” (My Kingdom Music)!
Benvenuto N-Ikonoclast! Grazie Mirella ciao a te, e un saluto a tutto lo staff di Owerthewall e ai suoi ascoltatori.
Ti chiedo innanzitutto di parlarci della genesi della band e come si completa la line up attuale… I LFP, sono nati come mio progetto solista, era il 2017; all’epoca ero ancora felicemente sposato. Da molto tempo ero rimasto distante dalle scene, tranne una breve collaborazione con gli Aborym di Roma. Facevo il DJ metal e dark al Grind House di Padova e, oltre al mio lavoro, mi dedicavo alla mia attività di scrittore e poeta, senza mai scordare la mia chitarra, con la quale continuavo a registrare pezzi al PC. Tracce di matrice rock and troll, heavy metal grezzo e horror punk, dopo aver trascorso dieci anni negli Ensoph, e uno negli IsRain, in cui la proposta musicale era orienta verso l’industrial, metal, goth, prog… avevo bisogno di qualcosa di diretto, ideale da proporre un giorno dal vivo, se mai sarei tornato a fare musica. Non sono un polistrumentista, perciò un giorno mi decisi a mettermi in contatto con dei giovani musicisti, a ricoprire il ruolo di bassista, batterista e chitarrista; facemmo alcune prove, ma il chitarrista abbandonò subito, così (chiedere non costa nulla) mi azzardai a chiedere a Legione (Evol, Death Dies, Mad Agony e molte altre band). Ricordo ancora quando l’ho conosciuto, nel 93, mi tremavano le mani, ero e sono un fan sfegatato degli Evol. Con lui E Demian de Sabba, (il batterista) suonammo dei Death Dies, per alcuni anni, incidemmo un cd e un vinile, io ricoprivo il ruolo di chitarra solista. Con mia grande sorpresa, Legione accettò, e iniziammo subito a provare; le cose presero subito un’altra piega, diventammo una vera band, di cui legione è l’altro leader. Incidemmo così l’EP, omonimo “Lucifer For President”, come dicevo pocanzi, rock and roll, metal grezzo e horror punk, influenzato da band come Venom, Misfits, e Alice Cooper. Purtroppo, però riuscii a stringere tra le mani il CD solo mesi più tardi. Me lo portò Legione, mi trovavo ricoverato in una clinica Padova. Dopo che mia moglie mi aveva lascito, tentai per l’ennesima volta il suicidio, e questa volta ci misi sei mesi a riprendermi. Fui ricoverato per i miei problemi di depressione maggiore, disturbo borderline, abuso di cocaina e dipendenza cronica da alcol e psicofarmaci. Prima del triste episodio realizzammo due video “Lucifer for President” e “We Are Rock and Roll Stars”, realizzammo alcuni live molto teatrali, e crudi, uno addirittura, in un palchetto abusivo all’autonomo di Imola, prima del concerto dei Guns and Roses”. Il video di “L.F.P.” scatenò un putiferio sul web, la curia di Padova mi mandò la scomunica… cosa che cadde come un pugno di mosche, in quanto sono sbattezzato, e il sindaco del mio comune, mi invitò a cambiare residenza. Durante la mia assenza, trascorsa girando tra psichiatria, clinica e comunità (dove non puoi tenere neppure il cellulare e sei tagliato fuori dal mondo) Legione, al contrario degli altri membri che si allontanarono, venne sempre a trovarmi. Una domenica, non ricordo l’anno, oltre all’EP, portò con sé un ragazzotto, Daniel, (ex bassista dei Mad Agony e Sex Addicction). Non so come riuscì a riporre fiducia in me, all’epoca magrissimo e ottenebrato dai farmaci, ma decise di darmi una chance, cosa che mi commuove ancora, così entrò nei L.F.P., ci rivedemmo solo qualche anno dopo. Il Batterista: Demian De Sabba (Ex Evol, Death Dies, Mad Agony) fu arruolato allo stesso modo di Legione, senza nessuna speranza di ricevere una risposta positiva… e, invece accettò.
“Sex and Drugs and Rock’n’Roll” è il brano che abbiamo appena ascoltato ed è anche una celebre canzone del 1977 e successivo manifesto di più generazioni di rockers, pensate che ancora adesso non abbia esaurito la sua innegabile potenza e quanto ha influenzato la stesura delle liriche del vostro album? Ti confesso che quando ho scritto questo pezzo, la mitica canzone di Ian Dury del 1977, non mi passò neppure per l’anticamera del cervello, comunque è una vera icona e, di sicuro, nonostante la becera scena musicale attuale, non esaurirà mai il suo messaggio di ribellione… fa parte della storia del rock and roll!
