La Transcending Obscurity Records il prossimo 26 settembre pubblicherà il terzo album degli italiani Hateful. Con qualche giorno d’anticipo rispetto all’uscita di questo ottimo lavoro di death metal tecnico, abbiamo contattato il cantante bassista Daniele Lupidi per saperne di più.
Ciao Daniele, e grazie per questa intervista, ti andrebbe di raccontare brevemente la storia degli Hateful partendo dall’inizio? Per forza di cose devo riassumere velocemente più di 20 anni di attività, cercherò quindi di essere breve! Ci siamo formati a cavallo fra il 1997 e il 1998 per volontà mia e di un mio amico chitarrista dopo la dipartita di entrambi dalla precedente band nella quale militavamo entrambi. Dopo poco lui abbandonò il progetto Hateful, ma io ero determinatissimo a continuare e reclutai fra gli altri Marcello, che tutt’ora è l’altro membro stabile della band. Posso dire che il suono attuale del gruppo si è sviluppato diversi anni dopo, intorno al 2003, anno in cui finalmente abbiamo deciso di lasciare ogni freno compositivo e di creare un mix completamente personale senza curarsi di come sarebbe stato accolto dalla “scena”. Altre tappe importanti sono state scandite dalle uscite ufficiali, 2006 per lo split cd con Impureza ed Hellspawn, 2010 e 2013 per i nostri due full abum “Coils of a Consumed Paradise” e “Epilogue of Masquerade”, per arrivare finalmente quest’anno al nostro disco più sofferto ma più importante “Set Forever on Me”, in uscita per Transcending Obscurity Records.
La vostra nuova release esce a ben sette anni di distanza dal vostro secondo full “Epilogue of Masquerade”: quali sono, secondo te, le principali differenze tra i due album? “Set Forever on Me” è un disco al contempo più complesso e più “facile” dei precedenti. Complesso perché compositivamente mi sono concentrato molto sugli arrangiamenti e sull’interazione fra le due chitarre e il basso. Conseguentemente anche il drumming di Marcello è diventato più tecnico e ragionato, costruito insieme alle linee di basso. In generale le canzoni sono molto più stratificate e quasi più “orchestrali”, con molte più sfumature armoniche e melodiche. D’altro canto questa maggiore attenzione alla melodia e alla ricerca di un’atmosfera più cupa ha reso l’ascolto più fluido e diversificato rispetto ai primi lavori, che avevano un’intensità continua quasi da brutal death metal. Le liriche inoltre hanno un taglio decisamente più oscuro, con alcuni testi maggiormente personali ed emotivi ed altri di ispirazione letteraria. Il tutto scritto nel mio solito stile pittorico/visionario.
Il vostro nuovo “Set Forever on Me” uscirà per l’attualmente attivissima Transcending Obscurity Records, come è nato l’interesse della label nei vostri confronti? E’ una storia abbastanza curiosa! Qualche anno fa stavo facendo una ricerca oserei dire “nostalgica” di tutte le recensioni riguardanti i nostri primi due album e cercavo di ricordare dove ne avessi letta una particolarmente lusinghiera dell’epoca “Epilogue of Masquerade”. La ritrovai nella webzine “Diabolical Conquest” e mi affrettai a cercare il nome dell’autore che era appunto Kunal di TOR, che nel frattempo aveva fondato la sua label. Però io di questo ultimo dettaglio ero completamente all’oscuro e quando gli chiesi l’amicizia su Facebook, più che altro per ringraziarlo di quelle splendida recensione, scoprii da lui che aveva appunto intrapreso questo percorso di label owner! Ovviamente lui stesso si rivelò subito interessato a sapere cosa stava bollendo in pentola riguardo ad Hateful e il resto è storia!
Entrando più nel particolare, come avviene la creazione di un vostro brano? Chi di voi si occupa del songwriting? I brani nascono quasi sempre da intuizioni o da suggestioni mentali di melodie o ritmi, quasi mai mi metto alla chitarra aspettando il riff giusto da cui partire. La maggior parte della struttura di un brano viene immaginata e talvolta addirittura appuntata tramite un registratore vocale, in modo da non dimenticare i movimenti e la loro sequenza. Sono sempre stato più bravo di fantasia che di tecnica, per cui passo a tradurre le idee sulla chitarra solo in un secondo momento. Una volta che mi ritrovo con una struttura soddisfacente la porto in sala prove e iniziamo a lavorare sulle linee di batteria. Si tratta di un lavoro molto stratificato in effetti, dove conta sia l’ispirazione che una certa scientificità. Poi finalmente passo agli arrangiamenti di basso, dei testi e delle linee vocali. Ho composto praticamente tutto il materiale di “Set Forever on Me” ma ovviamente Marcello è stato fondamentale durante la fase di arrangiamento, in quanto la batteria è sicuramente una grossissima parte di quello che poi si andrà ad ascoltare in una canzone death Metal.
Cosa puoi dirmi invece riguardo alle lyric? I testi sono a se stanti oppure si nasconde un vero e proprio “concept” dietro? Ogni canzone è decisamente a se stante per quanto riguarda le liriche. L’ispirazione può arrivare da spunti di riflessione su svariate tematiche, talvolta insospettabili. Di solito alcuni concetti rimangono nella mia testa fino a quando non sento il bisogno di creare una sorta di immagine mentale, dai connotati quasi pittorici, e di tradurre queste visioni in parole. In “Set Forever on Me” alcune delle liriche hanno, forse per la prima volta, una genesi “interiore”, ovvero ho plasmato le parole partendo da alcuni stati d’animo decisamente negativi che in alcuni periodi hanno pervaso la mia mente. Credo che anche da questo punto di vista questo sia il nostro disco più oscuro e profondo.
Se dovessi farmi tre nomi, quali sono le band dalle quali traete maggior ispirazione per la composizione dei vostri brani? Faccio tre nomi quasi casuali in quanto le influenze vanno dal death metal al rock progressivo senza alcuna regola precisa! Sicuramente band come Suffocation, Monstrosity e i primi At The Gates hanno avuto una parte importante nel plasmare il nostro sound, ma sarei in grave difficoltà se dovessi applicare un’ipotetico bollino “for fans of…” ai nostri album! Credo che l’apertura, a livello di ascolti, verso generi “extra-metal”, abbia giocato un ruolo importante nelle nuove composizioni, soprattutto per quanto riguarda gli arrangiamenti di basso e batteria.
Un altro aspetto sul quale vorrei soffermarmi un attimo è la grafica in quanto anch’io me ne occupo nel mio piccolo, ho notato che l’autore dell’artwork sei tu, posso chiederti qual è il significato dello stesso? La cover sotto diversi aspetti è una rappresentazione in chiave “straniante” delle paure e delle difficoltà incontrate negli anni della realizzazione del disco da me e più in generale dalla band. E’ un’immagine aperta a diverse interpretazioni ma quello che non manca di sicuro è il sottile senso di inquietudine e di “fine catastrofica”, sicuramente qualcosa che a posteriori stiamo vivendo attualmente causa pandemia globale.
C’è qualche autore che, in tal senso, funge da modello per te? Sicuramente pittori come Beksinski, Redon, Klinger, Giger e Kubin hanno creato immaginari a me molto affini. Per “Set Forever on Me” inoltre mi sono ispirato (credo inconsciamente) anche a diverse opere sci-fi anni 60/70 che ho rispolverato da alcuni volumi che ho fin da bambino.
Qual è la vostra opinione riguardo la scena estrema italiana? Quali, secondo te, sono le band che possono competere con le ben più quotate band straniere? Credo ci siano tante band estreme di altissima qualità, ma credo che questa sia una frase abbastanza scontata. Alcune si sono fatte conoscere nell’underground e oltre come ad esempio Hour of Penance, Putridity, Blasphemer, Hideous Divinity o Unbirth (a proposito consiglio caldamente l’ultimo disco Blasphemer, veramente clamoroso)… Altre non hanno ancora l’esposizione che meriterebbero come ad esempio Laetitia in Holocaust, Esogenesi, Demiurgon, Gravesite e tanti altri. Devo dire che un grossissimo dispiacere me lo ha dato lo scioglimento di una grandissima band come Daemusinem, spero un giorno ci ripensino e tornino a massacrarci le orecchie in studio e sul palco! In generale spero di sentire sempre più band italiane con un sound unico e riconoscibile, sono piuttosto stanco di sentire sempre le solite soluzioni “revival” di questo o quest’altro periodo storico.
