Nerascesi – La sorgente del vuoto

I Bastard Saints, dopo una serie di pubblicazioni, arrivarono nel 2012 all’agognato primo album, però “The Shape of My Will”, invece di dare il via a una proficua carriera, si rivelò il canto del cigno dei lombardi. Dalle ceneri di quella formazione, sono nati i Nerascesi, autori dell’ottimo esordio omonimo pubblicato dalla Iron, Blood and Death Corporation \ Grand Sounds Promotion. Dopo aver raccolto l’entusiasmo dei due Andrea (Marino e Serrao), siamo certi che “Nerascesi” si rivelerà il primo passo di una lunga e prolifica carriera.

Ciao ragazzi, i Nerascesi nascono dalle ceneri dei Bastard Saints, storico gruppo attivo dal 1997. Come mai quella avventura è finita?
Andrea Marino: L’avventura è finita perché volevamo trasformare in qualcos’altro l’esperienza della band. Volevamo rendere più cupe e dirette le tematiche proposte con Bastard Saints. Il nostro approccio alla musica che proponiamo si è fatto altro rispetto al passato e ci sembrava giusto lasciare il nome Bastard Saints. Abbiamo suonato e conosciuto molte persone durante l’attività del gruppo. Abbiamo conosciuto anche altre persone. Per esempio Sean che non ha militato nei Bastard Saints ha estremizzato di più tutte queste tematiche e reso il nostro sound più tetro e di pesante. Necessitava un altro nome.

Cosa vi ha spinto a iniziare da zero come Nerascesi?
Andrea Serrao: Nerascesi ha rappresentato indubbiamente un nuovo inizio, pur volendo mantenere una continuità in termini di intenti. Sicuramente ci siamo resi tutti conto del fatto che qualcosa fosse cambiato nel nostro modo di intendere la musica estrema, ma anche nelle finalità per le quali suonare e il nostro rapporto con la scena musicale. Personalmente diverse attività mi hanno allontanato nel corso degli anni dall’ambiente musicale, passioni e attività lavorative differenti, pur mantenendo un legame fortissimo con la musica e la voglia di farne di nuova. Nonostante questo è chiaro che non essendo più integrato in un contesto cambiano le influenze e le motivazioni, portandoti a voler sperimentare cose diverse: venendo meno un certo scambio comunicativo e maturando le idee in maniera isolata, per così dire, per forza cerchi un linguaggio tutto tuo, facendo un percorso indubbiamente più personale: è una strada che stiamo percorrendo con tutta la tranquillità del mondo, senza stress o missioni da portare a termine.

Cosa vi portare dietro di quella esperienza e cosa, invece, avete tagliato definitivamente del vostro passato?
AM: Non abbiamo tagliato nulla da passato. Sempre stati fieri di quello che abbiamo fatto e come l’abbiamo fatto. Ci portiamo dietro bellissimi anni di live underground e corrispondenza sparsa in giro per il mondo.
AS: Purtroppo nei Bastard Saints ho passato davvero poco tempo, essendo stato l’ultimo membro ad essere integrato nel gruppo nell’ottobre del 2012, per poi chiudere il capitolo assieme al resto della ciurma nel marzo 2015. Siamo amici da una vita a prescindere dalla strada condivisa a livello artistico, persone che mi sono sempre state a fianco anche quando ero in altre band, spesso condividendo il palco assieme. Loro come tutti gli amici di altre formazioni con i quali ci sentiamo ancora e passiamo del tempo assieme. Non tagliamo nulla, teniamo tutto, ne vale davvero la pena!

“Nerascesi” è il vostro disco d’esordio, è un metal estremo old school che pesca dal death e dal black delle origini. Avete una predilezione particolare per uno di questi generi o vorreste che le due componenti fossero ben bilanciate tra loro?
AM: Non facciamo troppi bilanci in fase di composizione. Quello che dici è corretto perchè sono i generi che seguiamo in modo particolare e da più tempo. Inoltre sono i più adatti a proporre le nostre tematiche oltre il fatto che da suonare sia in sala prova che dal vivo sono i genere migliori al mondo.
AS: Nessuna preferenza. In ambito estremo penso di aver suonato praticamente di tutto e mai nella sua forma più pura. Continueremo nel nostro percorso di ricerca personale di un suono che sia 100% Nerascesi senza decidere delle coordinate stilistiche ereditate dai nostri ascolti passati o presenti. Certo, questo disco ha dei riferimenti palesi ad alcuni dei nostri gusti musicali, ma c’è da tener conto che è la sintesi di periodi molto differenti, ognuno con le sue influenze ed interessi.

Quanto “Nerascesi” si avvicina all’idea di sound che avete in mente quando avete fondato il gruppo?
AM: Credo che trovare il sound perfetto sia una cosa che non si esaurirà mai. Siamo sempre felici di trovare qualche suono nuovo o particolare. Sta di fatto che questo disco è proprio come lo volevamo e come l’abbiamo concepito. Nonostante i pezzi sono stati composti nell’arco di molti anni siamo riusciti a fondere tutto in un unico contenitore che trasmettesse quel lato macabro e onirico della vita.
AS: Il primo criterio in base al quale abbiamo pensato ad un suono tutto nostro è stato “riff con meno note per cortesia, non abbiamo più l’età e la testa per ricordarcele tutte”.