Il genere che proponete è uno scanzonato rock’n’roll, figlio dei Misfits e dei Motorhead, ma all’interno del vostro album troviamo una versione che reputo geniale e malsana di “Amandoti” di Giovanni Lindo Ferretti – CCCP. Come mai avete optato per un brano così impegnativo e chi è l’artefice dello smembramento sonoro di cui è stato vittima questo capolavoro di musica e poesia? Una sera Legione mi propose di realizzare una cover di “Amandoti”, io rimasi perplesso e sulle prime, reticente. Di preciso mi chiese di cantare la canzone, in modo più fedele all’originale, ma di scrivere un testo, che lui avrebbe recitato alla fine di ogni strofa, mi spiegò a grandi linee cosa voleva trasmettere, in altre parole tutto il mondo di angosce e paure che io e lui viviamo rispetto a certi temi. La sera dopo gli mandai il testo e lui ne fu entusiasta. PS: a differenza di Gianna Nannini, avevamo colto che il grande Lindo Ferretti, non si riferisce a una persona, ma parla dell’eroina.
Tempo addietro ho visto un fantomatico e divertente cartello elettorale che diceva espressamente “Vota Satana! Perché accontentarsi del male minore quando abbiamo la possibilità di scegliere il male assoluto!”, da dove nasce la vostra volontà di volere un Lucifero presidente e quale giovamento sociale potrebbe apportare? Parlo a nome mio, io non appartengo a nessuna dottrina religiosa od ortodossia; seguo alcuni spunti della filosofia Luciferiana, ma all’interno della band nessuno è satanista, abbiamo in comune il gusto per l’horror. Siamo cresciuti divorando film di Dario Argento, Lucio Fulci, e certe produzioni di Pupi Avati, ascoltando i Goblin, era invitabile, che ciò si sarebbe rispecchiato nella musica, come era inevitabile che band come Venom, Celtic Frost, Bathory e Alice Cooper. La musica è sempre stata, demonizzata, a differenza di altre forme d’arte, in cui è successo più raramente, non so cosa abbia in testa la gente, ma dubito che dopo una giornata di riprese o di scrittura, personaggi come Dario Argento o Stefen King, se ne vadano in giro a massacrare il primo malcapitato. Comunque, per ritornare alla tua domanda, penso che se Lucifero governasse il mondo, arriveremmo a uno stadio di conoscenza e libertà, che non possiamo nemmeno concepire.
La fine di questo 2021 purtroppo ci ricorderà anche che il mondo del rock e dell’heavy metal saranno orfani di Lemmy da sei anni. Quanto pesa secondo voi la sua assenza e chi potrebbe essere il suo eventuale erede musicale? Tutta la band adora i Mothorhed, Lemmy è uno dei miei idoli, come Ozzy e Nikki Sixth, spesso al mattino andando al lavoro, netto sullo stereo i Mothored, e una profonda tristezza mi coglie. Non ci saranno eredi, come non ce ne saranno per Freddy Mercury, Jim Morrison, o Ronnie James Dio.
Cosa c’è nell’immediato futuro della band? Sicuramente un video, un photoset, speriamo altri dischi ma soprattutto tanti live!
Diamo i vostri contatti sul web per i nostri ascoltatori? Allora su Facebook la nostra pagina è https://www.facebook.com/LuciferForPresident, su Instagram cercate semplicemente il nome della band, o digitate presidentluciferfor.
Grazie di essere intervenuti, a voi l’ultima parola! Grazie di cuore Mirella per l’occasione che tu e Radio Overthewall ci avete concesso, un’ abbraccio a chi si segue. Mi raccomando, pensate sempre con la vostra testa, e ovviamente rock and roll!
Ascolta qui l’audio completo dell’intervista andata in onda il giorno 1 Novembre 2021
Nati dalle ceneri dei Lush Rimbaud, per volontà di tre musicisti attivi già con altre realtà underground marchigiane (Jesus Franco and the Drogas, NewLaserMen, Beurk!), gli Heat Fandango hanno da poco rilasciato l’entusiasmante esordio “Reboot System” (Peyote Press). Un interessante miscuglio di influenze disparate che si rifanno a The Fall, Gallon Drunk, Suicide, Lydia Lunch, Soft Boys e Thee Oh Sees. Ne abbiamo parlato con Marco Giaccani (basso/tastierista/farfisa).