Purtroppo questo periodo, segnato dalla pandemia, ha interrotto tutte le attività live delle band… Non appena uscirà il full quali saranno le vostre intenzioni da questo punto di vista, avete già pianificato qualcosa? Non so davvero che dire… è imperativo fare più date possibili per supportare “Set Forever on Me” anche in sede live, ma solo quando ci sentiremo totalmente sicuri a livello sanitario. Speriamo che nei prossimi mesi arrivino segnali definitivamente incoraggianti. Abbiamo diverse idee ma ancora nulla di pianificato purtroppo, vista la situazione globale.
L’intervista è da considerarsi conclusa, davvero grazie per la chiacchiera Daniele, concludi pure come vuoi. Ti ringrazio tantissimo, Luca, per l’intervista decisamente interessante! Spero di aver stuzzicato la voglia dei vostri lettori di dare un’ascolto alla nostra nuova release! Speriamo di rivederci tutti sopra o sotto un palco non appena possibile.
Amate Cynic, Athesit, Sadus e Sadist? Cercate del death metal che sappia coniugare tecnica e feeling senza che uno dei due elementi prevalichi sull’altro? Allora gli italiani Coexistence con il loro nuovo lavoro “Collateral Dimension” (Transcending Obscurity Records) meritano le vostre attenzioni.
Benvenuti su Il Raglio del Mulo. Ammetto di essermi perso il vostro EP d’esordio “Contact with the Entity”, per questo prima di passare al nuovo “Collateral Dimension”, vi pregherei di soffermarvi sugli eventi che hanno portato a quel lavoro. Grazie mille per averci dato l’opportunità di fare questa intervista! Subito dopo la formazione della band abbiamo iniziato a comporre le prime canzoni ed abbiamo deciso di rilasciare il primo singolo “Ultimatum” come presentazione del gruppo, in concomitanza ci siamo concentrati sulla realizzazione di un EP di tre canzoni più un intermezzo. Dopo aver terminato la stesura dei brani siamo entrati in studio per le registrazioni nell’estate del 2017, successivamente a gennaio 2018 abbiamo affidato la cura del mix e del master a Stefano Morabito dei 16th Cellar Studio, la copertina è stata realizzata da Roberto Toderico che ha creato anche il nostro logo. Appena l’EP è stato ultimato abbiamo raggiunto un accordo con la ETN Records per l’uscita che è avvenuta il 21 maggio dello stesso anno.
Da un punto di vista stilistico tra le due opere ci sono differenze sostanziali? La differenza sostanziale tra i due dischi è che abbiamo aggiunto molti più elementi provenienti dalla fusion e dal jazz, poco dopo la stesura delle prime canzoni che avrebbero composto “Collateral Dimension” abbiamo virato molto intensamente su quegli stili pur mantenendo le stesse influenze che ci hanno accompagnato fin dall’inizio del nostro percorso.
Come è nato “Collateral Dimension”? Appena terminate le registrazioni di “Contact with the Entity” ci siamo subito messi al lavoro per scrivere l’album, è stato un processo lungo in quanto nello stesso tempo stavamo promuovendo l’EP suonando in giro per l’Italia e volevamo che questo lavoro fosse speciale, infatti ci siamo concentrati molto sulla struttura delle canzoni e sull’evoluzione del nostro sound. Intorno a giugno 2019 le registrazioni sono iniziate ed abbiamo contattato Adam Burke per farci realizzare la copertina, siamo molto fieri del lavoro svolto con lui in quanto è un’artista formidabile! Ad Agosto, a registrazioni ultimate, ci siamo nuovamente rivolti a Stefano per la cura del suono, su questo aspetto siamo stati a stretto contatto per cercare le combinazioni giuste. Mentre il lavoro di mix e master procedevano abbiamo iniziato la ricerca di un etichetta e grazie anche al nostro manager Tito Vespasiani abbiamo firmato con la Transcending Obscurity, una delle etichette più grandi in Asia. Il rilascio di “Collateral Dimension” è previsto per il 23 Ottobre 2020.
Death, Cynic e Sadist: sono andato troppo lontano dall’individuare le muse ispiratrici di questo album? Assolutamente no! Siamo influenzati particolar modo dai Cynic, sono una delle nostre band preferite, aggiungerei anche come influenze principali Obscura e Beyond Creation che sono quelle che ci hanno accompagnato fin dall’inizio.
Quello che ho maggiormente apprezzato è l’equilibrio che avete raggiunto tra feeling e tecnica, come fate a capire quando state “esagerando” con la tecnica per evitare peccati di auto-indulgenza? E’ una cosa su cui lavoriamo costantemente, è parte integrante del nostro modo di comporre e dei nostri ascolti, la musica è fatta di feeling, la tecnica è solo un modo per raggiungere un determinato risultato e chi pecca su questo risulta spesso noioso o a fine ascolto non resta nulla della musica che crea. Purtroppo ultimamente è una cosa che caratterizza tantissimi gruppi del nostro genere, questo non per dire che noi siamo superiori, ma solamente che prendiamo molto seriamente questo aspetto.
Quanto è importante nella vostra visione di metal estremo la melodia? Molto, tutta la musica si basa sulla melodia a parer nostro, che sia dissonante oppure no ma è quello il fulcro di una canzone e specialmente nel metal estremo è una di quelle cose che fa la differenza tra musica di qualità ed un’ inutile sfoggio di abilità senza senso.
Ho particolarmente apprezzato la produzione, in grado di non far perdere le varie sfumature della vostra musica senza eccessivamente laccata e plastificata, come spesso avviene ultimante. Chi se n’è occupato? Sia “Contact with the Entity” che “Collateral Dimension” sono stati registrati presso lo studio di registrazione del nostro chitarrista Leonardo (Void Studio) mentre mix e master sono stati curati da Stefano Morabito (16th Cellar Studio). Nonostante la recente tendenza di produzioni molto finte abbiamo lavorato molto con Stefano per ottenere un suono più veritiero possibile e fin da subito ci è sembrata la persona giusta con cui lavorare.
Mi pare di capire che dal punto vista tematico siate attratti dalla fantascienza, sbaglio? Siamo grandi fan della fantascienza ma le tematiche principali dei nostri testi sono i sentimenti e le sensazioni che una persona può provare nella sua vita, la spiritualità, non intesa come religione ma come una ricerca costante di se stessi e del senso delle azioni che compiamo. Lo spazio per noi è un simbolo di unione tra macrocosmo e microcosmo tra il mondo e l’individuo. Più che attratti dalla fantascienza in sé ci interessa il nesso tra la realtà comunemente percepita e l’ignoto intrinseco ad essa che il più delle volte siamo costretti a giudicare come fantascienza.
Prima del lockdown come eravate messi con le date dal vivo e quali erano le vostre aspettative? Durante il periodo precedente alla pandemia eravamo in attesa che il disco uscisse prima di tornare a fare delle date dal vivo, purtroppo il lockdown ha rallentato anche il processo di uscita dell’album quindi abbiamo sfruttato questi mesi per curare al meglio le future performance dal vivo ed iniziare a buttare giù qualche idea per il successore di “Collateral Dimension”. Sicuramente ci aspettavamo di suonare molto una volta rilasciato il disco, soprattutto, uno dei nostri obbiettivi primari è di esibirci all’estero e speriamo di riuscirci appena possibile!
E’ tutto, grazie Grazie a voi del Raglio del Mulo per l’intervista e le belle domande, volevamo ricordare ai lettori che “Collateral Dimension” uscirà sotto la Transcending Obscurity Records il 23 Ottobre e che potete preordinarlo insieme al nuovissimo merch su Bandcamp oppure sul sito dell’etichetta.
