Il mare talvolta riporta a riva oggetti che paino arrivare dal passato. Le onde del tempo ci hanno donato in questi primi giorni del 2021 un progetto che ormai sembrava sepolto definitivamente, rilegato alle chiacchierate tra vecchi nostalgici della scena underground italiana dei primi anni 90. Gli Oceana emergono dalle schiume come Venere e lo fanno portando in dono un disco, “The Pattern” (Time To Kill Records \ Anubi Press), che si spera possa essere di buon auspicio per il 2021.
Ciao Massimiliano (Pagliuso, Novembre), cosa ti ha spinto a lasciare nel cassetto un progetto per un quarto di secolo per tirarlo fuori proprio nel pieno di una pandemia?
Innanzitutto, ciao e grazie per questa intervista! In realtà, non c’è stata nessuna scelta o decisione presa a tavolino dietro al nostro ritorno sulla scena: una sera di maggio, nel 2019, ho semplicemente chiesto a Sancho (il batterista, nonché mio migliore amico da 30 anni) se avesse voluto rimettere in piedi gli Oceana insieme a me e lui ha risposto di sì! Ovviamente, coinvolgere di nuovo Gianpaolo (l’altro chitarrista) è stato praticamente automatico.
Prima di soffermarci sul presente, ti andrebbe di tornare ai primi giorni degli Oceana: come nascono e con quali influenze?
Gli Oceana nascono nel 1993, anche se con un altro nome, e le nostre influenze di allora erano i Paradise Lost, gli Edge Of Sanity, i Nightingale, oltre a gruppi storici come Metallica, Megadeth, Dream Theater. Abbiamo sempre amato più di un genere e, nei nostri lettori CD dell’epoca, potevi trovare “Supremacy” degli Elegy, tanto quanto “Crimson” o “Purgatory Afterglow” degli Edge Of Sanity”. Come band, siamo nati durante il periodo del liceo, quando l’essere amici con interessi musicali comuni portava quasi sempre a creare una band, pur di potersi esprimere.
Credi che rispetto all’idea iniziale gli Oceana di oggi siano abbastanza fedeli o inevitabilmente hanno risentito del passare del tempo?
Siamo indubbiamente cambiati (spero migliorati!) nel songwriting: i primi pezzi del gruppo, periodo ’94/’96, erano sicuramente più doom e meno progressivi, mentre dal ’97 in poi abbiamo cominciato a sbizzarrirci di più con soluzioni meno convenzionali e più interessanti, sia armonicamente che melodicamente.
Cosa avete provato a lavorare nuovamente insieme? La formazione è pressoché la stessa dato che tu e Alessandro “Sancho” Marconcini avete fondato il gruppo e Gianpaolo Caprino si è unito a voi nel 1997.
Tornare a lavorare con Sancho e Gianpaolo è stato stupendo, essendo noi tre assolutamente complementari. Ci tengo a ricordare il rapporto di amicizia che ci lega da trent’anni: quando ti conosci così bene da tutti questi anni è impossibile avere sorprese in negativo. Posso dire che lavorare a “The Pattern” insieme, dopo un periodo di “fermo” di vent’anni, è stato addirittura terapeutico per noi: abbiamo potuto migliorare tante cose e tanti aspetti dei nostri caratteri, arrivando a “rimodellare” la band a 360 gradi, in più aspetti. Io ne sono particolarmente felice!
Siete ripartiti dai vecchi brani o avevi già dei pezzi nuovi?
L’idea era quella di riregistrare tutti i pezzi degli Oceana (la fase “demo/ep”, quella del mini CD “A Piece Of Infinity” mai uscito, la lunga suite “Atlantidea Part 1”) e aggiungere un’inedito ed una cover. Ovviamente, essendo “You Don’t Know” il nostro pezzo più recente (2019), lo abbiamo scelto come singolo e lo consideriamo un biglietto da visita perfetto per presentare i nuovi Oceana al mondo.
Avete mai avuto la tentazione di ristampare l’EP, magari come bonus per “The Pattern”?
L’idea c’è stata, ma non avrebbe avuto senso, dal momento che “The Pattern” contiene già i pezzi dell’EP.
La squadra che ha lavorato al disco “puzza” molto di Novembre, il tuo gruppo principale: hai collaborato con Giuseppe Orlando e Dan Swanö: come mai hai deciso di circondarti di amici e non magari di staccare completamente i due progetti?
La volontà di lavorare con Giuseppe per quanto riguarda la registrazione di voci e chitarre acustiche è stata una mia precisa scelta: il suo studio possiede una sala di ripresa che suona magnificamente (anche grazie al perfetto equilibrio tra zone “assorbenti” ed altre in porfido, “riflettenti”) e lo reputo il miglior producer per quanto riguarda la voce. Ci conosciamo da più di vent’anni e mi trovo bene a cantare solo con lui. Per quanto riguarda Dan, il discorso è ancora più semplice: è letteralmente il mio idolo, da sempre. Lo reputo il mixing engineer più pragmatico e smart che abbia mai visto in vita mia ed il suo essere sia produttore che musicista sopraffino ha reso possibile un missaggio estremamente intellegibile, anche nelle parti più complesse e con molti layers.
Il mondo è cambiato parecchio dalla prima metà degli novanta, come hanno influito questi stravolgimenti culturali e sociali sui testi?
Il mondo si è letteralmente trasformato in questi ultimi 20 anni e non nego di aver dovuto riadattare dei vecchi testi per poterli rendere al meglio nel 2021… Sicuramente il prossimo album avrà testi ancora più attuali ed inerenti a ciò che stiamo vivendo. Purtroppo non si può più far finta di niente e parlare solo di cavalieri o elfi…
Mentre la decisione di coverizzare “The Unforgiven” dei Metallica come è nata?
Beh, “The Unforgiven” è uno dei miei pezzi preferiti dei Metallica e l’idea di poterci mettere le mani mi ha sempre allettato: abbiamo cercato di renderla nostra senza stravolgerla troppo e spero che il risultato vi piaccia!
Credo di aver intercettato un tuo commento sui social in cui dicevi che la copertina di “The Pattern”, firmata da Travis Smith, è la più bella mai avuta su un tuo lavoro. Mi spiegheresti il significato dell’immagine?
Spiegare un’immagine è molto complicato, soprattutto quando si parla di “surreale” o di “metafisico”: diciamo che l’idea era quella di rappresentare un mondo in pieno declino, sommerso dal mare, dove dalle sue ceneri comincia a nascere un nuovo mondo, consapevole degli schemi ricorrenti e della virtualità/olograficità della nostra realtà. I sopravvissuti a questa fine del mondo li immagino sotto al torii giapponese che si vede in lontananza, raccolti in una nuova preghiera senza etichetta. Niente Cattolicesimo o Buddismo, o altro… solo pura e umana spiritualità. Nella speranza di un nuovo mondo più empatico.
Restrizioni a parte, se si dovesse riprendere con l’attività live, porterete in giro gli Oceana o nelle vostre intenzioni si tratta di una mera esperienza da studio?
Gli Oceana non sono assolutamente un progetto, ma una vera e propria band in piena attività: superata questa brutta storia chiamata Covid19, faremo di tutto per poter portare la nostra musica ovunque. Stiamo già provando da mesi e mesi per prepararci ai futuri live. Non vediamo l’ora di suonare dal vivo davanti ai nostri fans!