Ciao Marco, “Reboot System” è un titolo strano per un esordio, dà quasi la sensazione che ci sia dietro la volontà di voler cancellare il passato e iniziare da zero. Dato che siete una band di recente formazione, qual è quel passato dal quale volete distaccarvi? In realtà, nessuno scheletro nell’armadio, l’idea è piuttosto quella di ripartire da zero di fronte all’evidente fallimento di molti parametri della nostra società. Lo sviluppo inteso come produzione forsennata, il consumo di risorse senza regole. Riavviare il sistema è l’ultima cosa rimasta da fare quando le hai provate tutte ma continua a non funzionare.
Da dove siete partiti? Avevate già del materiale proveniente dalle vostre esperienze passate oppure tutto è stato scritto per gli Heat Fandango? Noi tre (Tommaso, Marco, Michele) ci conosciamo da oltre vent’anni, e suoniamo insieme da sempre. Messa in pausa l’esperienza con i Lush Rimbaud, a fine 2018 abbiamo deciso di ripartire con questo progetto e a dicembre 2019 avevamo esordito dal vivo, avevamo una decina di pezzi, ed eravamo pronti per registrare. Poi è arrivato il covid.
Il disco è stato registrato a distanza durante i vari blocchi dello scorso anno, ma era stato già pianificato – magari con un’incisione più tradizionale – oppure l’esigenza di fare qualcosa è nata durante il lockdown? Era pianificato, ma avremmo dovuto registrare in presa diretta e invece ci siamo ritrovati in mezzo alla pandemia senza poter uscire di casa. Quasi per gioco Tommy ha registrato con la sua scheda audio un pezzo chitarra e voce e ce l’ha mandato per avere un feedback. Ci abbiamo messo sopra farfisa e drum machine e il risultato ci è piaciuto, e ci siamo detti “perché non rifare con la stessa modalità tutti i pezzi”? E così abbiamo fatto. Poi Filippo Strang del VDSS Studio di Frosinone ha fatto mix e master, Salvatore Liberti le grafiche e Bloody Sound e Araghost ci hanno permesso di pubblicare il disco, mentre Peyote press sta facendo promozione.
Le immagini promozionali del disco, almeno le due in mio possesso, vi ritraggono all’interno di un’abitazione, una in particolare in quella che sembra una soffitta. Non se sia stata una scelta conscia o inconscia la vostra, ma pare quasi che vogliate rafforzare l’idea di un album nato in casa durante il lockdown… Quello è il nostro quartier generale, il luogo da cui è iniziato tutto. Rappresenta le nostre origini, ed è da lì che vogliamo ripartire.
Passato è un termine che sta tornando spesso nelle mie domande, ma devo tirarlo fuori anche ora, il vostro sound è una mistura di sound del passato, dal garage rock al punk passando per la psichdelia, eppure il risultato è fresco e per nulla banale: come ci siete risusciti? Grazie, questo suona come un complimento! A parte gli scherzi, hai centrato il punto. Volevamo fare qualcosa di originale partendo dalle nostre radici, il blues malato, la psichedelia, la new wave. Siamo cresciuti con questa musica, fa parte di noi.
Chi ha avuto l’idea di utilizzare una farfisa? Io, in realtà sono un bassista, ma per caso, girando per un mercatino dell’usato, ho visto una farfisa Vip233 con il suo ampli, sempre farfisa. Parliamo di roba di fine anni 60, non sapevo neanche se funzionasse, così il negoziante mi ha proposto di prenderla e provarla, se non funzionava la potevo riportare entro tre giorni e mi avrebbe restituito i soldi. Non mi ha più rivisto.
Che storie avete raccontato dietro i testi? Sono pezzi di vita di tutti i giorni, sogni, riflessioni. Raccontano le impressioni, i desideri e le emozioni di vivere la vita, cosa che a volte sembra scontata, ma che è un’avventura continua.
Mentre, quale storia si cela dietro la copertina del disco? Sono foto di viaggio di Salvatore Liberti, l’autore delle grafiche. Sono frammenti di quello che resta del mondo sovietico, scattate tra Armenia e Georgia. Sono davvero belle, struggenti e melanconiche, ma allo stesso tempo potenti. Milioni di storie e di vite sono state vissute in quei luoghi, e ora sono deserti e abbandonati.
Dal punto di vista live si sta muovendo qualcosa? Per ora possiamo dire che il 16 ottobre presenteremo il disco al Dong di Macerata. Per il resto ci stiamo muovendo, tutto il settore è reduce da anni duri, ma spero di sì.
