Edda – O capitano! Mio capitano!

Nuovo album solista per Stefano Rampoldi, meglio conosciuto come Edda. Ex-cantante dei Ritmo Tribale, storica band tra le più rappresentative per quel che riguarda il rock italiano fine 80, inizio 90. Giunge al suo sesto lavoro solista, settimo se si considera la collaborazione di due anni fa con Gianni Maroccolo, “Noio; volevam suonar.”, album registrato a distanza durante il lockdown del 2020. Ed è proprio sotto la produzione dello stesso Maroccolo che nasce questo “Illusion”, disco che sta riscuotendo molto successo. Per saperne di più ne abbiamo parlato direttamente con il cantautore milanese.

Edda, ascoltando i tuoi album, ad esempio “Graziosa utopia”, “Fru fru”, per nominare i più recenti, viene da chiedersi, come fai a fare un disco così differente ogni volta?
Premetto che non è una cosa ricercata, la “colpa” è dei produttori e degli arrangiatori. I dischi che hai citato sono però il frutto di lavoro di un team simile, cioè Luca Bossi, Fabio Capalbo. Non saprei onestamente. Non è proprio un bene sempre eh…. con “Fru Fru” mi son spostato in campi molto lontani dai miei…A volte va bene, a volte meno, è che non è facile mettere a fuoco le mie canzoni, a volte io più che servire ai produttori sono per loro un disservizio, perché do a loro delle direzioni un po’ sbagliate. Io in definitiva non partecipo, porto la canzone, voce e chitarra, poi esco dallo studio e torno quando la canzone è fatta, completata.

Un po’ come succedeva già con i Ritmo Tribale…
Sì, in parte sì. Portavo le mie canzoni e loro le rivestivano, vero, sì.

E’ un pregio fare un disco differente ogni volta, anche se a volte non si è compresi da tutti.
A volte il tutto viene spontaneamente che non te ne accorgi neanche, il fatto dell’arrangiamento è veramente difficile per uno come me che le canzoni non le sa arrangiare. Faccio fare il lavoro agli altri.

Come son andati i primi concerti a Roma e Bologna la scorsa settimana?
Bene. Lo scorso tour forse non partì con il piede giusto, successivamente ebbe uno stop un po’ brusco, invece qui sembra che abbiamo iniziato abbastanza bene, ai concerti c’era parecchia gente, siamo soddisfatti di questo buon inizio.

Di spalla ha suonato Umberto Maria Giardini, da tanti conosciuto meglio come Moltheni, avete suonato qualcosa insieme dato la vostra collaborazione alcuni anni fa?
No, insieme no. Mi ammazza con la sua voce. Però lui ha fatto un concerto pazzesco, ha cantato benissimo, voce e chitarra. Davvero con lui ti rendi conto ti cosa significa quando hai davanti un artista che sa sia cantare che suonare, poi ha anche le canzoni belle, è il non plus ultra. E’ talmente bravo che potresti andare ad un suo concerto, non conoscere neanche una canzone, ma ne rimani totalmente affascinato. Lo stimo tantissimo, è molto bravo.

Lui è molto bravo sì. Ma adesso non buttarti troppo giù.
Ma sai, con il gruppo son bravo anche io, ma voce e chitarra lui è pazzesco.

Indubbiamente, ma anche i tuoi live voce e chitarra erano dei bei pugni nello stomaco, nel senso molto molto intensi..
(non lo sento tanto convinto ma…)

C’è un brano o una cover che ti piacerebbe suonare un giorno?
A me piace tantissimo la musica, credo di aver iniziato a cantare proprio perché affascinato dalla musica degli altri, poi io magari non so fare neanche le mie di canzoni, ma degli altri ce ne sarebbero migliaia da fare. Io sarei un crooner perfetto per le crociere, passerei da brani dei Ricchi e Poveri a brani tipo “Ti amo” di Umberto Tozzi fino a dischi come quello degli Area “Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano…” che contengono un paio di canzoni molto belle. Già il panorama italiano è vastissimo, se sapessi cantare poi in inglese sarebbero infinite, ci sono talmente tanti gioielli musicali in giro.

Magari fai un tour con tutti questi pezzi un giorno.
Magari, sarebbe bellissimo.

Ci sono momenti in cui vedi tutto nero… cosa ti fa andare avanti in quel momento?
La vita non è uno scherzo, non è uno spot della pubblicità, sembra banale ma è così. Io non so dare un consiglio, perché potrei sembrare il perfetto esempio di fallito. Non puoi pensare che la vita è bella e diventa bella, la vita è anche abbastanza brutta, ma bisogna lottare, è come se ti mettessero in prigione e a un certo punto la pena finisce, non perché muori eh… non voglio essere troppo pessimista. Il mio modo di salvarmi è spiritualizzarmi, per me è molto importante credere nel “mio Dio”, che è Krishna. Ho i miei libri, adesso son dieci anni che ho ripreso a spiritualizzare la mia vita e questo mi fa andare avanti, mi fa respirare, ma questo vale per me, per gli altri non posso parlare.

Il titolo “Illusion” cosa è esattamente?
“Illusion” è una parola che deriva dal fatto che i sogni che facciamo la notte son convinto che sono sogni che facciamo ad occhi chiusi poi la mattina quando ci svegliamo facciamo un altro sogno ma ad occhi aperti, ma la realtà non la vediamo. Come se guardassimo un film, ti sembra tutto reale ma in effetti è solo della luce proiettata su un muro, e questo è il senso di “Illusion”, è una mia visione della vita in cui credo abbastanza e vado sempre più in quella direzione. Anche se poi nella canzoni non parlo prettamente di questo.

Parlaci del retrocopertina del disco.
L’idea è di chi ha ideato la copertina, a essere onesto non sapevo neanche che mio padre ci andasse a finire lì. Il senso di quella foto è il fatto che tra me e mio padre non c’è mai stato un rapporto di gioco e prima che sia troppo tardi è giusto giocare adesso. Mio padre nella foto assume una posizione equivoca, ma in verità non è altro che un papà che gioca con il proprio figlio a cavalluccio e quindi una cosa molto innocente. Abbiamo colmato una lacuna. Avevo in precedenza fatto una copertina con tutta la mia famiglia ma non c’era mio padre perché era lui che fotografava, ed era giusto inserirlo in questo. Ma in realtà non è stata una cosa voluta, io non lo sapevo neanche finisse in copertina questa foto.

Comfy Pigs – Maiali annoiati

Sabato 28 maggio presso la Club House degli Indian Bikers di Matera si esibiranno i Comfy Pigs, band che propone delle sonorità che vanno dal post punk, noise pop al garage punk. Per l’occasione abbiamo intervistato Ivan Piepoli, cantante e chitarrista della band e il batterista Vanni Sardiello.

Avete pubblicato un paio di anni fa un 45 giri, state progettando un album intero?
Ivan: Abbiamo pubblicato il nostro singolo d’esordio, “Bored” sul finire del 2019, poco prima dei fatti noti legati alla pandemia, purtroppo le copie fisiche del disco riuscimmo ad averle solo dopo il primo lockdown, nell’estate del 2020. Questo ovviamente ha inciso negativamente sulla promozione dello stesso. Oggi, che la situazione sembra migliorata, abbiamo iniziato a registrare le tracce del nostro primo album. Attualmente abbiamo approntato tutta la parte strumentale dell’intero repertorio, successivamente ci dedicheremo alla registrazione delle voci e al missaggio. Parallelamente ci stiamo guardando attorno per riuscire a trovare un contatto con qualche etichetta discografica che ci aiuti nella pubblicazione e distribuzione del nostro lavoro.
Vanni: Sì, abbiamo registrato 17 brani scritti in questi tre anni di attività, brani dalle molteplici influenze ma che comunque si spera abbiano il nostro marchio di fabbrica. Siamo in continua evoluzione sonora, immagino che si possano sentire delle notevoli di differenza a livello di scrittura e di arrangiamento tra le nostre prime cose e le ultime scritte. Al momento mancano solo da registrare le parti vocali, non abbiamo ancora idea di quando potrà uscire su vinile, e di sicuro faremo una cernita di tutto il registrato, per tornare a fare i dischi come si faceva una volta, 45 minuti massimo, in modo tale da poterlo duplicare agevolmente su una audiocassetta da 45 minuti, del resto siamo o no figli degli anni 80/90?

Ci sono voci di cambiamento/ampliamento line-up? Qualche anticipazione?
Ivan: Sì, dopo 3 anni di attività ho deciso di allargare l’organico della band ad un quarto elemento che mi sostituisca addirittura nel ruolo di cantante e chitarrista, in modo tale da potermi dedicare prevalentemente alla parte compositiva e strumentale, suonando sia la chitarra che il synth, una delle novità assolute per i Comfy Pigs, e che stravolga prepotentemente l’impatto scenico della band durante i live, ed il sound generale del nostro progetto musicale. Gli altri della band hanno accettato la mia proposta con grande entusiasmo, e insieme abbiamo cercato la soluzione più consona al nostro modus operandi. Ad oggi abbiamo provinato qualche “candidato”, ma il risultato per ora rimane “top secret”. Di sicuro entro l’anno i Comfy Pigs vivranno una nuova vita artistica.
Vanni: Abbiamo pensato e ripensato ad una soluzione possibile per un ampliamento della line-up, in particolare per un’esigenza primaria di avere un frontman con una forte presenza scenica, con una voce particolare e che potesse lasciare libero Ivan di potersi concentrare sulle chitarre, soprattutto live. Stiamo facendo delle audizioni attualmente, ma forse abbiamo già trovato la persona che può fare al caso nostro. Ma è ancora tutto volutamente “top Secret”, penso che se tutto andrà come immaginiamo, potremmo essere pronti per suonare dal vivo con la nuova formazione a partire da settembre.