Nati nel 2013 con la chiara intenzione di farsi un nome all’interno del underground, i paraguayani Verthebral hanno compiuto una graduale evoluzione restando sempre ancorati ai dettami della vecchia scuola death metal, come dimostrato dai due lavori fin qui rilasciati: “Regeneration” e l’ultimo “Abysmal Decay” (Transcending Obscurity Records).Dani (chitarrista, leader e fondatore della band) in questa intervista per il Raglio Del Mulo ci ha parlato del suo equipaggiamento, della sua filosofia e del modo in cui va affrontata l’attuale scena musicale. Soffermandosi sul rapporto social network/artisti indipendenti, sul come ottenere la fiducia di un’etichetta, artwork e sulla fermezza necessaria per mettere su una death metal band in Paraguay.
Benvenuto su Il Raglio Del Mulo, Dani, e grazie mille per il tempo dedicato all’intervista. Come sono nati i Verthebral e cosa ti ha fatto decidere di suonaredeath metal old school? Salve amici de Il Raglio del Mulo, la band ha avuto inizio verso la fine del 2013 come trio, suonavamo cover ma stavamo già provando alcuni dei nostri riff con la chiara idea di creare le nostre canzoni. La formazione iniziale vedeva Christian al basso e voce, Daniel alla chitarra e Gabriel alla batteria, l’obiettivo era quello di fare death metal vecchia scuola, soprattutto a causa della mia preferenza e devozione per lo stile classico degli anni ’90. Siamo migliorati durante le prove, poi Alberto si è unito a noi occupando così il posto per l’altra chitarra, arrivando alla formazione a quattro che avrebbe caratterizzato i Verthebral. In seguito si è verificato un cambiamento nel formazione, Gabriel se ne andato e Denis Viveros è entrato alla batteria, con questa line up abbiamo continuato sino ad oggi.
Perché avete scelto il nome Verthebral, per la sua brutalità? L’idea che volevamo trasmettere ha a che fare con la condizione umana: la struttura ossea ci sostiene e ci permette di avere mobilità ed essere indipendenti e liberi, però dall’altro lato è fragile e il suo indebolimento comporta dei pericoli.
Provenendo da una zona molto lontana dalla capitale, come Ciudad del Este, che si trova dall’altra parte del Paraguay, quali sono le difficoltà e i vantaggi per la band dal punto di vista logistico? Ciudad del Este è la seconda città più importante del Paraguay, ci dà una certa sensazione di indipendenza rispetto alle bande di Asunción, ha i suoi vantaggi e svantaggi forse. La scena è senza dubbio più grande nella capitale, ma dal punto di vista economico e sociale anche la sua resta un fenomeno underground. Per questo cerchiamo di fare la differenza facendo tutto professionalmente, investiamo molto tempo e denaro per ottenere una sorta di sigillo di qualità internazionale: tante ore di prova per suonare bene e poter registrare ottimamente le canzoni. Oggi procurarsi attrezzature e strumenti o registrare è molto facile, per certi aspetti noi che viviamo al confine abbiamo anche più opzioni e alternative, avendo un Paese come il Brasile a pochi chilometri da noi.
Quale è stata l’evoluzione della band dal primo demo al vostro secondo album? Non abbiamo mai rilasciato davvero un demo, non volevamo seguire le stesse orme di altre band che hanno iniziato con diversi demo. Volevamo cominciare direttamente con un EP, perché sapevamo che le nostre composizioni avevano molta qualità, sufficiente per competere con qualsiasi altra realtà. Siamo sempre stati indipendenti e professionali, non avremmo mai pubblicato nulla se non avesse avuto qualità, ecco perché quando abbiamo registrato “Adultery of Soul” (2015) abbiamo inviato copie fisiche accompagnate da delle lettere a varie etichette in tutto il mondo e abbiamo ricevuto diverse risposte. Lo abbiamo fatto in questo modo perché crediamo ancora in quello spirito old school del fare le cose, le proposte da etichette straniere non hanno tardato ad arrivare, eravamo fermamente sicuri che avremmo ottenuto rapidamente un contratto ed è stato così. Ora siamo presenti in diversi paesi e in diversi formati.
Oggi, secondo te, internet, le varie piattaforme, i social network hanno aiutato o reso molto più difficile pubblicizzare la propria proposta per un artista indipendente? E quanto è importante avere un’etichetta che scommette sulla tua musica, data l’incredibile quantità di band che sbucano ogni giorno? È un’arma a doppio taglio, al giorno d’oggi ci sono indubbiamente molte più opzioni per diffondere la musica, non ci sono più barriere che impediscono alla tua proposta di arrivare in altri continenti ma in molti casi prima di essere un auto questo è complicazione, c’è un eccesso di offerta, troppe band cercano di mostrare il proprio lavoro, questo aumenta la concorrenza e diventa tutto troppo saturo. Non c’è una sorta di filtro e il grande pubblico non ha la capacità di assorbire tutto ciò che viene rilasciato sulle piattaforme digitali, quindi solo le realtà che hanno davvero qualità o che offrono qualcosa di veramente interessante ottengono un riconoscimento. Il mercato musicale è cambiato molto, oggigiorno pochissimi riescono a lanciarsi in formato fisico, la maggior parte lo fa in digitale, questo non aiuta molto ad affermarsi o ad attirare l’attenzione sul proprio lavoro. Il materiale fisico è insostituibile, è come un’eredità che rimarrà per le generazioni a venire.
Come ti sei sentito in questi anni durante la registrazione di questo nuovo album, dopo aver letto tante recensioni positive sulla tua proposta old school death metal? Credi che qualcuno, quando viene a sapere da quale paese provenite, rimanga influenzato positivamente in qualche modo? La situazione geografica del Paraguay è molto particolare all’interno del Sud America, per chi vive all’estero è difficile avere riferimenti musicali, quindi per alcuni il venire in contatto con noi può essere un mistero e per altri una piacevole sorpresa, ecco perché ci riempie di orgoglio quando alcuni media internazionali parlano bene della nostra musica e cercano informazioni sul paese. Abbiamo già letto molte recensioni positive dell’album, abbiamo già fatto diverse interviste per riviste, blog, fanzine, webzine di diversi paesi, e la maggior parte concorda sul fatto che facciamo un ottimo death metal degno di competere con qualsiasi band d’Europa o degli Stati Uniti, ma sicuramente la posizione geografica del paese non c’entra nulla con queste opinioni, nessuno regala niente a questo mondo: il paese d’origine non è un fattore a nostro favore in questo senso, anzi tutto ciò che otteniamo è solo un riflesso del buon lavoro che facciamo, la dedizione e la passione che ci mettiamo indipendentemente dalla nazionalità.
Il video-Singolo di “Abysmal Decay”, disponibile su You Tube, è stata l’anteprima dell’album, perché avete deciso di pubblicare proprio quella canzone? E come è andata stata la registrazione di questo disco? È la title track dell’album, la verità è che la decisione di scegliere il primo singolo è stata presa dall’etichetta discografica, in questo caso la Transcending Obscurity Records. Non credo che la pressione del tempo in studio sia stata difficile da gestire, ci sentiamo ben più pressati da noi stessi e dalle nostre aspettative per il raggiungimento di un livello di qualità più elevato. Il modo corretto di registrare un album è avere assoluta libertà nella parte creativa e nelle scadenze, registriamo tutto naturalmente, il mix e la masterizzazione portano la firma del rinomato produttore Sebastián Carsin degli studi Hurricane in Brasile; la batteria usata nella registrazione era una Tama, le chitarre erano due Jackson RR5, la mia con pickup EMG 81-85 e Alberto con pickup Seymour Duncan AJ1 Pro Active, usiamo esclusivamente solo chitarre a 6 corde, il death metal vecchia scuola non viene suonato con chitarre a 7 corde. Il basso era un vecchio Washburn con pickup attivi originali. Abbiamo usato quattro pedali di distorsione analogici con impostazioni diverse, l’amplificatore era un vecchio Crate, abbiamo usato solo il canale pulito e la massa sonora arriva direttamente dai pedali. Abbiamo registrato l’intero album con questo equipaggiamento, ne abbiamo ricavato il massimo.
