Nanga Parbat – La montagna assassina

I Nanga Parbat hanno iniziato un cammino tanto personale quanto avvincente. La prima tappa di questa marcia è “Downfall and Torment” (Sliptrick Records), lavoro complesso, capace di ammaliare e stordire l’incauto esploratore che osa sfidare la Montagna Assassina…

Benvenuto Andrea (voce), dopo tre singoli è arrivato finalmente per voi il momento di dare alle stampe il vostro album di debutto, “Downfall and Torment”. Cosa significa avere fuori un disco, un segno tangibile dei vostri sforzi, soprattutto ora che non potete realizzarvi come artisti su un palco?
Per noi è un grandissimo traguardo, è stato un cammino lungo e faticoso, ed essere arrivati a questa meta ci riempie di orgoglio. Oggi viviamo un periodo di grande incertezza per tutto il panorama artistico ma grazie a “Downfall and Torment” stiamo riuscendo ad entrare nel cuore delle persone anche attraverso uno schermo. Sicuramente avremmo preferito un bel release party ed una serie di live promozionali in tutta la Penisola ma ci rendiamo conto che ci sono altre priorità al momento!

Tornerei ai tre singoli che hanno preceduto il disco, ho notato che nell’album questi pezzi vengono proposti di seguito e si trovano quasi al centro: ritenete che siano il cuore dell’opera e che da soli possano rappresentare al meglio il vostro stile?
La posizione dei tre singoli all’interno della tracklist è stata pressoché casuale, sicuramente i trebrani sono stati scelti poiché sono gli unici ad avere una struttura ed una durata più “canonica” e quindi più fruibile come singolo e come base per un video musicale. La seconda parte del disco invece è incentrata sui due brani più complessi e progressivi che sono “Curse of the Thaw” e la titletrack, quindi potremmo dire che i tre singoli sono sì dei brani chiave all’interno del disco ma non sufficienti da soli a rappresentare il genere e il messaggio dell’opera che rimane descritto dalla totalità delle nove tracce di “Downfall and Torment”.

Resterei sullo stile che proponete, il vostro approccio al death metal è molto complesso, con venature progressive, quasi in controtendenza rispetto alle uscite attuali che tendono a privilegiare sonorità più old school: non temete che questa scelta possa penalizzarvi?
La nostra non è stata una scelta di stile, abbiamo composto le canzoni senza sapere prima in che parte della tassonomia del death metal saremmo andati a finire. Non ci siamo dati regole o canoni, abbiamo semplicemente lavorato molto a lungo sugli arrangiamenti e sulla costruzione del concept del disco e questo è ciò che ne è uscito. Se questo possa penalizzarci è difficile a dirsi ma crediamo che “Downfall and Torment” sia un disco sufficientemente ricco da poter essere apprezzato sia dagli ascoltatori più moderni che da quelli più “old school”.

Altro fattore che dimostra come vi muoviate ai limiti e che non temiate di allontanarvi da quelli che sono i cliché del genere è la scelta del vostro nome: come mai avete deciso di chiamare il gruppo come un monte della catena dell’Himalaya e non con un prosaico nome più oscuro?
Come dicevamo appunto nella risposta precedente non abbiamo cercato di definire la musica secondo dei canoni ma piuttosto di far definire i canoni dalla nostra musica stessa. Proprio per questo motivo, il nome è stato scelto successivamente alla composizione del disco, avevamo bisogno di un nome che fosse particolare ma allo stesso tempo altisonante e richiamasse a qualcosa di ignoto e tenebroso. Il Nanga Parbat, la nona montagna più alta della Terra e una delle più mortali, soprannominata appunto la montagna assassina, un nome che si associa perfettamente alla nostra musica.

Nei testi, invece, quali tematiche trattate?
Nei testi cerchiamo di dare risalto alla potenza e all’indomabilità del mondo naturale. Spesso ci siamo trovati a narrare di ambienti estremi o di fenomeni atmosferici inarrestabili. Abbiamo fatto molte ricerche anche su diverse figure leggendarie e mitologiche come si può evincere dai brani “Tidal Blight” e “Demon in the Snow”. Il primo narra infatti del grande cetaceo bianco cacciato dal Capitano Ahab ed il secondo di una tigre fantasma che secondo alcune leggende abiterebbe la taiga russa. Nei nostri testi dunque amiamo inserire sia figure appartenenti al mondo animale che generalmente a quello naturale, cercando di infondere significati specifici a figure già molto evocative.

La copertina cosa rappresenta?
La copertina rappresenta le disfatte che si autoinfligge l’uomo per cupidigia, orgoglio e illusione di grandezza. Questo conflitto che l’uomo vive con se stesso e con il resto della sua specie si staglia sullo sfondo della natura. Quest’ultima si trova spesso colta nel fuoco che viene da entrambi gli schieramenti, relegata ad un ruolo secondario in tutte le vicende umane. La nostra copertina vuole riportare l’attenzione sul vero colpevole di tutto il male che ogni giorno si scatena sulla terra: l’uomo.

Nel disco compaiano numero si ospiti, vi andrebbe di presentarli?
Certamente! Per arricchire il lavoro abbiamo fatto contribuire alcuni nostri amici musicisti che hanno impreziosito l’opera. Edoardo Taddei: Giovanissimo Guitar Hero romano (Classe ‘99) che ha scritto e suonato l’assolo di “Through a Lake of Damnation”. Davide Straccione: Storico frontman degli Shores of Null e degli Zippo e mastermind del Frantic Fest, amico di vecchia data della nostra band ha cantato alcune strofe pulite della titletrack. Vittoria Nagni: Violinista classica, ex-Blodiga Skald, ha suonato le parti di violino solista sull’intro e su “Tidal Blight”. Fabiana Testa: Formidabile session woman blues e jazz sia elettrica che acustica, ha suonato l’intro acustica. Martin Vincent: Amico della band, inguaribile metallaro, ha vissuto molti anni in America ed ha quindi recitato la strofa di “Tidal Blight” estratta dal Moby Dick di Herman Melville. Francesco Ferrini: Dulcis in fundo, uno dei fondatori dei Fleshgod Apocalypse, orchestratore e arrangiatore di fama mondiale, ha lavorato alla produzione delle orchestre insieme al nostro Edoardo.

Alla luce del grande lavoro fatto in studio, quando potrete tornare ad esibirvi dal vivo, sottoporrete i brani a un riarrangiamento o li proporrete in modo fedele sul palco?
L’obiettivo è sicuramente quello di proporre i brani nel modo più fedele ed autentico possibile, siamo convinti che tutto ciò che è stato proposto nel disco sarà ugualmente fruibile e godibile anche in un contesto live. Resta da decidere l’effettiva setlist per i futuri live ma stiamo già lavorando in questa direzione per rendere le nostre performance non solo energetiche ma anche iconiche e fluide. Vogliamo portare un grande show e stiamo già escogitando vari sistemi per farlo ma per questo dovrete aspettare ancora un po’!

La prossima cima da scalare?
Ovviamente, il prossimo disco che stiamo già componendo! Il mondo della musica dal vivo è ancora troppo incerto per pensare ai palchi mentre invece un momento come questo è perfetto per ricominciare a comporre nuova musica.

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