Che concerto ci aspetteremo sabato, quindi?
Ivan: Sabato a Matera ci esibiremo ancora nella nostra forma storica a tre, con me alla voce e alla chitarra, Danilo Villafranca al basso e Vanni Sardiello alla batteria. Avremo l’occasione di proporre tutti i nostri brani, compreso un inedito che suoneremo per la prima volta, e un paio di cover. Mi sembra strano pensare che questo live potrà essere l’ultimo per me come cantante della band.
Vanni: Il classico concerto infuocato dei Comfy Pigs, nella classica line- up power trio batteria basso chitarra, avendo molto tempo a disposizione, di sicuro non ci risparmieremo, probabilmente suoneremo anche un pezzo nuovissimo ed un paio di cover provate per l’occasione e che abbiamo decisamente Comfyzzato.

Come è nato il vostro gruppo? Avete alle spalle ognuno di voi un proprio background.
Ivan: La nostra band è nata dall’amicizia e la passione comune per la musica che lega me e Vanni Sardiello. Vanni veniva da un lungo periodo di stop artistico, io invece stavo accantonando la mia esperienza con i Baby Screams, tribute band dei Cure, per tornare a lavorare alla musica inedita, che non ho mai abbandonato. A noi poi si è aggiunto il bassista Danilo Villafranca, permettendoci di metter su un power trio di matrice post punk, genere che proprio in quel momento stava tornando fortemente in auge, grazie all’affermazione di band internazionali come Idles o Fontaines DC, per citarne alcune.
Vanni: I Comfy Pigs sono nati principalmente dall’amicizia tra me e Ivan e dal desiderio di suonare insieme qualcosa di inedito e che in qualche modo potesse far confluire tutto il nostro background di ascoltatori e musicisti. Danilo al basso è stata una scelta più che azzeccata perché ha portato dentro il nostro suono post-punk, quell’elemento più lercio tipico del garage punk. Per quanto mi riguarda, ero fermo con la batteria da circa dieci anni, completamente dedicato altresì al lavoro. Nel mio passato, le esperienze più importanti sono state i Veronika Voss all’inizio degli anni ’90 e poi i Lillayell a Pisa negli anni 2000, insieme a quello che contemporaneamente è diventato il batterista dei ben noti Zen Circus, che però nel nostro power trio si occupava di chitarre e voci.

Suonando da tanti anni, che differenze notate nella possibilità di suonare nei locali oggi rispetto a 20/30 anni fa? È più facile e/o quali sono le differenze invece?
Ivan: Dopo due anni di blocco forzato per la musica in generale, sembra che ci sia una grandissima voglia di live. Questo ci sta portando a vivere una “nuova era” in cui paradossalmente stiamo tornando a fare musica in tanti luoghi diversi, dalle sale concerto ai piccoli bar, dai club alle librerie, e la cosa bella è che ci sia una grande richiesta di musica inedita. Il panorama delle band emergenti è molto attivo e interessante, sarebbe sprecato non dare la possibilità a questi talenti di esibirsi davanti ad un pubblico per farsi conoscere ulteriormente. Per noi musicisti “di vecchia data” in parte è un bel ritorno al passato, quando si suonava live molto spesso e nei posti più disparati.
Vanni: Domanda complessa, difficile da risolvere nelle poche righe a disposizione. A rischio di essere scontato, la situazione è piuttosto complicata in quanto da troppi anni mancano i posti i cui gestori siano appassionati di musica e non solo commercianti il cui interesse è solo quello di vendere le birre per un pubblico generalista amante delle cover band. Sembra quasi si debbano elemosinare i concerti per i gruppi non allineati alla massa. Forse qualcosa sta cambiando ora che c’è molta fame di concerti, soprattutto dopo questi due maledetti anni di “quasi” stop. Ma siamo ben lontani dagli anni 80 e 90 in cui le situazioni venivano anche create in totale autogestione, pur di far suonare le band che meritavano di salire su un palco perché avevano qualcosa da dire. Vedremo…

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 25 MAGGIO 2022

Bari New Rockers – Resistenza melodica

Esordio discografico per Bari New Rockers. Lo scorso 4 febbraio è uscito il loro primo album distribuito in digitale su etichetta Quadraro Basement e stampato su doppio vinile in edizione limitata. Contemporaneamente all’uscita del loro primo long playing è in rotazione il videoclip di “Convivo”, primo singolo dell’album. Abbiamo contattato la band barese per saperne di più su questo interessantissimo progetto.

Ragazzi, ci spiegate la genesi della vostra band, come e quando è nata e come siete arrivati alla pubblicazione del vostro primo album?
Bari New Rockers nasce nel 2016 come un collettivo di selecters, dj e mcs con l’esigenza di riproporre vibrazioni musicali autentiche che caratterizzavano le dancehall reggae negli anni ’90, utilizzando in maniera rigorosa il supporto su vinile e un sound system autocostruito. Dopo anni di dancehall tenute in giro per l’Italia, con una proposta musicale caratterizzata da testi conscious, antagonismo sociale e spiritualità, dal 2018 il collettivo ha iniziato a produrre la propria musica, con delle sonorità che via via si sono rivelate influenzate sempre più da svariati generi, grazie anche alla provenienza da diversi ambiti musicali dei componenti del gruppo subentrati successivamente nel 2020. L’album è il coronamento di un lavoro iniziato in questi anni e soprattutto in corrispondenza della prima pandemia, durante la quale i componenti del gruppo hanno condiviso un flusso creativo che ha permesso di ideare ben 14 tracce in qualche mese, sviluppate poi l’anno successivo, così da arrivare il 4 Febbraio 2022 a pubblicare il nostro primo omonimo lavoro.

Che vuol dire per voi “Bari New Rockers”?
La parola “Rockers” rappresenta il genere musicale che costituisce la matrice prima del progetto, un genere musicale giamaicano in voga sul finire degli anni 70 nel quale è preponderante l’utilizzo delle chitarre elettriche, di poderosi giri di basso e di incalzanti ritmi sincopati, che sono tipici della roots reggae music. Bari è la nostra città, a cui siamo legati da un forte senso di appartenenza. La parola “New” è rappresentativa della mentalità del collettivo, che, pur conservando le proprie radici strettamente legate alla cultura dei sound system, non vuole barriere né di stile, né di provenienza musicale.

Quali sono le vostre influenze musicali e come definireste la vostra musica?
In primis la musica giamaicana dagli anni 60 in poi, con tutte le sue sfaccettature che partono dallo ska, dal rocksteady e dall’early reggae fino al digital dancehall e arrivando al dub più contemporaneo di matrice anglosassone. L’altra grande influenza è il conscious rap old school e più in generale la cultura hip hop. Inoltre, nelle produzioni ci sono altri tipi di influenze, con suoni e synth che provengono dalla musica elettronica e dalla dubstep, e tracce in cui sono forti anche sonorità provenienti dal mondo rock e crossover.

Nonostante il periodo, avete in programma delle date dal vivo?
Fortunatamente da pochi giorni sembra si sia tornati a poter ballare, inizieremo da venerdì 18 al Fluxus club di Bari, con una dance hall in stile Bari New Rockers, con giradischi e microfoni; poi venerdì 4 marzo saremo al Wild & Free, un pub di Bari in zona Carrassi, con un esibizione live accompagnata da selezioni musicali; sabato 12 marzo stiamo organizzando la presentazione ufficiale dell’album all’Officina degli Esordi, nella quale inviteremo tutti gli artisti che hanno collaborato con noi alla realizzazione dell’album.

Infatti nel disco ci sono diversi ospiti, come è stata la collaborazione con loro e chi sono?
Un’altra caratteristica di Bari New Rockers è quella di voler creare connessioni artistiche e musicali con tutti coloro propensi a condividere idee e passioni comuni e che hanno la stessa esigenza di rivendicare dissenso e controcultura. Gli artisti che hanno collaborato sono in totale 18, abbiamo sia featuring vocali che strumentali. Ai microfoni ringraziamo SkinUp, Tensione, Lady B, TOP, Valeria Upbeat, Shanti Kranti, Giuan, Skreeba, Tony Tek; alle chitarre Nicola Quarto e Valeria Upbeat; al basso SkinUp e Joe Leali; al Sax Dario “Mr.Bogo” Divella; al flauto Bob Wild Deer; al violino Pino Di Lenne; agli scratch dj Argento, Tuppi B e dj Jawal. La collaborazione è avvenuta con alcuni direttamente in studio, mentre chi era impossibilitato ad essere in presenza ci ha regalato il suo contributo ascoltando le basi che gli avevamo inviato.

Dove è possibile reperire il vostro disco?
Il disco in formato digitale si può ascoltare su tutte le piattaforme principali come Spotify, YouTube, Amazon Music, iTunes, Deezer. Inoltre, coerentemente con le nostre idee e le nostre radici, abbiamo stampato una quantità limitata di LP in formato doppio, che può essere acquistato contattandoci direttamente a barinewrockers@gmail.com o nei principali negozi di dischi qui a Bari.

Il progetto Bari New Rockers è formato da: Friend Sunshine (Melodica, percussioni, dj selecter, sound system operator), Giovanni Kiace (Producer, Sound engineer, dj selecter), Sfogo Lirico (Producer, voci) e Dread Pit (voci).