Turkka Rantanen è noto per aver realizzato copertine e layout di nomi celebri del death metal underground mondiale, come lo avete contattato e come è entrato in armonia con le vostre idee? Conosciamo l’importanza di Turkka Rantanen, le sue opere sono iconiche nel genere metal estremo, siamo rimasti molto sorpresi quando l’etichetta Transcending Obscurity ha annunciato il suo nome come responsabile del design del layout. Ha fatto un ottimo lavoro sul layout del CD digipak e del boxet, va detto che la bozza era del grande artista brasiliano Marcos Miller, che aveva già firmato l’artwork del nostro primo album “Regeneration”.
I Verthebral contemplano in un futuro non troppo lontano l’inclusione di alcune influenze come il djent o altre correnti progressive nella propria proposta? Onestamente non pensiamo di cambiare il nostro stile, siamo molto a nostro agio a suonare death metal puro e classico, che già ci identifica. La nostra musica si è evoluta ma sempre nell’ambito del death metal, musicalmente siamo cresciuti molto su questo secondo album, tecnicamente il livello è abbastanza alto ma non pensiamo di superare quei limiti, sappiamo benissimo come andare avanti e siamo molto felici di suonare la nostra musica senza aggiungere alcun elemento che non si adatti al nostro stile.
Hai mai pensato di collaborare con nomi celebri del death metal underground? Non ci pensiamo molto, riteniamo che le nostre canzoni siano abbastanza forti e di impatto da sole, magari a un certo punto decideremo di invitare qualcuno ma non è una priorità. Ovviamente se si presentano senza dover pagare Paul Speckman o David Ingram… lo faremmo subito. Ma queste collaborazioni costano denaro, non sono facili da realizzare e non sono sempre essenziali.
Formados en el 2013 con la clara intención de marcar un nombre dentro del Underground Mundial, Verthebral ha venido inquebrantablemente trazando una evolución paulatina dentro del death metal old school con que la banda trabaja y ha demostrado eso a través de dos trabajos lanzados al mercado, Regeneration y El ultimo hasta la fecha “Abysmal Decay” (Transcending Obscurity Records) el cual Dani (Guitarrista, líder y fundador de la banda) estará respondiendo en esta entrevista para el il Raglio Del Mulo, hablando de equipamientos utilizados, filosofía, manera de encarar el ámbito actual de la música con los avances ya disponibles y toda la maquinaria de las redes sociales puede ofrecer a los artistas independientes, también punto de vista en cuanto a la situación actual para poder obtener la confianza de un sello, curiosidades del arte del disco, y un filoso pensar firme y decido a dejar en alto el death metal hecho en Paraguay.
Bienvenidos al Il Raglio Del Mulo, muchas gracias por su tiempo para la entrevista chicos, como nace Verthebral? Y que fue lo que les marco para decidir hacer death metal a la vieja escuela? Buenas amigos de Il Raglio del Mulo, la banda tuvo su inicio hacia finales del 2013, empezamos com un trio, tocabamos covers pero ya ibamos probando algunos riffs propios ya con la idea clara de tocar temas propios, la formación inicial era con Christian en el bajo y vocal, Daniel en guitarra y Gabriel en la bateria, el objetivo siempre fue hacer death metal a la vieja escuela, mucho por mi preferencia y devoción hacia ese estilo clásico de los 90, fuimos progresando en los ensayos, Alberto se nos unió ocupando asi el lugar para la otra guitarra, asi nos establecimos como las 4 piezas que conformariamos Verthebral, posteriormente se produce un cambio en la formacion, sale Gabriel e ingresa Denis Viveros en la bateria, con esta alineacion seguimos hasta hoydia.
El nombe Verthebral a que evoca y porque decidieron ese nombre? Para su brutalpropuesta La idea que tuvimos al elegir ese nombre fue la de transmitir una idea en torno a la condicion humana, es la estructura osea que nos sostiene y nos permite tener movilidad y ser independientes y libres, por otro lado esta la fragilidad de su contextura y el peligro que significa su debilitamiento.
Al provenir de una zona muy alejada de la capital,como lo es Ciudad del Este que se encuentra en el otro extemo de Paraguay, cuales son las dificultades y ventajas con las cuales la banda lidia en la logistica? Ciudad del Este, es la segunda ciudad mas importante del Paraguay, solo por detrás de la capital Asunción, eso nos da una cierta sensación de independencia comparando con bandas de Asunción, tiene sus ventajas y desventajas quizas, la escena es mas grande en la capital sin dudas, pero desde el punto de vista economico y social la escena death metal a nivel pais siempre fue underground, a pesar de ello buscamos marcar la diferencia haciendo todo de forma profesional, invertimos mucho tiempo y dinero para lograr que nuestra musica tenga un sello de calidad internacional, ni habalr de las horas de ensayo para sonar bien y poder grabar bien las canciones, conseguir equipos e instrumentos o grabar hoy en dia es muy facil, en algunos aspectos nosotros los que vivimos en la frontera tenemos mas opciones y alternativas teniendo a otro pais como Brasil a pocos metros de nosotros.
Como ha sido el proceso de evolución de la banda, desde el primer Demo hasta lo que es hoy día con un segundo material bajo elbrazo? La verdad no lanzamos ningún demo, no queríamos seguir los mismos pasos de bandas que empezaban con varios demos, quisimos empezar directamente con un EP, porque sabíamos que las composiciones tenían mucha calidad, lo suficiente como para competir con cualquier otra banda de afuera, siempre fuimos independientes y profesionales, nunca lanzaríamos nada si no tuviese calidad, por eso cuando grabamos Adultery of Soul (2015) mandamos copias físicas con cartas a varios sellos alrededor del mundo y recibimos varias respuestas, lo hicimos de esa forma porque creemos aun en ese espíritu old school de hacer las cosas, las propuestas de sellos extranjeros no tardaron en llegar, confiábamos firmemente que conseguiríamos rápidamente un contrato y así sucedió, conseguimos lanzar en distintos países y en distintos formatos.
Hoy día en opinión de ustedes el internet, las plataformas, las redes sociales, han ayudado o han hecho mucho más difícil poder dar a conocer la propuesta de los artistas independientes? y poder conseguir un sello que apueste por la música de uno? ante la cantidad increíble de bandas que aparecen en el firmamento cada ciertotiempo. Es un arma de doble filo, hoy en día hay muchas opciones para difundir música indudablemente, ya no hay barreras que impidan que tu música llegue a otros continentes pero en muchos casos antes que ayudar esto complica, hay un exceso de oferta, demasiadas bandas intentando mostrar su trabajo, eso hace que aumente la competencia y se sature demasiado, se creó una especie de filtro y el público en general no tiene capacidad de absorber todo lo que es lanzado en las plataformas digitales, así que solo las bandas que realmente tienen calidad o que ofrecen algo realmente interesante logran algún reconocimiento. El mercado de la música cambió muchísimo, hoy en día muy pocas bandas logran lanzar en formato físico, la mayoría lo hace de forma digital así que eso tampoco ayuda mucho a una banda para establecerse o hacer que su trabajo llame la atencion. El material físico es insubstituible, es como un legado que quedará para las generaciones que vendrán.
Como se han sentido en estos últimos años desde el regeneration hasta esta nueva placa, leer tantas críticas positivas a su propuesta de death metal old school? Creen que influye bastante tambien al saber de que País provienen, por eso esas opiniones tanpositivas? La situación geográfica de Paraguay es muy particular por ser un país mediterráneo en Sudamérica, para el extranjero es complicado tener alguna referencia musical del país, así que para algunos de entrada quizás sea un misterio y para otros una grata sorpresa y despierta el interés, por eso nos llena de orgullo cuando algún medio internacional hable bien de nuestra música y busquen información sobre el país, ya leímos muchísimas reseñas positivas del disco, ya hicimos varias entrevistas para revistas, blogs, fanzines, webzines de diferentes países, y la mayoría coincide en que hacemos muy buen death metal digno de competir con cualquier banda de Europa o USA, pero definitivamente la ubicación geográfica del país no tiene nada que ver en estas opiniones, nadie regala nada en este mundo, el país de origen no es un factor a favor nuestro en este sentido, al contrario todo lo que logramos es solo el reflejo del buen trabajo que hacemos, la dedicación y pasión que tenemos con la banda sin importar la nacionalidad.