I pezzi sono stati scritti per “Nerascesi” o alcuni erano già stati composti e mai registrati per altri progetti precedenti?
AM: Come dicevo ci sono un sacco di riffs che arrivano dal passato. Pezzi che non sono mai stati registrati oppure che non sono mai stati finiti. I membri di Nerascesi si conoscono da più di vent’anni ormai e in questo periodo abbiamo collaborato ad altri progetti e in qualche modo suonato assieme. Diciamo che questo disco ha avuto la capacità di sintetizzare parte di questi anni.
AS: Ci sono alcuni riff che risalgono al 2001, per la precisione quelli delle prime due tracce, “Le Sorgenti del Vuoto” e “Diluvio e Benedizione”. Gente che li ha suonati con me in vent’anni fa scoppierà a ridere quando li sentirà (o a piangere, dipende). “Ancora ‘sta roba?!?”. Sì, ma parecchio rivista e resa più diretta e primitiva. Sean ha dato una bella spinta a tutto e un contributo enorme: nonostante sia quello con le bacchette in mano, è stata la persona che ha composto una percentuale davvero consistente del materiale che senti nel disco.

State esordendo in un periodo in cui l’attività live è fortemente condizionata dall’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, non temete che l’impossibilità di poter portare in giro il disco potrebbe in qualche modo minare la crescita di popolarità della band?
AM: Non ci interessa la popolarità. Ci interessa arrivare a chi piace questa musica fino al midollo. A chi è fatto per queste tematiche e a chi ci si riconosce in tutto questo. Tutte queste persone sono archeologi e ci trovano anche senza live. Poi il live è un qualcosa in più all’esperienza solitaria dell’ascolto. Quest’ultima l’ho sempre prediletta al fine di fare mio un disco e un messaggio. Il live rende solo questo messaggio terreno e possibile.
AS: Le poche volte che abbiamo suonato dal vivo abbiamo fortunatamente raccolto dei buonissimi frutti: chi ci ha visto è sempre rimasto ben impressionato. La cosa mi fa piacere e non nego che in passato per me aveva un bel peso: insomma dai, ci sta, i complimenti non sono tutto nella vita di un gruppo, ma ogni tanto un po’ di concime per nutrire le piantine ci vuole. Ora come ora mi farebbe piacere rimettere piedi su un palco, ma non lo considero così indispensabile: la cosa che più mi diverte è sperimentare nuove soluzioni con i miei compagni di gruppo in sala prove, e uscire da questa vedendo tutti appagati dalla sessione di scrittura dei brani. Andare avanti, in questo momento non fermarsi è tutto.

In questo momento storico quanto diventano importanti le piattaforme digitali e i social per la crescita di un gruppo?
AM: In questo momento i social sono molto utili. Rimangono solo uno strumento però. Secondo la mia visione non apportano nulla in più. Facilitano la comunicazione e velocizzano i processi legati alla tua musica. Se non si fanno andare le mani rimangano bytes in un server.
AS: Permettono alle persone di conoscere nuovi artisti senza comprare dischi a scatola chiusa. Dici poco? Il loro utilizzo però va dosato: vedo tante band pubblicare anche le volte che vanno al cesso tra una ripresa in studio e l’altra, mentre sarebbe il caso di permettere alle persone di focalizzarsi sull’essenziale: va bene far sapere che sei al lavoro, ma la musica non deve essere il contorno, anzi. Pensa ai Deathspell Omega: una formazione apprezzatissima, matura, molto conosciuta dagli amanti del genere, eppure mi pare che non abbiano tutta questa attività sui social media in ballo. In tal senso il loro esempio risponde perfettamente alla tua domanda.

Chiudo l’intervista tornando al punto di partenza: i Bastard Sainsts pur avendo avuto una carriera pluridecennale alla fine, a fronte di molti split, hanno pubblicato solo un full-length nel 2021. Con I Nerascesi punterete a dare una maggiore continuità alle vostre uscite oppure non forzerete la mano pubblicando solo come e quando vorrete?
AM: L’idea di continuare per molti anni a comporre dischi e suonare dal vivo è sempre il nostro obiettivo. Bastard Saints come Nerascesi sono creature che possono fermarsi e diventare altro anche distanza di anni. Quando si forma un alchimia con delle persone attorno a delle note e un messaggio tutto è possibile. Vedo tutto come della brace che può sempre prendere fuoco da un momento all’altro.
AS: Sicuramente l’importante è pubblicare qualcosa di cui sei veramente convinto. Ho sempre pensato fosse preferibile una discografia contenuta e un contenuto numero di esibizioni di qualità a un’attività musicale con ritmi da catena di montaggio. Sulla quantità è innegabile che il tuo lavoro ne risenta. Non faremo né troppo, né poco: uscirà quello che è giusto esca e suoneremo in un altrettanto sensato numero di concerti.

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