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 16 FEBBRAIO 2022

Claudio Trotta – Il silenzio forzato della musica dal vivo

Claudio Trotta è il fondatore di Barley Arts, una delle realtà indipendenti europee più importanti per l’organizzazione di concerti e spettacoli dal vivo. Fondatore anche di Slow Music “Movimento dedicato alla Bellezza, all’eccellenza e al rispetto e alla cooperazione in ambito musicale”, è il primo organizzatore di eventi musicali che ha ricevuto nel 2020 l’“Ambrogino d’oro”, onorificenza conferita dal comune di Milano per civica benemerenza. Per fare solo qualche nome, grazie a Trotta e a Barley in Italia abbiamo potuto seguire per anni le tournée di Springsteen, Cure, Bowie, Kiss, Iron Maiden, Zappa, una lista infinita di star nazionali ed internazionali. Da un paio di anni però questo settore per ragioni che ormai tutti conosciamo è fermo, tranne qualche rara occasione. Abbiamo contattato il promoter per conoscere meglio la sua opinione.

Claudio, quanto tutto ciò è ancora sostenibile soprattutto dal punto di vista economico?
Non lo è più già sostenibile. Il problema principale è ovviamente economico. Parliamo soprattutto del mondo indipendente, di chi non lavora per le multinazionali e/o che non ha un lavoro garantito, fisso. Ci sono problematiche enormi per tutto lo spettacolo dal vivo, per le maestranze, per i musicisti, cantanti, attori, artisti, ballerini, creativi di vario genere e per le imprese. I ristori hanno sicuramente aiutato ma oltre a non essere stati sufficienti non sono stati distribuiti in maniera equilibrata, soprattutto quelli relativi ai concerti riprogrammati e/o cancellati, sono stati assegnati con sistemi sbagliati che hanno privilegiato le multinazionali, ma il tema è molto più ampio, non è solamente economico, parliamo di un ambito che ho definito sin dall’inizio del 2020 “il mondo dello stare insieme” e che non riguarda solo gli eventi della musica live e meno che meno solo quelli di massa, e che comprende teatro, danza, circo, orchestre da ballo, intrattenimento, produttori di strumenti musicali, giornalisti e fotografi dediti allo spettacolo dal vivo senza dimenticare anche gli eventi privati che sono anche essi linfa vitale per le maestranze, le imprese, per tutti. Stare insieme significa anche andare a scuola, mondo che invece ha aperto e chiuso ad intermittenza, e va anche ricordato il mondo della giustizia, perché anche i tribunali hanno lavorato a singhiozzo. Insomma necessità primarie e libertà individuali e collettive che sono state messe in secondo piano rispetto ad attività commerciali considerate più importanti. Ci si chiede per quale motivo a molti mondi sia stato consentito di non fermarsi applicando protocolli organizzativi, operativi e sanitari, vedi la grande distribuzione, la televisione, i giornali, i tabaccai, i grandi cantieri edili, la vendita in rete mentre al mondo dello spettacolo dal vivo sia stato impedito, nonostante questo mondo di protocolli ne abbia partoriti in abbondanza, penso a quelli realizzati con Slow Music e con Ricominciamo ma anche a quelli di Agis e di altri. Di protocolli operativi per la riapertura degli spazi dello spettacolo dal vivo con Slow Music ne abbiamo creati due con mesi di lavoro di gruppo con medici, professionisti del settore organizzativo, creativo e produttivo e responsabili alla sicurezza sul lavoro. Il primo nel 2020 per gli spettacoli al chiuso dal nome “Vengo anch’io… per sentire l’effetto che fa” e il secondo nel marzo 2021 per gli spettacoli all’aperto con “Ricominciamo”, questi protocolli seppure riconosciuti più che validi da molte istituzioni sanitarie e governative non sono mai stati seriamente considerati.

Per quali ragioni?
Non ho una risposta. Mi chiedo se tutto questo è casuale, se è frutto di ignoranza e di mancata considerazione da parte di chi ci governa e da parte di chi il governo ha messo a prendere decisioni in questo settore, il CTS, quindi se c’è una mancata considerazione della sfera umana, sociale, culturale, dell’equilibrio delle persone che per natura propria sono fatte per stare insieme e non da sole oppure se c’è dell’altro. Non ho mai pensato a nessun genere di complotto, di fatto tuttavia c’è che questo mondo dello Stare Insieme è stato umiliato, vilipeso, poco considerato e in sostanza devastato. Ci sono centinaia di migliaia di persone, non solo in Italia, che hanno dovuto cambiare mestiere, che in un mondo normale potrebbe anche essere una cosa buona se voluta dalla propria volontà, ma non lo è quando attraverso e dopo anni di studi, lavoro, esperienze hai costruito qualcosa nella tua vita creando una propria identità, artistica umana e professionale e sei costretto ad abbandonarla per fare altro, come lavorare per Amazon o consegnare pizze allora il problema diventa enorme.

Vedi una possibilità di ripresa nell’immediato?
È un problema che ci porteremo avanti per anni, non è limitato solo ad oggi. Prendiamo in esame le tournée del 2022, alcune non si potranno svolgere anche per motivi apparentemente impensabili, penso ad un caso che mi ha toccato direttamente dove un artista internazionale ha cancellato il tour europeo perché non ha potuto reperire tour bus disponibili. Non tutti i tour si svolgono con aerei e limousine, anzi. Se ci saranno i tour programmati per l’estate 2022 che per il momento sono ancora confermati, temo che ci saranno seri problemi nel reperire figure professionali e maestranze in campi importanti come l’allestimento e la sicurezza degli spettacoli, questo significa che è stata letteralmente buttata via una storia di persone e aziende territoriali, locali e nazionali di un certo peso, in un paese come il nostro che negli anni 70 in questo settore aveva molta meno professionalità di oggi, ma che prima di questi due terribili anni aveva raggiunto ottimi livelli professionali e organizzativi, rientrando tra i paesi meglio organizzati nel mondo. Sto parlando della musica popolare contemporanea (la parte della lirica che vive da sempre con denari pubblici ha continuato a riceverli anche a porte chiuse) ma anche del teatro non finanziato, così come il circo, la danza se non finanziata con denaro pubblico. Parliamo di tantissime persone senza attualmente più alcuna identità e dal futuro incerto. Un dramma come si può comprendere non solo economico ma anche culturale, psicologico, sociale. Non vedo miglioramenti in questo paese a breve termine, siamo uno degli unici paesi dove si pensa di mantenere il Green Pass fino a fine giugno, invece in altri paesi si sta togliendo, vedi in Inghilterra, in Austria, dove c’era il lockdown ma dove ora stanno togliendo il Green Pass, in Germania non c’è mai stato, gli unici due paesi dove si sta continuando con questo metodo mantenendo delle limitazioni enormi, spesso discriminanti e astruse sono peraltro credo fra i paesi con più vittime e contagiati: Italia e Francia. Qui si apre un altro argomento, quello del calcolo dei contagiati e delle vittime, che dall’inizio ormai sappiamo tutti che è stato fatto in maniera abbastanza “bizantina” e molto anomala. Si è sbagliato o si è voluto sbagliare? fin dall’inizio a narrare il tutto. I media hanno creato disagi, paura, spinto a dividere e isolare le persone, cercando di individuare gli untori di turno e recentemente questa divisione è sfociata tra chi ha deciso di vaccinarsi e chi legittimamente ha deciso di non farlo alla luce della non obbligatorietà della vaccinazione. La situazione non è delle migliori e viene da chiedersi se di fatto non sia stata calpestata la Costituzione anche dallo stesso Presidente della Repubblica, che dovrebbe essere il tutore della Costituzione stessa. Non vedo nell’immediato delle speranze, delle indicazioni di positività e di ottimismo nel presente, né nell’immediato futuro o per il futuro prossimo ancor meno per chi è più giovane e più debole.

Parlavi dello “stare insieme”. Sembra che la gente si sia un po’ “rinchiusa”, che abbia paura.
La situazione degli spettacoli dal vivo è messa molto male, ci hanno riaperto in maniera teorica, ma con tante limitazioni. Inoltre il decreto ristori firmato da Mattarella recentemente non prevede alcun ristoro per il nostro settore, almeno nell’immediato. È anche vero che Franceschini aveva annunciato 111,5 milioni di euro per il nostro settore che al momento non si vedono, ragion per cui si spera che nell’immediato si rimedi a questo con dei ristori e bandi specifici da parte dei Ministeri di competenza. Al momento si lavora con tante limitazioni e un clima generale di paura e di poca fiducia che porta a cancellare diverse tournée anche per mancanza di vendita di biglietti.

Come vedi lo svolgimento dei concerti estivi? Ammesso che tutto fili liscio, sarà ancora limitato alle attuali restrizioni?
Non sono mai stato un sostenitore del Green Pass, prima che venisse adottato mi sono espresso in maniera critica e ancor più quando ne ho conosciuto le modalità, ancor meno con questa adozione discriminatoria del Super Green Pass, più tutte le bizzarre modalità annesse e connesse che rasentano la follia e inutilità più totale. Ribadisco l’ignoranza di chi ha fatto queste scelte, nessuna attenzione alla sfera umana mondo considerata secondaria in un contesto internazionale che già prima del Covid già disgraziatamente principalmente esaltante la realtà virtuale rispetto alla realtà fisica reale. Il Green Pass non è uno strumento sanitario e questo mi pare sia assodato e chiaro. C’è gente che ha il Covid e con il Green Pass funzionante allo stesso tempo. Quindi mi auguro che quanto prima e almeno per tutti gli spettacoli da maggio in poi possano cadere tutte le limitazioni e discriminazioni correnti inclusa quella dell’utilizzo all’aperto di mascherine.