En You Tube está disponible el video-Single de “Abysmal decay” , que fue el primer adelanto del disco, porque se decidió lanzar ese tema? Y como fue la grabación de esta placa (si hubo algún tipo de presión por horas de estudio, o por el contrario fue muy tranquilo, que equipos se usaron en guitarras y batería, y quien realizo la mezcla y máster delmismo? Es el tema título del álbum, la verdad esa decisión de elegir el primer single estuvo a cargo del sello discográfico, en este caso Transcending Obscurity Records. No creo que la presión del tiempo en estudio sea difícil de manejar, nos sentimos más bien presionados por nosotros mismos y por nuestras expectativas creadas por alcanzar un nivel superior de calidad, la forma correcta de grabar un álbum es teniendo libertad absoluta en la parte creativa y en los plazos para terminar un disco, grabamos todo de forma natural, la mezcla y master estuvo a cargo del renombrado productor Sebastián Carsin en los estudios Hurricane del Brasil, la batería usada en la grabación fue una Tama, las guitarras fueron 2 Jackson RR5, la mía con captadores activos EMG 81-85 y la de Alberto con captadores activos Seymour Duncan AJ1 Pro Active, definitivamente solo usamos guitarras de 6 cuerdas, el death metal old school no se toca con guitarras de 7 cuerdas. El bajo fue un Washburn viejo con captadores activos originales. Usamos 4 pedales de distorsión analógicos con distintas configuraciones, el amplificador fue un Crate viejo, usamos solo el canal limpio y la masa sonora proviene directamente de los pedales. Todo el álbum grabamos con estos equipos, extrajimos lo máximo de cada uno.
Turkka Rantanen es muy conocido por haber hecho artworks y layouts muy conocidos del death metal underground mundial, como se dio para que la banda contacte con el y conecte con las ideas que tenían en mente para este nuevodisco? Sabemos de la importancia de Turkka Rantanen, sus trabajos son icónicos dentro del género del metal extremo, quedamos muy sorprendidos cuando el sello Transcending Obscurity anunció su nombre como el responsable del diseño de layout, ellos fueron los responsables de concretar esa parte, fue una grata sorpresa, el hizo un gran trabajo en layout del CD digipak y del boxet, hay que mencionar que el arte de capa fue obra del genial artista brasileño Marcos Miller, quien ya había firmado el arte de nuestro primer álbum Regeneration.
Verthebral ve en un futuro no muy lejano la inclusión de ciertos elementos como el djent o otras corrientes progresivas a su brutalpropuesta? Honestamente no pensamos mudar nuestro estilo, estamos muy cómodos tocando el death metal puro y clásico, el cual ya nos identifica, nuestra música ha ido evolucionando pero siempre dentro del campo del death metal, musicalmente crecimos bastante en este segundo álbum, técnicamente el nivel es bastante elevado pero no pensamos sobrepasar esos límites, sabemos muy bien donde pisamos y estamos muy contentos tocando nuestra propia música sin necesidad de agregar ningún elemento que no cuadre dentro de nuestro estilo.
Han pensado en algún momento traer a iconos del death metal underground a colaborar en los próximos albumes? Y la posibilidad de poder tocar en festivales europeos derenombre? No pensamos mucho en cuanto a ese asunto, creemos que nuestras canciones son fuertes lo suficiente y de hecho causan impacto de por sí, quizás en algún momento decidamos invitar a alguien pero no es prioridad, claro que si conseguimos sin tener que pagar a un Paul Speckman o David Ingram lo haríamos de inmediato hehe, pero ese tipo de participaciones cuestan dinero, no son fáciles y no siempre son esenciales.
That’s all,thanks Muchas gracias Giusepe y Luis Battilana por el espacio concedido a Verthebral en Il Raglio del Mulo, fue un gusto poder responder estas interesantes preguntas. Saludos amigos!
Noctu, leader dell’omonima one-man band, ci ha parlato del suo nuovo album, “Gelidae Mortis Imago” (Transcending Obscurity Records), rivelandosi un personaggio complesso e per nulla banale. Superata una certa ritrosia iniziale, Noctu si è lasciato andare, regalandoci quella che alla fine si è rivelata un’intervista ricca di contenuti e spunti di riflessione.
Benvenuto su Il Raglio del Mulo, Noctu. Quando e, sopratutto, perché nascono i Noctu? Grazie per il benvenuto. Il progetto Noctu prende forma durante il 2015, mentre stavo componendo nuovo materiale, differente da quanto avevo fatto fino a quel momento. Ho registrato un demo, che poi è divenuto il primo EP, uscito l’anno successivo. Noctu nasce non solo come espressione musicale, ma anche come bisogno di esaminare il lato oscuro della mia esistenza, da sempre presente, ma che mai si era fatto così “invadente” come in quel periodo. Noctu è il “contenitore” per imbrigliare tutta la negatività accumulata negli anni e usarla come un’arma.
Il vostro nuovo disco inizia con un titolo che parafrasa la “Sonata al Chiaro di Luna” di Beethoven, che nella versione dei Noctu diventa “Suicido al chiaro di Luna”. Qual è il tuo rapporto con la musica classica, la scelta di citare il celebre brano è funzionale alla struttura dell’album o è invece il frutto di una vera e propria passione per il genere ed, eventualmente, classica e doom cosa hanno in comune? Intanto lasciami dire che la musica classica, in certi casi, sa essere più “pesante” del metal in quanto a pathos e a trasmettere certe emozioni. Non direi di avere una passione per il genere, in quanto non ho passione per i “generi”. Usare etichette può essere utile per indirizzare chi ascolta verso una certa direzione, ma io sono più propenso ad ascoltare musica “d’atmosfera”, ossia che sa trasmettermi determinate emozioni, indipendentemente dal genere. Detto ciò, è ormai noto a tutti che ci sono gruppi che unisco il metal con la classica o sinfonica, con risultati più o meno validi. Nel mio caso, amo questo brano di Beethoven e l’introduzione del primo movimento mi sembrava adatto per cominciare un album che “espone” un dramma. Non sono solo la classica e il doom ad avere qualcosa in comune. Tutta la musica ha delle connessioni: bisogna solo imparare a “tirare le corde giuste”…
Restiamo ancora sul brano di apertura, qual è la tua posizione nei confronti di un gesto estremo come il suicidio? Ho il mio punto di vista riguardo il suicidio, ma l’intento con il mio brano non è quello di esporre una mia “tesi” al riguardo. Nel contesto dell’album affronto il suicidio dal punto di vista delle emozioni umane. Nel mio caso personale ho dovuto “suicidare” le mie emozioni in più occasioni per non permettere loro di portarmi a commettere gesti estremi. Ad ogni modo, io non voglio fare la lezione a nessuno. Si tratta di aspetti personali. Quindi chi si avvicina alla mia musica deve considerare i testi dal proprio punto di vista. Cercare un perché alle mie vicende personali sarebbe solo una perdita di tempo, una sterile ricerca. Non dirò mai a nessuno il reale significato dei testi legati alle mie esperienze. E comunque non penso che ci sia gente là fuori realmente interessata ad ascoltarmi…
In generale, la tua musica esprime una certa sofferenza, anche se in alcuni passaggi credo che traspari quasi una sorta di senso non di speranza ma di redenzione: vorrei capire se il processo di scrittura ti costa fatica oppure è una risposta indolore a una tua esigenza artistica? La musica che compongo è sempre spinta dalle emozioni negative, che sia tristezza o rabbia. Tutti aspetti legati alla depressione endogena (quella espressamente emotiva) che mi trascino dietro da che ho memoria. Oltre a ciò, convivo da oltre vent’anni con una patologia fisica degenerativa che mi sta demolendo il sistema neuro-muscolare. Parte dal cervello, dal sistema nervoso centrale, e si estende a quello periferico. Ogni terminazione nervosa, ogni tendine, ogni elemento fibroso del mio corpo è in uno stato permanente di tensione. Questo vuol dire che sono soggetto ad una perpetua infiammazione corporea, febbre muscolare e dolori estenuanti. Riesco a stare in piedi solo grazie a dei potenti antidolorifici. E comunque tutte le mie attività si sono ridotte drasticamente. Inoltre, pure mia moglie è stata messa al patibolo dalla stessa malattia. Un contesto dove proprio si vive per soffrire… Quindi si, il processo compositivo è sempre doloroso. Molti musicisti tendono ad evitare di trattare certi argomenti perché risultano “scomodi”, sia per la loro psiche, che per il loro portafogli. E’ un dato di fatto che le band “depressive” (anche se melodiche) hanno meno “risonanza”, una minor risposta di pubblico, specialmente in questi tempi dove ormai anche il metal è stato addomesticato e dato in pasto a giovani annoiati che vogliono fare i ribelli, nonostante abbiano solo la stoffa dei perdenti. Nessuno di loro sa cosa vuol dire lottare per sopravvivere. Ma sono fiero che le mie composizioni non incontrino il favore di tali persone. Non faccio musica per soldi. Certo, possono aiutare. Ma non è lo scopo per cui compongo. Quindi sono decisamente più soddisfatto quando a porre ascolto è qualcuno che ha vissuto situazioni analoghe alle mie, qualcuno che a modo suo può capire… Redenzione? E verso chi? Verso un mondo senza speranza? No, grazie.
