Trent’anni passati in prima linea, magari alternando al consueto “rumore” lunghi momenti di silenzio, ma senza mollare mai! Chiamatela resilienza o, più semplicemente, caparbietà, ma gli Undertakers sono ancora qui tra noi per festeggiare ben tre decadi di musica estrema. Nessuno meglio di Enrico Giannone può presentarci il nuovo, e celebrativo, album “Dictatorial Democracy” (Time to Kill Records / Anubi Press), contenente alcuni classici, una paio di cover e ben tre inediti!
Benvenuto Enrico, trent’anni di Undertakers! In queste tre decadi è cambiata più la tua creatura o sei cambiato più tu?
Forse siamo cambiati entrambi allo stesso modo, anche se musicalmente non mi sono “evoluto” ahahhahah (i veri musicisti dicono così, mi pare): l’approccio verace, aggressivo, adrenalinico e con un pizzico di non prendersi sempre troppo sul serio ha sempre contraddistinto me stesso e i miei progetti.
Ricordi ancora quale è stato il primo pezzo scritto per gli Undertakers?
“Human Decline”, che poi è contenuto anche sul primo album “Suffering Within”; mi ricordo l’emozione di scrivere un testo in una lingua non mia e di provare a far passare dei concetti come li volevo io. Alla fine, ripeto, ho solo un gran vocione ma non mi reputo un musicista…
Quali sono i momenti di questa lunga carriera che ricordi più piacevolmente?
Guarda, ho avuto la fortuna di essere giovane quando “questo genere” andava bene sia in Italia che all’estero. Con Undertakers la media era sempre 300/400 persone, siamo arrivati anche a 1000 verso la fine degli anni 1990. Il primo tour europeo con Vital Remains e Vader, furgone che andava al max a 100 kmh, emozioni senza fine, mi sentivo un re… anche se non avevamo soldi, abbiamo persino rubato in autogrill per mangiare: forse il miglior momento della mia vita!
I momenti brutti immagino che non siano mancati, c’è stato un giorno in cui hai pensato mollo tutto?
I momenti brutti ci sono stati, ma ti dirò: la cosa bella della musica che non ti “incula” mai. Un progetto, una band, una zine posso avere dei momenti di calo, di stanca ma se è qualcosa che hai dentro… non ti lascia mai. Io ci vivo di musica, ne ho fatto una professione, però mantengo il mio legame con l’underground all’alba dei miei 50 anni.
Colgo la palla al balzo per allargare l’ambito di questa nostra intervista, tu non sei solo un membro degli Udertakers, ma porti avanti altre attività legate alla musica: sei un label manager e un promoter. La situazione generale è in ripresa oppure è difficile ad oggi pensare in positivo?
Stiamo messi malissimo! Il carrozzone rischia una debacle clamorosa, spero vivamente che per metà 2021 si ricominci, altrimenti c’è da preoccuparsi a livello mondiale. Se posso però dire una cosa, spero che una volta che si riprenda la gente veramente vada ai concerti, specie quelli di “nicchia”, dal momento che vedo solo “chiacchiere e distintivo”. Ad ogni, l’unica soluzione è un vaccino, tutte le altre sono rimedi, anche onorevoli, ma economicamente perdenti. L’etichetta – la Time to Kill Records – devo dire invece che grazie ad un team validissimo che abbiamo messo su sta andando super bene, anche se parliamo sempre di underground e quindi di passione, ma sta andando alla grande.
Ritorniamo alle cose belle, in particolare all’album celebrativo “Dictatorial Democracy”, un lavoro che raccoglie brani vecchi e nuovi. Per il momento mi soffermerei sui classici, come hai scelto quali canzoni includere?
Sono quelle che hanno rappresentato un po’ la nostra carriera, quella che riteniamo più valide e che abbiamo suonato da sempre. In una sola parola, quelle che hanno più “attitudine”.
“Fascist Pig” dei Suicidal Tendencies e “Ripetutamente” dei 99 Posse le due cover presenti su questo lavoro, come si armonizzano questi pezzi con quelli scritti da voi? Credi che ci sia un filo conduttore tra la vostra opera e quella delle band di Muir e di ‘O Zulù?
I Suicidal per me sono un riferimento sia musicale che “sociale”, mi sono sempre ritenuto una mistura strana tra punk metal e hardcore, quindi Muir è sempre stato il frontman, diciamo, che meglio mi rappresenta anche visivamente sul palco. Per quanto riguarda ‘O Zulù, ci conosciamo da anni. Ci proposero di rifare una loro canzone in formato grind, la sfida ci piacque, e l’abbiamo realizzata. E devo dire la verità, lo reputo davvero un pezzo grind fichissimo!
All’epoca del vostro inserimento nella compilation di tributo ai 99 Posse come reagirono i fan più “metallicamente” ortodossi?
Mah, ricordo che ne furono colpiti positivamente, alla fine Undertakers è una band “schierata”, quindi passiamo dai locali dei capelloni ai centri sociali più assurdi. Quello che non ho mai amato è la musica vissuta come ghetto, come tribù recluse nei recinti. Io so solo di andare veloce e fare male, musicalmente parlando, del resto me ne fotto…
Passiamo ora ai tre brani inediti: “Best Hate”, “Dictatorial Democracy” e “Religion is a Crime”, come e quando sono nate queste tracce?
Stefano – unico superstite insieme a me – ha materiale per farne cento di dischi. Copertina e titolo erano pronti da 10 anni, penso. Il momento storico ha fatto anche da acceleratore e abbiamo detto ora o mai più. Quindi ci siamo messi sotto, siamo andati ai Kick Recording Studio e il resto lo sentirete….
Come ti vedi tra 30 anni?
Se campo ancora, provando ancora a sperimentare e portare avanti qualche progetto fallimentare, ehheheheh. Ma tanto è così, il piacere di provare di innovare, di mettermi in gioco è il leit motiv della mia esistenza: la vita non la subisco ma l’aggredisco!