La voce degli artisti è stata silente in questo periodo?
Gli artisti sono stati estremamente deludenti, quei pochi sia italiani che internazionali, che si sono espressi in maniera critica sono stati violentemente dileggiati. C’è stato un affermarsi sempre più evidente di retorica e ipocrisia senza fine da ogni direzione e gli artisti troppo silenti non hanno fatto la loro parte che dovrebbe essere anche quella di esprimere criticità e disagi comuni, sociali, umani.

Alcuni settori sembrano non aver subito lo stesso trattamento, vedi il calcio o il Festival di Sanremo in questi giorni con la capienza al 100%. Ci sono canali preferenziali?
Il Festival di Sanremo ormai da anni è un evento televisivo che non ha niente a che fare con lo spettacolo e la qualità musicale, però è il programma televisivo più importante della Rai dal punto di vista di gettito pubblicitario, per cui viene sempre preservato. Per molti rappresenta la vetrina del degrado artistico e sociale dei nostri tempi.

Alcuni anni fa hai scritto un interessantissimo libro “No pasta, No Show”, hai in mente un nuovo libro?
Sì, in realtà durante questi due anni ho scritto tantissimo. Sto mettendo insieme vari pensieri, non ho trovato una linea precisa ancora a dire la verità, ma mi piacerebbe fare un libro diverso dal precedente, ho immaginato anche di provare a scrivere insieme ad autori televisivi una serie televisiva. Mi piace esprimermi, quindi troverò la maniera di farlo oltre alla mia presenza nei canali social e le interviste. Lo avevo fatto in precedenza anche con un libro intitolato “Dizionario enciclopedico musicale di Milano” scritto con Paolo Zenoni negli anni 80.

Quanto l’industria della musica oggi è diventata più importante della stessa musica?
Purtroppo questo è un processo che era già partito negli anni 80. La grande capacità creativa delle case discografiche e di alcuni produttori illuminati degli anni 60/70 e anche un po’ degli 80 si è andata progressivamente perdendo, è un dato di fatto. Oltre al fatto che delle sette multinazionali discografiche ne sono rimaste solo due o tre il che ha accelerato i processi omologativi verso il basso del largo consumo. Le indipendenti nel mondo fanno spesso un buon lavoro, ma sono spesso penalizzate mediaticamente e finanziariamente e purtroppo spesso gli artisti e i loro manager sono indipendenti fino a quando non li vuole nessuno, ma poi quando passano dall’altro lato diventano parte convinta del “mainstream”. L’impressione è che purtroppo tutti vogliano passare in TV, essere ospiti o coach nei talent. La verità è che c’è ancora tanta buonissima musica e ci sono tanti imprenditori nella musica di qualità, ma non è così semplice quando le classifiche si fanno con gli streaming, diverso è quando con i tuoi soldi investi in un disco o un CD. Merito a tutti i negozianti di dischi, di strumenti musicali, ai produttori di tali strumenti e di dischi fisici, perché la musica senza gli strumenti rimane solo nella mente delle persone e la Musica riprodotta senza fisicità non alimenta Memoria e quindi Storia. Uno strumento è anche la voce, ma non certo con l’auto-tune. La musica deve essere creazione e questo avviene con il lavoro, passione, lo studio e il talento. Non ce l’hanno tutti ma in tanti fanno musica, e a un certo punto ciò diventa un’offesa per chi la musica la fa davvero.

Parlavamo di talent e TV. Al momento a parte programmi con approfondimenti musicali come quelli di Red Ronnie, cos’altro c’è?
Non mi pare ci siano. A parte il programma di Stefano Bollani è evidente che la musica popolare contemporanea, il jazz, la world music, il rock non siano rappresentate, men che meno rispettate propriamente nelle televisioni generaliste sia pubbliche, e questo è particolarmente grave, che commerciali. Nelle reti tematiche e in quelle in wi-fi ci sono invece alcune “isole felici” per fortuna.

L’underground o quello che viene definito il “sotterraneo” a livello musicale ha sempre qualcosa da dire, ci sono tante splendide realtà italiane che non hanno la possibilità di esprimersi, ci sono nuove realtà musicali nazionali o internazionali che consiglieresti?
Credo che in campo blues, jazz, world music la musica Italiana sia di altissimo livello e che alcune etichette discografiche, management, festival e promoter indipendenti facciano un lavoro straordinario. In campo cantautoriale e pop credo che ci sia un gap davvero difficile da colmarsi con la scena anglosassone ed europea ma sono ovviamente opinioni le mie.

Sei un grande appassionato di vinili, da diversi anni un supporto che è tornato nelle case della gente. Nostalgia, miglior qualità sonora? “Moda” o durerà nel tempo questo “ritorno”?
Credo semplicemente che il vinile sia un oggetto di straordinaria qualità e che nella storia della musica riprodotta, che ricordiamo ha meno di 150 anni, resti la soluzione migliore per ascoltare, conoscere, godere e studiare della diversità della creatività umana. La storia della creatività comprenderà certamente quella del vinile, mentre la musica digitale diventerà sempre di più parte della storia del consumo che è un’altra cosa. Quello che reputo sia importante fare è trasmettere alle nuove generazioni la sostanza e la qualità del vinile senza farlo apparire vintage o “vecchio”, il paradosso è che per molti il vinile è una tecnologia sconosciuta e se intelligentemente si è capaci di presentarlo in maniera “sexy” ai giovani essi potrebbero appassionarsene limitando la adesione spesso acritica alla realtà virtuale e digitale. Non è semplice ma è necessario.

Le foto di Claudio Trotta sono di Michaela Berlini.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA IN VERSIONE RIDOTTA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 2 FEBBRAIO 2022

RæstaVinvE – Di uomini e di donne

RæstaVinvE è un duo pugliese che ha pubblicato un album dal titolo “Bianlancia” lo scorso maggio. Per conoscerli meglio e saperne di più li abbiamo contattati in occasione di un loro concerto a Roma domenica 30 gennaio presso il club Let it Beer.

Partiamo dal significato del vostro nome, RæstaVinvE, così singolare, cosa vuol dire esattamente?
Il nome non è che l’accostamento dei nostri due moniker, Raesta, per Stefano Resta, e Vinvè per Vincenzo Vescera. Un nome che però negli ultimi tempi ha iniziato ad indicare una realtà abbastanza corale. Dietro di noi e accanto a noi ormai c’è una band ormai sempre più consolidata: Francesco Argentati (basso), Federico Curto (batteria), Andrea Allocca (chitarre). Ovviamente c’è l’onnipresente Maurizio Loffredo degli Artigiani Studio come produttore artistico. Il nome unico indica che nell’intero percorso creativo, dalla scrittura, all’arrangiamento, così come nell’ esecuzione, i pezzi vedono l’intervento di entrambi. Inoltre il gusto un po’ francese della “è” finale ed il dittongo iniziale denotano la nostra esterofilia, dimostrata anche dal featuring presente nell’album con Clio.

Come è nato il vostro duo? Come vi siete conosciuti e siete arrivati ad oggi alla pubblicazione del vostro primo album “Biancalancia”?
Galeotto fu un concerto, quello di Riccardo Sinigallia, dove Stefano cercava un produttore ed ha trovato un coautore. Vincenzo conosce l’artista romano, il quale non potendo produrre Stefano ha ‘passato la palla’ a Vincenzo che ha iniziato una graduale collaborazione. Uno dei primi risultati è stato il buon piazzamento al premio Lunezia, edizione del 2019. Scrivendo abbiamo pensato di iniziare a cantare i pezzi insieme. Nella traccia “L’amore è un fiore” di Stefano già c’era una collaborazione con Vincenzo seppur unicamente come produzione artistica. Quando siamo entrati in studio abbiamo iniziato a lavorare su due EP diversi ma a quel punto ci è venuto naturale creare un’unica entità per dividerci l’enorme mole di lavoro che si cela dietro un progetto che in quasi assoluta autonomia cerchi di affacciarsi tra il big dell’oceano discografico. Ci siamo divertiti, ci divertiamo ed eccoci qua.

Che significato ha il titolo “Biancalancia” e cosa vorreste trasmettere attraverso i testi delle vostre canzoni?
“Biancalancia” nasce dalla consapevolezza giunta dopo la nascita dei primi brani che l’album sarebbe stato incentrato sulle donne che avevano in qualche modo ispirato la produzione delle canzoni. Il tema è quello dello scontro uomo/donna in tutte le declinazioni. Ispirati dalla vita nostra e da quella di chi ci è vicino, abbiamo parlato d’amore: dell’amore tossico, dell’amore perduto, di quello omosessuale, e di quello tra persone anagraficamente distanti. Ovviamente la scelta di intitolare l’album ad una delle mogli di Federico II di Svevia, forse quella che secondo la leggenda lo ha fatto più tribolare, è stata un omaggio alla nostra terra d’origine, la Puglia: Vincenzo è di Vieste, Stefano è di Corato.

Nel brano “Rien Va Plus” avete un featuring di Clio, come è stato collaborare con lei e come è nata questa collaborazione?
Durante il lockdown Stefano ha iniziato a convivere con la sua compagna ed attuale moglie, Chloè. Con lei hanno ripescato e elaborato un vecchio testo di Stefano nato come uno sfogo di cinque pagine, ridotte sapientemente da Vincenzo che ha avuto un approccio più tecnico essendo meno coinvolto emotivamente. Contestualmente abbiamo imparato a conoscere il pop francese e Clio è stata una scoperta illuminante. Così abbiamo provato a contattare il suo management. Sono stati gentilissimi nonostante la nota cantante fosse alle prese con l’uscita del suo terzo album ed una collaborazione con Iggy Pop. Strano ma vero, è stato più facile che collaborare con altri nomi del panorama musicale italiano. L’eccezione è stata la preziosa collaborazione con Cesare Pastanella, noto percussionista jazz pugliese, oltre che la presenza della penna di Francesco Di Bella su “Senza Cuore”. Che dire? È importante collaborare con chi senti di avere feeling, senza spaventarsi di alzare lo sguardo anche oltre il proprio orizzonte più prossimo.