Questo come si sposa con la tua volontà di essere l’unico membro della band? Beh, essere l’unico membro della band mi permette di porre l’accento su tutto ciò che ritengo degno di essere messo in musica, senza eccezioni e/o compromessi. Posso far convergere tutte le sfumature sonore che desidero. Una volta mi hanno mosso un’obiezione riguardo un riff in tremolo in un mio brano, dicendo “Sembra un riff black metal”. La mia risposta? Chissenefrega! Mi piace? Si adatta bene a quello che sto facendo? Si? Allora lo uso. Non è un caso che per me il funeral doom sia semplicemente una base di partenza. In termini musicali il mio scopo è non avere generi fissi. Per me conta l’atmosfera che posso generare con un brano. Non a caso ho sempre usato riff di diversa estrazione, oltre a manipolare sempler di tipo ambient. Inoltre non ho alcun desiderio di suonare live, rischiando di avere come pubblico la gente di cui parlavo prima. No, assolutamente nessun contatto tra me e i “vermi”…
Cosa che però non ha escluso la possibilità di avere un ospite sul disco, come è nata la collaborazione con Justin Hartwig dei Mournful Congregation su “Lucida Oscurità Senziente”? Essere l’unico membro della band mi permette anche di scegliermi eventuali collaborati, musicisti che reputo validi anche da un punto di vista umano, intellettivo. Troppi musicisti si credono rockstar… La collaborazione con Justin è avvenuta in modo molto semplice: i Mournful Congregation sono da sempre una delle mie band preferite. Apprezzo la struttura dei loro brani e gli armonici che usano. Portano la mente a “vagare” verso lidi che non ti aspetteresti. Da tempo volevo chiedere a Justin un contributo per un mio brano, ma ammetto di aver avuto paura per un suo possibile rifiuto. Poi un giorno mi sono deciso. Gli ho scritto via Facebook spiegandogli le mie intenzioni. Con mia sorpresa ha accettato di ascoltare il mio brano. Il giorno dopo mi ha risposto, dicendomi “Il tuo brano mi piace. Sarebbe un piacere lavorare con te”. Non potevo crederci: la leggenda vivente del funeral doom voleva collaborare con me! Ma non è tutto. Tempo dopo Justin ha espresso il desiderio di conoscermi di persona. Si trovava in Europa per un festival con la band. E poteva fermarsi nel continente per alcuni giorni. Così ho deciso di invitarlo a casa mia per qualche giorno e in questo modo è nata una delle più belle amicizie che io abbia mai avuto. Amicizia che dura tutt’ora. Quando possiamo ci sentiamo in videochiamata. In seguito ho potuto anche conoscere tutta la band durante una data a Milano. Gente tranquilla e con cui puoi parlare senza problemi. Ma Justin in particolare è quel tipo di persona che posso davvero chiamare Amico.
Dal punto di vista musicale, nonostante la grande tradizione italica in ambito doom, i tuoi suoni si rifanno per lo più a realtà estere, tipo Thergothon, Mournful Congregation, Esoteric, ed Evoken. Però, e non è un però da poco, io ci sento delle influenze, consce o inconsce, agli Jacula. Ecco, una certa ritualità mi ha ricordato la band di Antonius Rex, di cui mi sembrate una sorta di evoluzione. Che ne pensi? Apprezzo il paragone con le band estere che hai citato. Sono da sempre una grande influenza. Ma non sono l’unica. Ascolto gruppi e artisti di vari generi musicali. Come dicevo prima, è l’atmosfera che riescono a generare a catturarmi, non l’appartenenza a un genere specifico. Infatti, parlando di doom, ci sono band che non riesco ad apprezzare perché non riescono a catturare la mia attenzione. Ci sono realtà che mi sembrano tutte uguali, prive di contenuto e di mordente. Apprezzo piuttosto chi ha il coraggio di osare, di andare oltre il già detto, il già sentito. Potrei cominciare con Nortt, passare ai Darkthrone, per poi andare “fuori dal seminato” ascoltando “Within The Realm Of A Dying Sun” dei Dead Can Dance, passare ai “Trionfi” di Carl Orff, fare scorribande con “The Stomp” dei Saor Patrol e finire il trip con “Tubular Bells” di Mike Oldfield. Poi “riposarmi” con la magnifica “Dark Ambient” degli Atrium Carceri. Per me limitarmi sarebbe disastroso, la morte dell’arte. Riguardo gli Jacula sono spiacente, ma li conosco solo di nome, così come conosco qualche brano di band italiane storiche, tipo i Death SS, ma non posso definirle una mia influenza. In parte è dovuto al fatto che non ho mai seguito granché la finta “scena italiana”. Mi dispiace, ma rischio di diventare ipercritico nei confronti di band che, benché possano essere valide da un punto di vista musicale, mi fanno cadere le palle per la mostruosa carenza di sensibilità umana. Troppe volte ho avuto a che fare con musicisti dal carattere altezzoso e arrogante. E ho quindi preferito restare alla larga. Questo è un altro motivo per cui ho scelto di fare tutto da solo. L’unica eccezione in Italia, nonché grande fonte di ispirazione, è data dai Goblin. In particolare il genio di Simonetti che reputo sopra la media. Non ho mai avuto modo di conoscerlo di persona, anche se in passato avrei voluto. Ma ho sentito troppi pareri contrastanti sulla sua personalità, quindi non vorrei rovinare l’immagine che ho di lui, rischiando pure di dover lanciare nella spazzatura i CD che ho dei Goblin, come ho fatto in passato per altre band, italiane ed estere.
Rimanendo in tema di italianità, l’uso della nostre lingua: mi pare, leggendo i titoli, che tu abbia un approccio che vada per immagini, che faccia leva sopratutto sulla sfera immaginifica di chi viene in contatto con il gruppo. Quanto è importante la parola e il suo potere evocativo per il tuo progetto? Posso affermare che il potere della parola è molto importante per me, tanto quanto lo è l’aspetto strumentale. Sono come le due facce della stessa medaglia e hanno per me la stessa importanza. Scrivere testi banali, o addirittura stupidi, per me non avrebbe senso. Sarebbe oltremodo offensivo nei confronti delle mie stesse composizioni. Posso capire quelle band che fanno musica di satira, quindi testi ironici e pungenti si adattano al contesto. Ma detesto quelle che vogliono dimostrarsi serie, cattive, “true evil”, ma poi scrivono testi di una banalità estrema e dal contenuto spiccio a cui neppure loro credono. Apprezzo un atteggiamento “fanatico” (passatemi il termine) solo se è sorretto da una vera fede, se chi scrive è davvero convinto di ciò di cui sta parlando. Se non sapessi come esternare i miei pensieri, se non sapessi creare queste “immagini mentali”, tanto varrebbe fare musica strumentale. Preferirei di gran lunga un approccio come quello dei Bohren & Der Club Of Gore, dove le strumentali la fanno da padrone e riescono a creare forti suggestioni col solo impiego della musica. A volte le parole non servono, e alcune band di questo pensiero ne hanno fatto arte.