Paolo Merenda è un artista versatile: salta dalla musica alla scrittura con naturalezza e coerenza. Ma non solo, la sua vena camaleontica viene confermata dalla miriade di band, stilisticamente differenti, in cui è coinvolto e dalla notevole produzione letteraria che va dalla saggistica alla narrativa per bambini. Se c’è un’opera, però, che in qualche modo riesce a catturare entrambe le versioni di Paolo (musicista e scrittore) è “Break – Confessionale Punk” (Gonzo Editore), volumetto che al proprio interno contiene 50+1 mini-racconti e un CD.
Ciao Paolo,se non erro ci siamo sentiti l’ultima volta ai tempi del tuo esordio come autore per bambini con lo pseudonimo Paul Snack, come è andata l’esperienza “Il magico videogame”? Ciao! Sì, in effetti non pubblicavo carta da parecchio tempo. Sono stato impegnato fra problemi lavorativi e familiari, per cui ho preferito impiegare il poco tempo libero dell’ultimo quinquennio principalmente suonando. Ho pubblicato infatti parecchio materiale musicale, a differenza di quello cartaceo. Quel libretto alle fiere vende bene, parliamo sempre di piccoli numeri e di microeditoria. Non essendo un racconto “rassicurante” non è facile per una insegnante proporlo come lettura facoltativa, ne parlavo proprio pochi giorni fa con una persona del mestiere. Purtroppo la tendenza dei genitori è un po’ quella del padre di Siddharta…
Darai un seguito alla tua produzione per bambini? E’ un mercato molto difficile. La maggior parte dei libri che escono per editori specializzati sono realizzati “su commissione” dagli autori e si punta sulla produzione seriale dal successo di Geronimo Stilton. Ma io non voglio piacere a tutti e mi guadagno da vivere diversamente, per cui non sono disposto ad accettare troppi compromessi. In conclusione: per ora non ho più pubblicato libri per bambini. Se capiterà, con la giusta motivazione e il giusto editore, però potrei farlo (ho ancora materiale nel mio hard disk).
Da poco è uscito il tuo nuovo libro, “Break – Confessionale Punk”, contenente 51 micro-racconti. Come è nata questa raccolta? Il “micro-racconto” è una idea che mi frulla in testa da anni. Volevo qualcosa che stesse nello spazio di un biglietto da visita (deformazione professionale) che però fosse di senso compiuto (non aforismi, poesie etc…). Sul sito di “Inchiostro Sprecato”, un progetto letterario autoprodotto che ho ideato insieme ad altri amici del giro punk, abbiamo creato uno spazio per i “Racconti da visita”, alcuni scritti da autori noti. Dopodiché ho cominciato a lavorare ad una mia raccolta di storie, partendo dalla prima uscita sul nostro facebook. Ho proposto l’idea a Gonzo (che ho conosciuto grazie all’amico Vincenzo Trama, a cui è dedicato l’ultimo racconto) quando ancora era in fase embrionale (pensavo nessun editore mi prendesse sul serio), dopodiché abbiamo lavorato per definire e sistemare il tutto. Ci abbiamo lavorato per un annetto, il libro sarebbe dovuto uscire per la Fiera di Torino del 2020, poco prima del mio 40esimo compleanno, ma causa pandemia siamo arrivati a gennaio 2021. Ci tengo a menzionare il lavoro molto professionale di Gonzo, sia a livello di grafica/ ideazione che a livello contrattuale.
I racconti sono tutti inediti e scritti appositamente per questo libro o parte del materiale proviene dal tuo archivio? Avevo da parte circa 65 racconti, di cui ne abbiamo selezionati 51. Alcuni sono “reprise” – avrai riconosciuto in “L’artigiano” l’ossatura del plot narrativo di “Magico Videogame” – ma perlopiù si tratta di storie scritte apposta per la raccolta e con la stessa tecnica (750 battute spazi inclusi, divise in 3 paragrafi).
Leggendo queste 51 schegge ho sempre avvertito una sensazione di tristezza, quasi di rassegnazione, anche nei momenti più spensierati. Si tratta di una mia impressione o è effettivamente così? Hai perfettamente ragione. Penso che sia radicata in me ormai questa sorta di malinconia perenne. Anche quando scrivo un pezzo non mi esce mai “fun-fun-fun”. Penso che un po’ derivi dal mio essere “mandrogno” per cui esperienza e background hanno influito sul mio carattere. Inoltre quando ricordo l’adolescenza penso a qualcosa di magico e che non tornerà (anche se in realtà le problematiche erano parecchie). Credo che un po’ della causa sia la nostra memoria selettiva, che tende a ricordare soltanto i momenti piacevoli, ma parte di questo atteggiamento deriva anche dal fatto che ben pochi adulti vivano spensierati come bambini. A me è sempre piaciuto scherzare, prendere e farsi prendere in giro, ma lo humour non è per tutti. Il “mandrogno” poi usa spesso uno humour cinico, secondo me vicino a quello inglese. Anche per questo probabilmente il mio autore preferito rimarrà sempre Dahl. E forse sempre per questo motivo “Break” come il “Magico Videogame” non sono libri per tutti. Ma d’altronde non voglio piacere a tutti e, come già dicevo, non devo pagarci il mutuo con i libri.