Avete a breve un live a Roma, che tipo di set porterete sul palco e dove esattamente?
Da maggio del 2020 abbiamo provato a mettere su un live che non compromettesse troppo il sound dell’album così come prodotto. Nell’album hanno registrato Andrea Pesce (Fish) alle tastiere, Ivo Parlati, noto session man partenopeo e batterista di Riccardo Sinigallia, lo stesso Maurizio Loffredo e Daniele Sinigallia alle chitarre. Quindi ci è toccato studiare a fondo, riprendere dimestichezza con ampli, piano, pedaliere e il live in generale ed oggi suoniamo i brani così come sono stati incisi. Non disdegniamo piccoli set acustici ma questa è un’altra storia. Al momento stiamo suonando in locali e pub, e non c’è mancato un teatro a Viterbo dove peraltro abbiamo registrato il videoclip di “Verdiana”, al momento in rotazione.

A proposito di esibizioni live, qual è il vostro parere su questo “lungo fermo” della musica a causa della pandemia? La musica e lo spettacolo in genere sembra il settore più colpito.
I rischi legati alla diffusione ci sono. Un’idea che si potrebbe realizzare è mettere su un pool, un servizio di professionisti per assistere e guidare gli esercenti di attività che prevedano l’aggregazione di gente, in quelle zone dove il virus si è scontrato su una realtà magari già in difficoltà. Non si può fingere che il virus non ci sia, ma come una patologia, non si possono ignorare nemmeno gli effetti iatrogeni che nella società si traducono nella crisi di tante realtà più delicate benché di fondamentale importanza, se vogliamo dire così.

Il vostro singolo ‘Verdiana’ questa settimana è nella classifica ‘Indie Music Like’ tra i primi 50 posti, è una soddisfazione, bel traguardo…
È una grande soddisfazione, specie per una realtà totalmente indipendente come la nostra. Ci fa ben sperare nel futuro di questo progetto e ci dà anche una linea da seguire nelle prossime produzioni.

Il vostro album è reperibile in CD per il momento, ci sarà un’edizione in vinile?
Ascoltare sul CD l’album dà soddisfazioni che altri supporti digitali non permettono. Tuttavia aspettiamo un po’ per i vinili che arriveranno sicuramente anche se in limited edition. 

Fate vostro il CD dei RæstaVinvE, ordinabile online presso i loro canali social, e se siete in zona Roma venerdì non perdetevi il loro live-set. Disco consigliato da Wanted Record, Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 26 GENNAIO 2022

Flares on Film – About love, war and electricity

Terzo lavoro in studio per i Flares on Film. “About Love, War and Electricity” è il titolo della prima uscita della neonata label Lift Records che da subito denuncia una profonda distanza dallo streaming in rete, ritenendolo privo di valore, restituendo la possibilità di ascolto solo grazie al supporto pubblicato sia in forma fisica che tramite acquisto digitale. Scopriamo di più su questo progetto con il leader della band FLB.

Puoi raccontare ai nostri lettori la genesi della band, quando vi siete formati e come siete arrivati al terzo lavoro da poco pubblicato?
Il progetto Flares on Film prende forma nel 2015. Nasce sulle ceneri degli Eva, band che ha vinto vari concorsi e suonato in piccoli tour indipendenti in Italia, al MEI nel 2011, siamo arrivati al 7° posto nella classifica indie italiana. Le produzioni dei Flares On Film sono principalmente un prodotto di mie composizioni. Nel corso degli anni si sono susseguiti vari artisti e musicisti di varia estrazione. L’anima del progetto infatti prevede una continua ricerca di sonorità e di conseguenza di volta in volta, di album in album vengono convocati i giocatori più adatti. Il primo album “Happy Ending” (Godz Records 2015) ottiene buon riscontro nel pubblico underground e sul web, soprattutto all’estero per via dei testi in inglese.
Nel 2019 esce il secondo album “Naive Songs” con la Private Room Records. Un album più concettuale e vario che spinge ancora un po’ di più l’asticella spostandosi ancora più lontano. Molte piccole radio francesi, tedesche e ucraine mandarono in play “The Saddest Song”, il singolo. Nel 2020 c’è stato “Our Souls At Night” sempre per la Private Room Records, e qui lo spirito della collaborazione si spinge oltre, creando un album composto da remix del precedente “Naive Songs”, di vari autori italiani e uno statunitense. Al momento la formazione oltre a me comprende il violinista pluristrumentista Michele De Luisi, in arte Pino Di Lenne e il batterista polistrumentista Marco Fischetti.

Sul comunicato stampa c’è un riferimento allo scrittore Herman Melville, come e a cosa è legato alla vostra musica?
Il concept dell’album prende spunto dal romanzo di Melville, “Bartleby lo scrivano”, dove il protagonista senza dare alcun tipo di spiegazione, si lascia morire. Detta così sembra una cosa triste e spaventosa, ma il senso che vorrei trasmettere è il tema del lasciarsi andare, addirittura, come nel caso del libro, eventualmente anche ad un destino infausto, senza troppo pensarci, senza chiedersi un perché, senza dare spiegazioni. Una sorta di invito a lasciare le redini della propria vita, andare alla deriva affidandosi solo al flusso della propria esistenza, nel bene e nel male. Affidarsi tuttavia non in maniera decadente, ma come se ci fosse sempre una speranza. In altri termini, un inno, se vogliamo, alla perdita di controllo, all’assenza della ragione. E per dare un valore più ampio l’album è costruito soprattutto attorno alla voce. Infatti ci sono varie collaborazioni con altri cantanti sia uomini che donne, proprio a testimoniare la pluralità del concetto di ‘controllo’, che evidentemente ci riguarda tutti.

Avete un sound elettronico molto sofisticato e ben prodotto, come definireste la vostra musica? A cosa vi siete ispirati?
È sempre davvero difficilissimo dare una definizione. Posso provarci partendo dai nostri punti di partenza. Prima di tutto immagina che l’attitudine lo-fi o comunque di far suonare qualsiasi cosa ci capiti tra le mani, l’abbiamo presa in prestito dal Beck di “Odelay”. Magari il primo disco suonava anche lo-fi per via delle registrazioni, ma oggi, continuiamo a mantenere quell’attitudine oserei dire quasi punk. Le voci sono tutte registrate nella cabina armadio di casa.
Un altro elemento importante della nostra musica è senz’altro il soundscaping, il paesaggio sonoro, quindi chiari riferimenti a Brian Eno di “Music For Airports” o anche nelle produzioni con David Bowie. La parte finale del nostro brano “The Eyes” parte proprio dall’ispirazione di “Warszawa” di Bowie. Ci sono spunti alla Radiohead, Pink Floyd, Alessandro Cortini, le atmosfere dark dei Depeche Mode, Nine Inch Nails. Alla fine quello che conti, al di là dei bei suoni, è sempre e solo la melodia della voce. Sono di scuola beatlesiana per cui confido nella melodia come in una religione. Il resto è tutto un gioco per i musicisti che si divertono a produrre musica.

Il videoclip di promo all’album “The Longest Distance” oltre che a Bari è stato girato a Tokyo, da chi è stato girato ed è stato difficoltoso girarlo così lontano? Secondo te quanto le tecnologie oggi disponibili aiutano maggiormente per questo tipo di lavoro e quanto aiutano o meno nella diffusione e la fruizione della musica?
Il video nasce dall’idea di rappresentare la domanda “il giorno più bello della mia vita è già passato o deve ancora arrivare?”, che è il tema centrale del brano. Ho pensato che l’immagine più diretta per far arrivare questo concetto fosse un incontro, due persone che si cercano da sempre e che dovrebbero incontrarsi. Abbiamo ingaggiato il regista Luciano Parravicini della Lux For Media di Bari. E con lui siamo riusciti a giocare con i due protagonisti e i loro due piani di realtà. Lui vaga per la città cercando lei, e lei è nella sua stanza aspettando lui, ma chi dei due è davvero reale? Abbiamo scelto la notte e la città perché sono due cose a cui sono molto legato, e abbiamo scelto di girare per le strade di Bari cercando di non dare sempre quell’immaginario di città del sud tra pescatori, focacce e mare. Le riprese di Tokyo invece sono state attinte dagli archivi di Luciano Parravicini. Tokyo più che mai ha un fascino notturno e moderno e ci sembrava adatta per raccordare alcuni punti del video. La cosa bellissima è che non sapendolo sembra semplicemente un’unica città.

Avete in programma date di concerti imminenti?
Questa è fase purtroppo difficile per i concerti. Non è facile organizzare lunghi spostamenti perché ovviamente la questione Covid vincola moltissimo ed è davvero impossibile fare progetti a lunga scadenza. Ora, timidamente stiamo rodando la band dal vivo in concerti vicini, ma viviamo alla giornata, forse in primavera sarà più facile spostarsi. Abbiamo inoltre aggiunto per i live Costantino Temerario, già voce e chitarra dei Turangalila, così possiamo suonare con un impatto decisamente più interessante e oserei dire anche più rock.