Direi di concludere con la traccia che chiude il disco, la lunga “Isolato da un Mondo Senza Speranza”, siamo partiti parlando di suicidio e finiamo discutendo di isolamento: come è cambiato il concetto di individualità nell’attuale realtà “connessa” e qual è il ruolo dell’artista in questo contesto? Come ho detto all’inizio, tutto ciò di cui parlo è connesso con le emozioni, con le mie emozioni, nello specifico. Quindi tutto viene filtrato secondo la mia ottica, il punto di vista di un misantropo e individualista convinto. Convinto non tanto per mostrare un atteggiamento fittizio, ma perché realmente sono stanco di questo mondo, del sistema e del 90% della razza umana. Qualcuno potrebbe avere da obbiettare perché ho un account Facebook e delle pagine Bandcamp dei miei vari progetti musicali. Secondo questa gente un “vero misantropo” starebbe lontano da queste cose. Ma secondo il loro modo di pensare, il vero misantropo dovrebbe stare lontano da qualsiasi essere umano, non dovrebbe andare a fare la spesa al supermercato, non dovrebbe avere un lavoro, non dovrebbe neppure avere una casa. Dovrebbe vivere come una bestia lontano dalla società. Ma ciò è oltremodo ridicolo. Una bestia non sentirebbe di dover odiare la società in quanto tale. Se ne starebbe nel suo territorio selvaggio a vivere tranquillamente. No, non prendiamoci in giro: il vero misantropo è colui che si isola dalla società pur vivendoci in mezzo, si isola perché non riesce più a sopportare la stupidità della maggioranza delle persone, con i loro atteggiamenti falsi, ipocriti e opportunisti. Si isola, spesso controvoglia, perché in realtà vorrebbe un po’ di contatto umano, ma nota che intorno a sé c’è una mediocrità critica di gente che dà importanza a cose che non ne hanno, vestiti firmati, macchine costose, accessori tecnologici che hanno portato la società ad uccidere il calore umano in favore di una freddezza robotica che porta chi ne è schiavo a credersi superiore, a divenire egocentrico e a tenere lontano tutti quelli che non stanno al gioco. Il vero misantropo resta lontano, isolato da una società che non sente più amica, “isolato da un mondo senza speranza” di redenzione perché non vuole essere redento. Un mondo che sta cadendo su sé stesso e che finirà con l’implodere, a favore di quei pochi “potenti” che intanto osservano questa società pronta a rinunciare alla propria libertà per essere salvata dalla propria “implosione”. L’unica vera redenzione possibile avrebbe luogo solo nel momento in cui la società, nella sua quasi totalità, venga estinta, permettendo a quei pochi che hanno ancora il cervello funzionante di creare una nuova, semplice razza indigena del pianeta pronta a vivere in armonia con la natura. Senza politica, religioni, distinzioni di razze o classi sociali. Utopia? Mah… Forse basterebbe che colui che ha dato origine a tutto dia un colpo di spugna sulla lavagna. Si cancella l’errore e si ricomincia. Punto. A capo.
La Grecia ha costruito la sua fama internazionale grazie al black metal, ma questo non significa che nei 90 non fosse in pieno fermento anche il movimento death. Tra i nomi più illustri c’erano i Death Courier, arrivati all’esordio nel 1992, ma poi protagonisti di una carriera discontinua. Grazie all’attiva Transcending Obscurity Records, gli ellenici capeggiati da Billy Soulas ci riprovano con l’ottimo “Necrotic Verses”.
Ciao Billy, siete una delle prime band death metal nate in Grecia nei 90, ma avete pubblicato solo tre album, perché? Abbiamo iniziato a suonare musica nel 1987, pubblicando una demo tape nel 1989, contribuendo ad alcune compilation e rilasciando anche un 7″ con quattro canzoni nel 1991. Poi è arrivato il nostro primo LP, “Demise” nel 1992. Anche se eravamo in piena attività, abbiamo sofferto parecchio l’essere tra i prime mover di un genere emergente. Sfortunatamente, nella nostra piccola città natale, Patrasso, c’erano pochissimi musicisti che condividevano la nostra visione e di conseguenza ci siamo sciolti nel 1993. Io ho avuto la fortuna di trovare nuovi compagni che si sono uniti a me 17 anni dopo, il che spiega il divario temporale tra il nostro primo LP e l’uscita di “Perimortem” nel 2013. Se aggiungi che poi è partita la crisi economica che mi ha reso complicato trovare un lavoro che mi permettesse di supportare la band, puoi capire come mai il terzo disco, “Necrotic Verses”, sia arrivato solo oggi.
Dopo un grande album come questo, pensi che ci sarà presto sarà un altro capitolo della vostra discografia o i tempi saranno nuovamente lunghi ? Come band siamo molto ansiosi di pubblicare nuovo materiale. Stiamo già lavorando su tre nuove canzoni e sentiamo di dover recuperare il tempo perso!
Al di là del tempo perso, non mi sembra che aritistiamente siate rimasti immobile agli anni 90, “Necrotic Verses” contiene death metal della vecchia scuola, ma il suo suono è fresco: come sono nate queste canzoni? Ho davvero il bisogno di fare musica e sento la stessa passione nell’ascoltare il death metal di come quando l’ho fatto la prima volta da adolescente. Siamo prima di tutto fan della musica estrema e lo siamo da oltre 40 anni. I Death Courier sono la mia band e ho intenzione di mantenerli in vita il più a lungo possibile! Suoniamo un mix di death metal con elementi thrash, il nostro stile può essere considerato feroce, ma tendiamo a mantenere sempre una certa pulizia. Spesso, il suono finale in studio è una questione di fortuna, ma se piace ai metalhead, allora è tutto ciò che chiediamo.
Invece in 30 anni il tuo approccio lirico è cambiato? Penso che invecchiando ci rendiamo conto che la vita è una continua lotta per sopravvivere. In questi giorni, siamo esposti a molte cose malvagie da tutto il mondo e questo ci dà numerosi spunti per i testi. È così facile morire …
Quali sono le tue canzoni preferite su “Necrotic Verses”? “Pillars Of Murk”, “Visceral Slice”, “As Heaven Blends With Rot”, “And Morsimon Imar”. Queste sono alcune delle tracce che preferisco, ma ognuno di loro ha il proprio magnetismo morboso.
Cosa ricordi della scena underground greca degli anni ’90? A quei tempi c’erano tante band e amici… molti concerti e metallari completamente pazzi! È stato difficile all’inizio della scena thrash e death metal, le band più vecchie hanno avuto difficoltà, partendo dal nulla per creare quella che è oggi la consolidata scena metal greca. Era difficile rompere gli schemi ed essere un musicista metal, i capelli lunghi non erano alla moda, non riuscivamo a trovare le sale prove, non c’erano riviste per supportare il metal (solo piccole fanzine indipendenti) e praticamente nessun luogo dove suonare dal vivo. Adoro ognuna di quelle band, specialmente quelle che hanno fatto il breakout e sono diventate grandi, sia in Grecia che nel mondo. Guardo indietro a quei tempi con nostalgia e rispetto perché è nato tutto lì.
C’è stata una collaborazione tra band death e black metal? La scena metal greca all’inizio era piccola e, dato che eravamo tutti amici, ci siamo aiutati a vicenda in ogni modo possibile. A quei tempi, suonare musica era la nostra unica e sola passione: il nostro modo di vivere.
Il metal greco è famoso per il black metal, potresti elencarmi altre death metal del tuo Paese? Acid Death, Obsecration, Exhumation, Sadistic Noise, Stigma, Spider Kickers, Danger Cross, Vomit e molti altri.
È ancora disponibile il vostro esordio “Demise” o è un album raro? Abbiamo pubblicato nuovamente “Demise” . La nuova edizione della Nuclear War Now Records suona alla grande e chiunque fosse interessato può ordinarlo dalla nostra pagina Facebook.
Oggi la tua band è solo un progetto in studio o farete alcune date dal vivo in futuro? I Death Courier non saranno mai un progetto da studio. Proviamo il più spesso possibile e ci adoperiamo per essere una band che suona dal vivo il maggior numero di concerti possibile. Il nostro ultimo spettacolo è stato ad Atene a dicembre in apertura Ai Rotting Christ con i nostri amici Abyssus e Cursed Blood. Dopo di che è arrivato il blocco per il virus e abbiamo dovuto cancellare tutti i nostri concerti. Questo ci ha complicato le cose, soprattutto con il nuovo album in uscita, ma spero che suoneremo al Brutality Over Sanity Fest ad Atene nel novembre 2020. Penso che le band che si limitano ad essere dei progetti in studio siano morte e in qualche modo false: non funzionerebbe mai per noi.