Siamo abituati ad immaginare il punk come un movimento, per quanto di periferia, legato alle grandi città. Ma c’è anche un punk di provincia, e tu ne sei il cantore. Mi daresti la definizione di punk di provincia? In cosa si differenzia da quello metropolitano? Beh, non oserei definirmi il “cantore” del punk di provincia. Prima di me libri come “La città è quieta” di Carlo Cannella hanno avuto molto più successo e molti altri autori sono più conosciuti di me. Detto ciò, per definire il punk di provincia bisognerebbe definire prima il punk, che secondo me non me non è granché definibile. Posso dire soltanto che io amo la provincia e, da qualche anno, la vita di campagna. Da noi puoi vivere in mezzo a un bosco ed essere comunque a 5 km. dal centro storico e questo trovo sia un punto a favore della provincia. Inoltre il costo della vita ad Alessandria è decisamente basso, anche se abbiamo diversi punti negativi: l’alto tasso di inquinamento, il degrado in cui la città è decaduta negli ultimi anni e la delinquenza legata al mercato dello spaccio e della prostituzione. Posso aggiungere soltanto che fare musica alternativa in provincia è sempre stato difficile, mancano spazi, non c’è una “scena” alternativa etc… poi in un periodo come questo mi sembra ormai fantascienza parlare di live. Comunque sia parecchie band di Alessandria, di diversi generi, sono riuscite ad affermarsi all’estero pur essendo ben poco considerate in città.
Alla luce della tua definizione di punk di provincia, quanto c’è di autobiografico in “Break”? C’è sempre molto di autobiografico in quello che scrivo. A volte esagero i toni come nella tradizione dei “tall tales”, ma principalmente parlo di esperienze vissute: sia per essere più credibile, ma anche perché diversamente non saprei come fare. Ho sempre avuto ben poca fantasia, fin da bambino vedevo altri creare con l’immaginazione fantastiche storie e disegni: a me non usciva mai nulla. Sarà anche per questo che sono ancora legato ai fumetti, molto presenti in “Break”. Il disegno mi ha sempre affascinato, trovo che sia una forma d’arte molto elevata, ma sono totalmente negato.
Il libro contiene anche un CD, di che si tratta? Ho pensato al “bonus cd” principalmente per dare un valore aggiunto al libro “magro” di pagine. Ci tenevo poi a fare uscire queste tracce (originariamente pensate per il mio progetto A.S.E.) che non si sono concretizzate su disco a causa di problemi della line-up. Ultimamente ho ascoltato parecchie “One-man-band” ed è nata così l’idea di rivisitare le tracce in una versione più grezza e suonabile da solo. Ho registrato in un paio d’ore, in presa diretta, suonando con gli arti inferiori charleston e cassa, mentre con i superiori cercavo di fare del mio meglio per andare a tempo con la Telecaster, aiutato anche da un fuzz in alcune parti. I temi delle canzoni sono poi in linea con i racconti, per cui penso che il cd sia un complemento ideale. Gonzo anche in questo caso si è dimostrato subito disponibile ed ha pensato bene di creare un allegato “artigianale” in puro stile d.i.y. masterizzando e incollando uno ad uno i cd sul retro del libro.
Già che stiamo parlando di musica, c’è qualcosa che bolle in pentola su quel versante? Come One-man-band avrei voluto suonare per strada e nelle librerie a supporto di “Break” (ovviamente causa pandemia non l’ho ancora fatto), dopodiché sto continuando a suonare punk con il progetto “Bag of Snacks”. Il primo 12” è uscito durante il lockdown di aprile 2020 co-prodotto da diverse realtà italiane ed una americana. In queste ultime settimane invece ho iniziato a provare con un quartetto country/folk/blues (2 acustiche, contrabbasso e percussioni). Sono appassionato di musica e cultura country ormai da 20 anni, per cui trovo sia una esperienza entusiasmante. Con loro stiamo rivisitando alcuni brani del cd allegato a “Break” in aggiunta ad inediti e cover, sperando un giorno di suonare live.