Per ora l’album è disponibile solo su CD, il vinile?
Come tante cose portate dal covid, anche la stampa su vinile è stata posticipata di molto per assenza di materie prime. Immagina che l’album è uscito il 12 novembre e se tutto va bene, abbiamo saputo che ci arriverà tra le mani prima di marzo. In questa versione abbiamo aggiunto altri due brani inediti proprio per renderla diversa e se mi concedi anche un po’ più preziosa. È molto bello questo ritorno al vinile. Credo che la musica abbia davvero una cura che merita quando ha un supporto fisico. Infatti abbiamo scelto di non essere su nessuna piattaforma di streaming. Ci sembrava troppo avvilente sparire in un mare così vasto e così poco riconoscente. Per i grandi nomi non è un problema, ma per noi come per tanti altri, vuol dire solo sparire nell’infinito. Preferiamo Bandcamp, è più underground e quasi mi ricorda Myspace.
su Bandcamp comunque si può ascoltare gratuitamente il disco.

Sono due anni che la musica è ferma, tranne poche eccezioni, non sembra sia tutto realmente ripartito, anzi, come l’avete vissuta personalmente e come credete si evolverà la situazione? Come dicevo all’inizio di questa intervista, personalmente sono aperto verso il futuro e le cose che accadono. Purtroppo il covid è stata una cosa terribile per tutti, ma soprattutto per chi ne è rimasto personalmente ferito da lutti o altre perdite. Ma da questa terribile vicenda dell’esistenza sono arrivate anche un po’ di cose buone. Molti di noi hanno cambiato l’approccio alla vita, forse qualcuno si è reso conto le cose non durano per sempre. E poi si è sdoganato lo smart working. Giusto per fare un esempio, la prima parte del missaggio di questo album è stata fatta online. Cosa porterà? Come si evolverà la musica? Sono positivo, credo prima di tutto che questi anni di stop siano stati utili per chiuderci nei nostri studi e scrivere musica. L’unica cosa di cui risente la musica durante il covid sono stati i concerti soprattutto delle piccole band nei piccoli locali. Però a dirla tutta è stato solo il colpo di grazia. Oggi di musica ce n’è tantissima, ma soprattutto l’accessibilità è decisamente più spinta rispetto ai tempi di Napster. Quindi gli ascoltatori sono decisamente più saturi. Immagina anche cosa può fare Spotify, musica per milioni di anni come sottofondo anonimo della vita. Credo che dobbiamo ancora raggiungere un punto di saturazione massima prima di fermarci e ricominciare ad ascoltare ciò che è giusto per il nostro grado di elaborazione. Magari ascolteremo meno musica, ma sicuramente almeno ce la sceglieremo noi e non un tristissimo algoritmo.

Wanted Record consiglia l’ascolto di “About Love, War and Electricity” dei Flares on Film.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SU “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 22 DICEMBRE 2021

Massimo Longoni – Helloween: tutta la loro storia in un libro

Massimo Longoni è un giornalista, grande appassionato di musica e cultura pop in generale, collezionista di vinili, scrive di spettacolo su Tgcom24, collabora con varie riviste di settore e ha all’attivo la pubblicazione di diversi libri a tema musicale. Da pochi mesi infatti è uscita la sua ultima fatica letteraria, “Helloween, pumpkins fly free – tutta la storia”, un libro su una delle band heavy metal più importanti a livello mondiale, appunto gli Helloween. Il libro, uscito per la Tsunami Edizioni, va a colmare un importante vuoto che mancava nel mondo della carta stampata, ed è un bel regalo per tutti gli appassionati del genere e della band. Al di là di “Hellbook”, il libro ufficiale della band tedesca uscito alcuni anni fa, che era per lo più un libro fotografico, non una vera biografia, non esiste nulla di così completo riguardante gli Helloween. E c’è da dire che il vuoto lo si colma perfettamente, tanto che il libro meriterebbe numerose traduzioni, in quanto la band è famosa e seguita in tutto il mondo e Massimo Longoni, che abbiamo intervistato, ha compiuto un lavoro eccezionale nel raccontare la band e la sua storia, entrando in particolari sconosciuti anche dai fan più incalliti.

Massimo, il tuo libro è davvero pieno citazioni, testimonianze di cui molte internazionali, quanto tempo hai impiegato per scriverlo e come è nata soprattutto questa idea?
Questo libro è una vita di passione. Mi frullava da un po’ di tempo l’idea di questo lavoro, l’ostacolo però era stato sempre capire se ci fosse materiale su cui lavorare, trovare le giuste fonti. Ci ho messo un annetto circa e devo ringraziare Max Baroni della Tsunami che mi ha permesso di attingere dalla sua cospicua collezione di riviste heavy metal.

Come è nato il tuo “amore” per gli Helloween?
Li ho scoperti per puro caso nel 1989 con i due album “Keeper of the Seven Keys”, prima e seconda parte. Da lì non li ho più mollati, ho amato molto il successivo “Pink Bubbles Go Ape”, anche se molti lo considerano il loro punto più basso, addirittura peggio di “Chameleon”, in cui ci sono diversi brani interessanti e che con il tempo è stato rivalutato da molti fan. Quest’ultimo sicuramente è un disco che ha delle pecche, un album figlio di una frattura all’interno della band, non è un disco di una band infatti, ognuno lavorò per conto proprio, ma ciò non toglie che abbia all’interno dei brani eccezionali.

Forse uscito in questi giorni sarebbe considerato quasi un capolavoro per la sua varietà.
Assolutamente, anche perché oggi c’è molto meno intransigenza a livello di suddivisione di generi nel metal, c’è ancora l’anima “true metal”, vero, ma rispetto ai tempi è anche abbastanza superata.

Il tuo libro dà finalmente alla band quella maggiore credibilità, nonostante siano sempre ad alti livelli ma allo stesso tempo sempre messi un po’ in secondo piano?
Non sono mai stati presi sul serio fondamentalmente. Loro hanno pagato questo atteggiamento di non essere necessariamente “true” in un certo ambiente. Quindi da un lato avevano un atteggiamento molto diverso dalle solite band heavy metal, loro sono sempre stati molto ironici, leggeri, solari, positivi, senza attingere ai soliti stilemi metal un po’ “battaglieri” o quantomeno seri senza mai sfociare in tematiche più vicine a generi più estremi come il satanismo. E per questo sembravano all’occhio di molti dei “pagliacci”, per questo nel 2000 c’è stata una svolta più “dark” spinti anche dall’etichetta e dal management con l’album ‘The Dark Ride’. Poi loro hanno pagato le tante influenze che hanno avuto all’interno della band, il volere andare oltre il genere metal, non essere sempre chiusi in quel cerchio, se prendi ogni loro album per quanto siano subito riconoscibili ogni disco ha una sua peculiarità, un suo marchio che li rende sempre personali. Ci sono band molto più “fedeli a se stessi”, vedi gli Iron Maiden o i Manowar, e spesso ciò è stato visto da una parte del pubblico come un tradimento, che poi non era indirizzato a commercializzarsi e a vendere più dischi ma era fatto semplicemente per soddisfare le esigenze dei singoli elementi del gruppo, prendi ad esempio Michael Weikath (chitarrista, nda), viene da una formazione musicale più vicina a band come Beatles, Deep Purple, ha uno spiccato senso melodico rispetto all’anima più metal che era ed è tuttora di Kai Hansen (altro chitarrista, nda).

Infatti loro ogni volta che sono stati all’apice del successo, invece di proseguire su quella strada vincente hanno sempre sterzato in un’altra direzione, vedi dopo i due “Keepers” e dopo “Better Than Raw” (in Italia quest’ultimo arrivò al 14° posto in classifica) e pubblicarono un disco di cover che di metal aveva poco e niente.
Vero, sì, è proprio una loro caratteristica, come essere su un ottovolante. Oggi stanno raccogliendo finalmente ciò che hanno seminato nel corso di quasi 40 anni di carriera, spesso sperperandolo senza riuscire a goderselo perché ogni volta che arrivavano in cima la volta successiva c’era il disastro. Adesso finalmente tra il tour di reunion e il nuovo album finalmente stanno avendo il successo meritato. Vedessi i live del precedente tour, hanno avuto il massimo degli spettatori.

Dei progetti paralleli, a quale sei più legato?
Sicuramente i Gamma Ray. Devo ammettere che non li ho seguiti da subito. Non essendo prettamente un metallaro, al tempo non mi accorsi della band, sì, seguivo gli Helloween ma non considerai subito la band di Kai Hansen. Li ho scoperti successivamente per caso, al tempo non c’era internet, lo vidi in un negozio di Milano, Mariposa al tempo, chiesi al negoziante “Com’è?” e mi rispose “come i primi degli Helloween”, da lì in poi ho seguito la band, comprato tutti gli album, di cui preferisco su tutti “Insanity and Genius” del 1993.

Hai notato che a differenza di altre reunion di altre band, sembra tra le più “genuine”e che ci sia una vera armonia nella band e che ci sia un gran divertimento tra loro?
Voglio crederlo anch’io, non vorrei essere ingenuo, ma vorrei credere a questa buona fede, anche perché ci sono elementi e indizi che supportano questa tesi. Se analizziamo bene il tutto non era così scontato che a livello economico potesse andare bene, e che ci fosse tutto questo interesse, comunque era un “esperimento” che poteva andar male, non piacere al pubblico, invece è andata benissimo, meglio del previsto, tanto che a Milano era stata fissata una data all’Alcatraz invece è stato necessario spostarla al Forum di Assago. L’unico che non si lascia andare a toni troppo entusiasti sembra sia Weikath ma non so se è anche per via di un suo atteggiamento. Kiske invece nelle interviste è sempre molto allegro, giocoso, sembra davvero sereno.