A cinque anni dal precedente “Sanctus Dominus Deus Sabaoth” (2015) i nostrani Xpus tornano sulle scene con una nuova release dal titolo “In Umbra Mortis Sedent”, uscito per la Transcending Obscurity Records. La band bergamasca, con questo nuovo secondo lavoro, ribadisce la sua ferma volontà di rimanere fedele a certe sonorità già delineate nel precedente full, ma adesso spazio al portavoce della band, Aren (voce e basso).
Benvenuto Aren, puoi posso chiederti come mai è passato tutto questo tempo tra questo e il precedente full? In realtà, tra il debutto e questo sono passati due anni scarsi. A Settembre 2017 entrammo in Studio per registrare “In Umbra Mortis Sedent”, facemmo tutto in quattro giorni e dopo un paio di settimane di ricerche, tra le varie proposte discografiche arrivò quella di Transcending Obscurity, possedendo parecchi lavori prodotti da questa etichetta – come i vari progetti di Dave Ingram (Benediction), Feral, Paganizer, Rogga Johansson ecc. – conoscevo molto bene la sua validità. Sapevamo che essendo ricca di ottime band già in programma, avremmo dovuto aspettare il nostro turno e, difatti, il cd è uscito solo da poco. Abbiamo atteso molto, è vero, ma era un’ottima occasione per noi, un salto di qualità a cui non potevamo rinunciare, specialmente oggi, con mille label che ti chiedono soldi per qualsiasi cosa e, quasi sempre, per nulla.
Andiamo a ritroso nel tempo, puoi parlarci un po’ della storia della band? Xpus nasce nel 2015 come “one man band”, il primo demo difatti, che vide la luce dopo tre mesi dalla nascita del progetto, lo registrai personalmente, suonando ogni strumento. Volevo qualcosa di grezzo e decisi che una produzione da studio per il momento non era la soluzione migliore. Ultimato il promo, iniziai la ricerca di una label e fui fortunato, le prime risposte arrivarono dopo 24 ore (grazie anche a internet che, in questo caso, agevola non poco il processo) scelsi l’ucraina Metalscrap e iniziai subito a lavorare sui pezzi mancanti per completare l’album di debutto. Quando firmai il contratto, non solo non avevo terminato tutti i brani, ma mancavano tutte le liriche e tutto il lavoro grafico. Chiamai il mio vecchio compagno d’avventure Mornak alle chitarre e L, un batterista professionista, e dopo altri tre mesi iniziammo le registrazioni di “Sanctus Dominus Deus Sabaoth”. Anche qui, volevamo un lavoro grezzo, che si discostasse dalle produzioni iper-pompate di oggi, volevamo creare un personale omaggio ai generi musicali più estremi con cui eravamo cresciuti, ovvero il death metal e il black metal. Ancora una volta decisi di registrare tutto da solo e nel Novembre 2015 l’album fu rilasciato. Durante le pause tra i concerti e il tour europeo di supporto a “Sabaoth” iniziammo subito a lavorare al secondo capitolo, avevamo anche trovato il batterista fisso che risponde al nome di Ulvirøs.
Hai parlato di omaggio ai generi con cui sei cresciuto, ascoltando “In Umbra Mortis Sedent” si percepisce chiaramente la matrice death metal old school di stampo prettamente americano: quali sono le band che fungono da muse ispiratrici? Quelle con cui siamo cresciuti: Deicide, Morbid Angel, Immolation, Monstrosity, Mangled, Massacre, Autopsy, Blasphemy, Slayer per citarne alcune, poi ci sono le europee: Grave, Benediction, Entombed, Sinister e tutto il filone black metal dei tempi ovviamente. Tutto quello di fine anni 80 e inizio 90 insomma.
Definite le vostre influenze, puoi parlarmi del lyric concept? Da cosa traete spunto per la stesura dei testi? Le prime due song di “Umbra” condividono lo stesso testo, un sacrificio satanico fatto da un uomo convinto che, facendo ciò, possa liberarsi delle voci infernali che lo ossessionano, ma in realtà queste voci sono solo nella sua testa, un’espressione di lui stesso o, meglio, la sua stessa pazzia, da qui un serpente che si mangia la coda e un unica soluzione finale: il suicidio. Il secondo testo, che viene diviso in tutte le restanti songs dell’ album invece, parla dei rapporti carnali che un prete ha con dei ragazzini, ci si ferma sulle emozioni del curato stesso, di quando è solo nelle sue stanze in preda al desiderio, al fatto che si danna e prova a resistere ma alla fine, ogni volta, cede, si parla di quello che prova (o presumibilmente possa provare, dato che non ho esperienza diretta in questo campo) il ragazzino una volta che la molestia inizia, alla costrizione, al fiato del prete che gli scende in gola ecc. Probabilmente anche il prossimo lavoro avrà un unico testo per tutte le song che lo comporranno. Cerchiamo di creare testi che abbiano un senso, che abbiano qualcosa da dire indipendentemente che essi parlino di satanismo, anticristianesimo, morte, distruzione, decadimento o di estinzione (della razza umana).
Entriamo più nello specifico: puoi dirci come nasce un vostro brano? La composizione avviene in maniera naturale, lasciamo che le sensazioni e le idee si fondano senza alcuna costrizione/forzatura, da lì poi un minimo di pulizia e inquadramento è d’obbligo ma non vogliamo che le nostre song siano troppo schematizzate. Personalmente, vedo il genere estremo, sia questo death o black metal, un campo dove è l’istinto a farla da padrone, spesso, ascolto band davvero valide ma troppo… “indirizzate”, troppo “costruite” . Io da questa musica voglio percepire il lato selvaggio ancestrale dell’anima del musicista, il tecnicismo e il virtuosismo sono per altri generi.
Avete altri progetti musicali ai quali prendete parte, qualcuno di voi ha band parallele nelle quali suona? Al momento, ogni membro della band è impegnato solo in questo progetto.
La vostra ultima fatica “In Umbra Mortis Sedent” è, come da te accennato all’inizio, targata Transcending Obscurity Records, label indiana dedita al death metal più intransigente: puoi dirci come e quando nacque l’interesse della suddetta label nei vostri confronti? Fu tutto estremamente naturale, mandai tre brani come “promo” a varie etichette, Kunal mi rispose subito il giorno dopo chiedendomi di poter sentire tutte le canzoni che componevano l’album, il giorno dopo ne riparlammo telefonicamente e trovammo velocemente un accordo.
Dove avete registrato l’album e di chi vi siete avvalsi per la registrazione, nonché per i vari processi di produzione e post-produzione? Abbiamo registrato in una specie di castello zona Como con Manuele Marani di Mara’s Cave, è stata un’esperienza davvero appagante, come detto, volevamo tenere un effetto “sporco”, non a livelli del primo lavoro ma comunque grezzo e lontano dalle iper-produzioni plastificate tanto in voga oggi. Il Mastering invece è stato fatto da Den Lowndes di Resonance Sound Studio (Blood Incantation, Cruciamentum) in Inghilterra.
Sin dal primo ascolto si nota che, rispetto al precedente “Sanctus Dominus Deus Sabaoth” la produzione è alquanto migliorata, tuttavia il tipo di songwriting è rimasto più o meno il medesimo, a questo punto appare chiara la vostra netta intenzione di restare fedeli a certe sonorità… Questo è quello che ci piace comporre e suonare, finché sarà cosi non ci saranno innovazioni e dubito fortemente cambierà la cosa, suoniamo per noi e per il nostro gusto personale. Piccole variazioni potranno anche esserci in futuro ma la matrice è questa, old school death metal con influenza black metal, punto.
Siamo giunti al momento dei saluti, grazie per questa chiacchierata! Vi faccio un grosso in bocca al lupo per il futuro, concludi come vuoi questa intervista… Grazie e grazie a te per lo spazio dedicatoci, see you all in Hell!