Andi Deris ha salvato la band in qualche modo al suo ingresso nel 1994, confermi?
Assolutamente. Oggi non staremmo a parlare degli Helloween in questi termini, Tra l’altro Deris è uno che non è entrato in punta di piedi nella band, ha capito da subito perfettamente la situazione, inoltre è uno con una personalità spiccata, molto intelligente, ha compreso che era l’occasione della sua vita. Man mano che son passati gli anni ha preso in mano le redini del gruppo, basta vedere che il numero di canzoni che scrive. Vedi anche la reunion, sulla carta poteva andargli a sfavore, confrontarsi sul palco con Michael Kiske, da una vita il suo “principale rivale”, invece aveva capito che così la band sarebbe diventata più grande facendo persino un passo indietro. Lo dico da fan totale di Kiske, ma al concerto di Milano Deris è stato strepitoso e ha vinto 3 a 0. Kiske ha pagato il fatto di non essere salito sul palco per circa 20 anni, è un po’ statico, impacciato, Deris invece è un istrione totale, capace di fare spettacolo e negli ultimi anni canta meglio dei primi anni in cui è arrivato. Ha cambiato impostazione vocale e oggi canta molto meglio anche i brani dell’era Kiske, direi che è inattaccabile. Che abbia salvato la band non c’è alcun dubbio.

Una grande famiglia anche con i Pink Cream 69 per certi versi.
Sì, alla fine sì, Kosta Zafirou (batterista Pink Cream 69, nda) che fa da manager agli Helloween, Dennis Ward (bassista dei PC69, nda) che fa da co-producer, insomma buona parte di loro per certi versi sono entrati a far parte della famiglia Helloween.

Altro sul libro che vuoi raccontarci?
La parte più difficile da scrivere è stata quella relativa a Ingo Schwichtenberg e alla sua morte (Ingo Schwichtenberg è stato il primo batterista degli Helloween sino al 1993, deceduto nel 1995, nda). Non volevo scadere in termini “gossipari” non sarebbe stato giusto nei suoi confronti, volevo essere il più rispettoso possibile e a dimostrazione di quanto quel periodo è stato difficile anche parlandone con i protagonisti della band è stato difficile ricostruire la catena di eventi, è stato difficile ricostruire il periodo di quando Ingo è stato male veramente, quando hanno dovuto decidere di metterlo da parte, Kiske ricordava una cosa, Roland Grapow ne ricordava un’altra differente, le interviste dell’epoca riportavano notizie contrastanti, così sono andato a sentire un testimone super partes, Riad “Ritchie” Abdel-Nabi, batterista che fu chiamato a sostituire lo stesso Ingo al tempo, è stato molto contento di esser stato preso in considerazione, in quanto di lui non se ne è più parlato. Qualche aneddoto ce lo ha raccontato. Ad esempio, io ho ascoltato la registrazione del primo concerto a Tokyo in Giappone del tour di “Chameleon”, Kiske, a inizio concerto dice che Ingo non c’è e che si sta facendo curare in quanto non sta bene in salute, ma se vedi il tourbook dell’epoca, stampato quindi prima dei concerti, già non c’è più Ingo nella band ma c’era già Abdel-Nabi. Lo stesso Grapow ricordava che Ingo era stato male durante un concerto e Hiroshima durante quel tour ma in quel tour non c’è stato alcun concerto a Hiroshima, ricostruendo il tutto successivamente, Ingo è stato male durante un concerto in Germania precedentemente. Insomma, una situazione abbastanza caotica al tempo, e probabilmente ognuno di loro ha dimenticato quei giorni volutamente in quanto saranno stati certamente davvero duri.

Un libro completissimo sulla band, se volete saperne di più sugli Helloween, correte a comprare la vostra copia di “Helloween, pumpkins fly free” – tutta la storia’ di Massimo Longoni. Libro consigliato da Wanted Record, Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA IN VERSIONE RIDOTTA SUL QUOTIDIANO “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 20 OTTOBRE 2021

Rockets – “Alienation”, l’album fantasma

Esce in questi giorni in tutti i negozi di dischi “Alienation” l’album ‘fantasma’ che i Rockets hanno tenuto nel cassetto per ben 40 anni. Grazie alla collaborazione con Zamusica, finalmente possiamo ascoltare questi brani rimasti inediti per così tanto tempo. Per sapere meglio cosa c’è dietro questo lavoro, abbiamo raggiunto il leader della band, Fabrice Pascal Quagliotti.

Fabrice, “Alienation” doveva uscire 40 anni fa, dopo il grande successo di “Galaxy” del 1980, giusto? Come mai è stato bloccato così tanti anni?
Sì, è stato registrato tra la fine del 1980 e l’ inizio del1981. Quando registrammo il seguito di “Galaxy” preparammo un altro album, “Alienation” appunto, che non convinse la casa discografica. Non sapevano neanche loro come giustificare il loro “no”, dicendo che non andava bene in quanto “troppo avanti”, insomma ce lo bocciarono sostanzialmente. E il disco è rimasto chiuso nel cassetto. E invece uscì un album dal titolo “Π 3,14” in cui ci sono solo due brani dei Rockets, gli altri no, infatti ci rifiutammo di suonarli, per noi l’album dei Rockets era quello che avevamo prodotto. Quindici anni fa ho acquistato i master del disco che non avevamo più pubblicato e ho deciso di farlo uscire adesso, nel 2021 perché nel 2019 abbiamo fatto uscire “Wonderland”, il nostro ultimo album di inediti e siccome tutto ha un inizio e una fine e al progetto Rockets mancava un tassello, ho aspetto un po’ così coincideva con i 40 anni dalla sua registrazione.

Quali sono le differenze sostanziali tra questo disco che non vi fecero pubblicare e quello che invece poi uscì realmente, appunto “Π 3,14”?
La differenza sta nel fatto che “Π 3,14” non lo sento come un disco dei Rockets, è un’accozzaglia di cose copiate, un plagio unico dall’inizio alla fine, tranne due brani che erano nostri e facevano parte di questo “Alienation”. Un disco fatto di corsa con l’ex produttore, discutemmo con lui infatti, facendogli notare che stavamo compiendo un passo sbagliato, difatti non ebbe grosso successo il disco. Per noi l’album era “Alienation”. L’unica cosa bella era la copertina, ma nessuno di noi si riconosce in quel disco. Registrato con tutti i membri originali della band, Christian, i due Alain, Gerard e me.

La registrazione che ascoltiamo oggi è rimasta così come era all’epoca o lo avete un po’ “ritoccato”?
Dopo aver acquistato i master ho riversato tutto su hard-disk, è stato fatto un grossissimo lavoro di restauro di mastering, in quanto c’era un grosso problema di umidità, ma le tracce sono quelle dell’epoca sostanzialmente.

Avete previsto un tour di supporto al disco?
Difficile dirlo, noi vorremmo. Dovevamo fare un tour in Russia ma non è possibile al momento andare a suonare lì. Probabilmente nel 2022 torneremo a suonare regolarmente. Speriamo…

Come vedi il trattamento che ha subito il settore dello spettacolo in questi due anni?
Lo trovo scandaloso. Vanno bene le regole, ma che siano uguali per tutti. Ci sono posti come la chiesa dove non serve il green pass e in un museo o in un teatro sì. Lo stadio sì, ma i concerti no. Così come per i mezzi di trasporto. L’unico settore che è stato penalizzato è quello della musica e delle discoteche. Sono anche d’accordo all’obbligo vaccinale ma lo Stato deve prendersi le proprie responsabilità e che ci sia lo stesso trattamento per tutti.

Contemporaneamente all’album “d’epoca” esce però un brano “nuovo” dei Rockets in formato fisico.
Sì, si tratta di “Free”, brano che non trovò posto su “Wonderland” ed è uscito lo scorso anno in digitale come singolo, il fisico ha subito un ritardo invece perché per un periodo durante il lockdown non si trovavano le lacche, i coloranti per stampare il vinile, un vero disastro, oggi per avere un vinile rischi di attendere quattro mesi.

La tua carriera solista invece, nuovi progetti?
Recentemente ho suonato sul lago di Como ad agosto, ed anche in Uzbekistan con l’orchestra, e inoltre sto registrando e componendo il mio secondo album solista, dopo il primo “Parallel Worlds” dello scorso anno.

Bene, invitiamo quindi tutti i fan dei Rockets e non solo a procurarsi “Alienation”, che sarà disponibile sia in versione vinile nero che colorato blu elettrico. Entrambe le versioni avranno una tiratura limitata numerata a soli 1000 pezzi. Invece la versione CD, sempre a tiratura di soli 1000 esemplari, oltre a un booklet di 24 pagine con testi conterrà un versione di durata più lunga rispetto al vinile del brano ‘”Collage”. Anche il singolo “Free” sarà disponibile in formato sia CD, 500 copie numerate, e vinile colorato limitato a soli 300 pezzi. Fan dei Rockets, non perdete tempo! Disco consigliato da Wanted Record, via Bottalico, 10 a Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 06 OTTOBRE 2021

Stef Burns – Lezioni di rock

Il Teatro Barium di Bari stasera (29.09.2021) alle ore 18 ospiterà un chitarrista rock d’eccezione di fama internazionale: Stef Burns. Conosciamo meglio il rocker statunitense attraverso la seguente intervista.

Ciao Stef, ricordiamo innanzitutto che tu hai suonato con tantissimi artisti prestigiosissimi, si ricordano spesso Alice Cooper, Vasco Rossi, Steve Vai, Huey Lewis & the News e molti altri, qual è il ricordo più bello che più ti lega a questi grandissimi nomi e la differenza del modo di lavorare con una band anziché un’altra?
Tutti gli artisti con cui ho suonato mi hanno regalato tante belle cose. Sono stato cosi bene con Alice con Huey, Peppino D’Agostino, ed altri ma soprattutto con Vasco… La più grande esperienza musicale che abbia mai vissuto. Tutti i dischi che ho registrato con lui, poi i concerti a San Siro, Modena Park, Imola, Catanzaro e tanti altri.

In particolare il concerto di Modena Park sarà stato qualcosa di incredibile a livello emozionale, che ricordi hai di quella sera?
Very very strong! È stato come un sogno suonare davanti a 230.000 persone! Concentrandomi sulle mani in maniera tale di non sbagliare.

C’è qualcuno con cui invece “sogneresti” di suonare?
Paul McCartney… per poter suonare i pezzi dei Beatles con lui.

Sei un chitarrista tra i più acclamati al mondo e molto seguito, cosa consiglieresti a un ragazzino che vuole iniziare a suonare lo strumento?
Di seguire la sua passione, un suo stile, suonare tanto, suonare davanti alla gente, e con musicisti diversi. Di studiare altri strumenti per l’ispirazione come voce, sax e piano.

Spesso si dice che il “rock è morto”, che differenza vedi suonando per il mondo oggi rispetto a 20/30 anni fa? C’è realmente meno interesse per il genere o sono “solo parole”?
Sono solo parole a mio parere. Il rock non morirà mai!

Parliamo finalmente della tua carriera solista, che progetti ci sono in cantiere, lo scorso luglio era uscito un singolo, vero?
A novembre il mio gruppo, Stef Burns League, andremo in tour per un secondo giro in Italia quest’anno! Lo scorso luglio è uscito il singolo “Bringing It On” che si trova sulle varie piattaforme digitali. È sempre la cosa più importante e più bella per me suonare i nostri pezzi insieme a Juan e Paola!

Parlando della clinic che terrai a Bari domani, su cosa verterà esattamente? Cosa deve aspettarsi chi verrà a vederti?
Suonerò pezzi dei miei album, “Swamp Tea” e “World Universe Infinity”, più qualche sorpresa. Spiegherò come uso la Stratocaster e come faccio tante cose con la chitarra e parlerò anche dell’ispirazione per comporre ed improvvisare. Risponderò alle domande del pubblico e ci divertiremo tanto!

Non resta altro stasera che recarsi al Teatro Barium di Bari, in via P. Colletta 6/6 alle ore 18. Il costo di ingresso è di € 30,00. Per qualsiasi ulteriore informazione, per prenotare il proprio posto e per conoscere maggiori dettagli sull’evento, sono reperibili sulla pagina dell’evento Facebook A lezione da Stef Burns. Evento consigliato da Wanted Record, Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 29 SETTEMBRE 2021

Ivan Cattaneo – Poli-Artist!

Sono passati 41 anni da “Polisex”, uno dei più grandi successi di Ivan Cattaneo, incluso nell’album “Urlo” del 1980, predecessore di “Duemila60 Italian Graffiati”, un album in cui l’artista bergamasco riproponeva in una personalissima chiave punk le più belle hit di musica leggera italiana degli anni 60. Il disco ebbe enorme successo, tanto che ne seguirono altri due di album con la stessa formula, “Bandiera gialla” nel 1983 e “Vietato ai minori” nel 1986. Uno dei primi, Ivan Cattaneo, a proporre un progetto così singolare, al contrario di ciò che avviene oggi dove forse le cover sono persino stra-abusate. Così come è stato uno dei primi a proporre dei progetti d’avanguardia sin dal 1975 con l’album l’esordio “UOAEI” in cui proponeva musica sperimentale alla ricerca di un nuovo linguaggio, album tra l’altro molto amato da un certo Lucio Battisti che infatti l’anno dopo portò con sé il batterista Walter Calloni nel suo album “La batteria, il contrabbasso, eccetera”. Da menzionare anche l’album “Superivan” del 1979 in cui le parti strumentali sono affidate alla P.F.M. . Cattaneo non è solo un cantante e un musicista, è un artista poliedrico, la pittura è un altro campo in cui si esprimerà e si esprime tuttora in maniera eccellente. Dieci giorni fa, la casa discografica Soter ha pubblicato un progetto altrettanto singolare, un tributo alla sola canzone “Polisex”, pubblicando un CD per il suo quarantesimo anniversario. Ne parliamo direttamente con Ivan Cattaneo.

Ivan, ci parli di questo lavoro?
Certo. L’idea del progetto non è mia, ma della Soter, la stessa casa discografica che nel 2015 aveva pubblicato “Un Tributo Atipico”, un doppio CD contenente ben trenta canzoni mie reinterpretate da altri artisti. Stavolta invece tributano solo una canzone, appunto “Polisex”. Progetto che doveva uscire lo scorso anno per i 40 anni, ma causa pandemia, siamo al quarantunesimo. È un’idea un po’ particolare, un tributo fatto ad una sola canzone interpretata in dieci versioni differenti uno dall’altra. C’è anche una mia nuova versione ricantata e una sempre mia solo voce e chitarra, così come del resto nacque al tempo “Polisex”. Molte canzoni nascono voce e chitarra, o voce e pianoforte.

C’è una versione in particolare che ti ha colpito maggiormente?
Mi piace molto la versione di Attilio Fontana, una versione “Bossa Nova”, ma devo dire che son belle tutte, è un bel progetto con delle belle foto all’interno, il tutto curato sempre dalla Soter.

Che significato aveva 41 anni fa “Polisex” e quale significato ha oggi?
Il brano è nato al tempo per giustificare ed esaltare la sessualità polimorfa nel senso che era “Polisex”. Ripensando oggi alle varie sfaccettature della sessualità, quelle che oggi chiamano LGBT, già 41 anni fa avevano già una parola che le racchiudeva tutte ed era proprio “Polisex”. Il brano canta proprio quello, parla delle sfaccettature della sessualità che non è mai quello che vogliono farci credere, non è mai bianca o nera, la sessualità è una scatola di pastelli colorati, quando ci dicevano che era bianca e nera era perché erano altri tempi, c’erano tanti tabù, gli omosessuali vivevano più nascosti, era un mondo sotterraneo, mentre oggi ognuno ha la sua libertà e il suo modo di esprimersi senza contrastare gli altri, proprio perché la sessualità è polimorfa.

Il significato di “Polisex” però è ancora attualissimo, non credi? 
Sì, certo. C’è ancora tanto da lavorare. Quando mi chiedono se è cambiato molto rispondo di sì, ma allo stesso tempo temo non sia cambiato nulla. Per certi versi siamo andati avanti, per altri c’è una forma di razzismo, omofobia e intolleranza che è proprio dentro di noi. Il vero razzismo è quello che si ha dentro, una paura non razionale, ingiustificata.

Infatti oggi si parla molto di leggi contro l’omofobia, il razzismo…
Sì, pensa che Alessandro Zan è mio fan da ragazzino. Scherzavamo infatti alcuni giorni fa sul fatto che poteva usare la parola “Polisex” anziché la sigla LGBT, che però è una sigla internazionale, per cui… ma se ci pensi LGBT non è altro che “Polisex”.

Del resto tu sei sempre stato avanti sia con le tematiche che con la musica, negli anni 70 hai in catalogo di dischi da far invidia, però a volte i critici sono un po’ snob, magari relegando sempre un artista solo a ‘determinate canzoni’, non trovi?
Figurati, per quello anche Battiato disse di esser stato snobbato. Io certamente ho fatto canzoni da interprete come “Una zebra a pois” ma anche canzoni d’avanguardia. Devo dire che il vero Ivan Cattaneo è quello cantautoriale, quello di “Polisex”, così come anche quello delle ultime canzoni che ho composto per Patty Pravo “La carezza che mi manca” o per Al Bano “Abbaio alla luna”. Bisogna dimostrare di saper fare uno e l’altro secondo me.

E tu lo fai benissimo. Il tuo ultimo lavoro di inediti “Luna presente” del 2005 è un gran lavoro e include una canzone “In /con/ per: amore” che è un gioiellino…
Sì, è proprio un bel brano quello, vero. L’arrangiamento in quel pezzo è di Dario Dust, che era il mio tastierista, adesso produce Elodie, Mahmood. Quest’anno a Sanremo aveva ben sei canzoni.

Stai lavorando a qualche progetto prossimo? Sì, si chiamerà “Titanic Orchestra”, si tratta di un disco/progetto teatrale che sarà portato in giro a gennaio, e sarà uno spettacolo di racconti, monologhi e canzoni tutte nuove, inedite.

Come hai vissuto la lunga sosta dovuta al periodo che stiamo vivendo? Farai qualche data estiva?
Dovevamo fermarci necessariamente, il virus correva troppo velocemente. Farò sì, qualche data, ma non molte, non si è risvegliata totalmente la situazione soprattutto nelle discoteche.

Tu hai molto da raccontare, hai mai pensato di scrivere un libro?
Ne sto scrivendo uno, non è esattamente un libro “da cantante”, più un romanzo autobiografico.

Il CD “Polisex 40th anniversary” è già disponibile in tutti i negozi di dischi e per gli amanti del vinile a breve sarà disponibile anche in vinile nero e picture disc. Disco consigliato da Wanted Record, via G. Bottalico, 10 a Bari.

INTERVISTA ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO “IL QUOTIDIANO DI BARI” IL 23 GIUGNO 2021